Archivio rubriche 2013

Ogni anno la Commissione europea pubblica un report relativo alla sua attività di controllo dell’applicazione del diritto UE da parte degli Stati membri nell’anno precedente. Lo scorso 22 ottobre la Commissione ha pubblicato il 30mo report, relativo al 2012. Il report, disponibile in inglese, illustra la performance degli Stati membri con riferimento ad alcuni aspetti chiave della procedura di infrazione (quali, ad esempio, il numero delle procedure pendenti nell’anno e di quelle nuove, le aree di attività dell’Unione in cui più elevato è il tasso di mancata o incorretta attuazione, i dati relativi alla presentazione di denunce da parte di cittadini e imprese, e quelli concernenti il ricorso alla piattaforma EU Pilot); è inoltre corredato da alcuni staff working ducuments che illustrano la performance dei 27 Stati membri e le statistiche relative alle principali aree tematiche. Purtroppo, il report evidenzia una performance non soddisfacente dell’Italia, che colleziona la ‘maglietta nera’ rispetto a molteplici indicatori ‘negativi’ (oltre alle indicazioni contenute nella parte generale del report, si veda anche il più dettagliato staff working document dedicato a p. 32).

La procedura d'infrazione è volta a rilevare eventuali inadempimenti da parte degli Stati di obblighi ad essi imposti dal diritto dell’Unione europea. La sua disciplina è contenuta negli articoli da 258 a 260 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). I ricorsi possono essere proposti dalla Commissione (art. 258 TFUE) oppure da un altro Stato membro (art. 259 TFUE); tuttavia, ad oggi questa seconda ipotesi si è verificata in pochi casi. Nell’ipotesi più frequente, è la Commissione che dà avvio alla procedura, spesso sulla base di segnalazioni provenienti da persone fisiche o giuridiche.

 

La decisione della Commissione di mantenere il signor Kadi nella lista delle elenco delle persone, dei gruppi e delle entità collegate ad Al-Qaeda a cui si applicano misure restrittive viola i diritti fondamentali UE.

Con la nota sentenza Kadi I,[1] la Corte di giustizia annullava il regolamento n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani,[2] nella parte relativa all’iscrizione nel suo allegato I del sig. Kadi; questi, infatti, non essendo stato informato circa gli elementi assunti a suo carico per fondare le misure restrittive adottate nei suoi confronti, era stato privato del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva. A seguito di tale pronuncia, il presidente del comitato per le sanzioni trasmetteva l’esposizione dei motivi dell’iscrizione del sig. Kadi nell’elenco riassuntivo di tale comitato al rappresentante permanente della Francia presso l’ONU, autorizzandone la comunicazione al sig. Kadi, che veniva effettuata dalla Commissione. Contestualmente, la Commissione informava il sig. Kadi che essa intendeva mantenere l’iscrizione del suo nominativo nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento n. 881/2002, e concedeva un termine all’interessato per far valere le sue osservazioni su tale motivazione e fornirle ogni informazione che egli ritenesse pertinente, prima che essa adottasse una decisione definitiva. Successivamente, la Commissione confermava l’iscrizione del sig. Kadi nell’allegato I del Regolamento n. 881/2002. L’interessato proponeva dunque un ricorso dinanzi al Tribunale per ottenere l’annullamento del Regolamento nella parte che lo riguardava. Con sentenza del 30 settembre 2010[3] il Tribunale accoglieva il ricorso.

Raggiunta una nuova tappa della «Tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali». 

Con l’adozione della Direttiva 2013/48/UE,[1] che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 27 novembre 2016, l’Unione europea ha raggiunto una nuova tappa della «Tabella di marcia» di cui alla risoluzione del Consiglio dell’Unione europea del 30 gennaio 2009[2]. A sua volta, la Tabella si pone nel solco del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, che ha affermato che il principio del reciproco riconoscimento delle sentenze e delle altre decisioni giudiziarie deve diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione europea in materia civile e penale. A poca distanza, l’idea che il reciproco riconoscimento «deve consentire di rafforzare non solo la cooperazione tra Stati membri, ma anche la protezione dei diritti delle persone» veniva evidenziata nel programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali[3]. A tal proposito, al considerando 51 della Direttiva 2013/48/UE si legge che, «[s]ebbene gli Stati membri siano firmatari della CEDU e del [Patto internazionale sui diritti civili e politici], l’esperienza ha dimostrato che questa sola circostanza non sempre assicura che ciascuno di essi abbia un grado sufficiente di fiducia nei sistemi di giustizia penale degli altri Stati membri».

La Corte di giustizia conferma l'interpretazione (restrittiva) della nozione di «atto regolamentare» di cui all'art. 263(4) TFUE accolta dal Tribunale

Una tra le più lungamente attese novità introdotte dal Trattato di Lisbona è sicuramente l’ampliamento (benché moderato) dei requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche e giuridiche. L’articolo 230, quarto comma, TCE recitava: «[q]ualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente».

Dopo il Tribunal Constitucional spagnolo[1] e il Conseil Constitutionnel francese,[2] nel luglio 2013 è stata la Corte costituzionale italiana a porre definitivamente fine (almeno all’apparenza) all’iniziale atteggiamento di chiusura manifestato nei confronti del principale strumento di dialogo con la Corte di giustizia, il rinvio pregiudiziale. Invero, e a differenza del giudice costituzionale spagnolo e francese, nel caso della nostra Consulta non si è trattato di una ‘prima volta’ in assoluto. Come ben noto, dopo una prima fase in cui la Corte costituzionale aveva tout court escluso la possibilità di ‘vestire’ la qualifica di «giurisdizione nazionale» di cui all’art. (ora) 267 TFUE (cfr. ordinanza 29 dicembre 1995 n. 536), con l’ordinanza 13 febbraio 2008, n. 103,[3] era stato proposto un rinvio pregiudiziale nell’ambito di un procedimento di legittimità costituzionale in via principale. Con l’ordinanza n. 207 del 3 luglio 2013[4] la Corte costituzionale ha per la prima volta proposto un rinvio pregiudiziale nell’ambito di un ricorso di legittimità costituzionale in via incidentale, in tal modo abbattendo l’ultimo limite che la stessa sembrava voler salvaguardare nell’ordinanza del 2008.

Il 26 giugno 2013 sono stati adottati quattro atti - due regolamenti e due direttive - che procedono ad un riassetto del Sistema Europeo Comune di Asilo, accomunati dall’intento di stabilire - secondo quanto si legge nel MEMO/13/862 della Commissione europea, ‘EU action in the fields of migration and asylum’, 9 ottobre 2013:  - «common high standards and stronger co-operation to ensure that asylum seekers are treated equally in an and fair system – wherever they apply». 

Ormai da alcuni anni è possibile reperire il testo della Gazzetta ufficiale dell’Unione europea sul sito EUR-Lex. Tuttavia, è solo dal 1° luglio 2013 - data di entrata in vigore Regolamento (UE) n. 216/2013 del Consiglio del 7 marzo 2013  - che (in linea di principio, soltanto) la versione elettronica della Gazzetta è autentica e produce effetti giuridici.

L’art. 4 della direttiva 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (G.U.U.E. 2002 L 201, p. 37), stabilisce che i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico sono tenuti a notificare alle autorità nazionali competenti - e, in alcuni casi, anche agli abbonati e alle altre persone interessate - le «violazioni dei dati personali», definite dall’art. 2, lettera i), della medesima direttiva come quelle violazioni di sicurezza che comportano accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la rivelazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, memorizzati o comunque elaborati nel contesto della fornitura di un servizio di comunicazione accessibile al pubblico nell’Unione. Al paragrafo 5, l’art. 4 conferisce alla Commissione la facoltà di adottare misure tecniche di attuazione riguardanti le circostanze, il formato e le procedure applicabili alle prescrizioni in materia di informazioni e comunicazioni di cui allo stesso articolo. Nell’esercizio di tale facoltà è stato adottato il Regolamento n. 611/2013, che disciplina le modalità ed i termini nel rispetto dei quali i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico devono provvedere alla notifica delle violazioni di dati personali come sopra definite.

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