Contenimento del consumo di suolo, governo del territorio e pianificazione urbanistica di ambito comunale: quale punto di equilibrio? (3/2019)

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Sentenza n. 179/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 16/7/2019 – Pubblicazione in G.U. 24/7/2019, n. 30

 Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 179/2019 la Corte costituzionale ha esaminato, accogliendole parzialmente, questioni di legittimità costituzionale aventi per oggetto l’art. 5, comma 4, ultimo periodo, e comma 9, della legge della Regione Lombardia 28 novembre 2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato).
La l. reg. Lombardia n. 31/2014, ad avviso della Corte, è caratterizzata da un’ispirazione innovativa, in cui spicca lo scopo di orientare gli interventi edilizi in via prioritaria verso aree già urbanizzate, degradate o dismesse; il consumo di suolo, risulta allora ammesso soltanto se la riqualificazione e la rigenerazione di aree già edificate si dimostrino tecnicamente ed economicamente insostenibili.

La disposizione impugnata disciplina la fase transitoria in vista dell’adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale ai criteri previsti dalla l. reg. n. 31/2014. In particolare, nel periodo occorrente per l’integrazione dei contenuti del piano territoriale regionale (PTR) e per il successivo adeguamento dei piani territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) e dei piani di governo del territorio (PGT), i Comuni possono approvare unicamente varianti del PGT e piani attuativi in variante al PGT che non comportino nuovo consumo di suolo. Fino a tale adeguamento sono mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano già in vigore. La sospensione dello jus variandi in relazione ai contenuti edificatori del documento di piano assume un carattere temporalmente limitato ma indefinito nella sua ampiezza: questa è collegata al concretizzarsi del processo di adeguamento, per il quale i termini previsti dal procedimento delineato dalla legge regionale rivestono carattere meramente ordinatorio.
La Corte ravvisa una violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera p) – relativamente alla competenza esclusiva statale in materia di funzioni fondamentali – e degli artt. 5 e 118, primo e secondo comma, Cost., con riguardo al principio di sussidiarietà verticale. Il ragionamento del giudice delle leggi muove dalla considerazione che fin dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 la funzione di pianificazione urbanistica è stata rimessa all’autonomia dei Comuni. Anche il varo delle Regioni ha mutato soltanto in parte questo dato, tanto che l’art. 14, comma 27, lettera d, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 annovera la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale tra le funzioni fondamentali dei Comuni. La Regione può disciplinare la funzione di pianificazione comunale e anche conformarla, in nome della verifica e della protezione di concorrenti interessi generali collegati a una valutazione più ampia delle esigenze diffuse sul territorio. L’autonomia dei Comuni, infatti, non può risolversi in una riserva intangibile di funzioni (sent. n. 160/2016). È fisiologico, poi, che la competenza concorrente in materia di governo del territorio abiliti la legislazione regionale a intervenire nell’ambito della pianificazione urbanistica. La competenza regionale, tuttavia, non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia comunale (sent. n. 83/1997).
La l. reg. n. 31/2014, insomma, chiama in causa il punto di equilibrio tra regionalismo e municipalismo. Se è vero che la questione non è stata risolta una volta per tutte dal riformato Titolo V della Parte II della Costituzione, il giudizio di costituzionalità non si sofferma tanto, in via astratta, sulla legittimità dell’intervento del legislatore regionale, quanto, piuttosto, su una valutazione in concreto della sussistenza di esigenze generali che possano giustificare le disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali. In forza del principio di sussidiarietà verticale, si deve tenere conto della natura degli interessi sovracomunali in nome dei quali è compressa l’autonomia comunale, delle compensazioni procedurali previste e della durata della limitazione nel tempo. Il giudizio sulla proporzionalità dev’essere compiuto sia in astratto, sia in concreto.
Il livello regionale è indubbiamente quello più efficace a contrastare il fenomeno del consumo di suolo, con la definizione di limiti generali alla pianificazione urbanistica locale. La disposizione impugnata, però, finisce col paralizzare la potestà pianificatoria del Comune al di là di quanto strettamente necessario a perseguire tale obiettivo, e anzi in contraddizione con esso. Cristallizzando i contenuti edificatori del documento di piano, la disposizione impugnata sottrae all’ente locale la possibilità di esprimere un nuovo indirizzo politico amministrativo, anche se diretto alla riduzione del consumo di suolo. Se è vero che i Comuni non vengono completamente spogliati di una funzione fondamentale, nondimeno la disposizione impugnata de facto sottrae loro uno specifico contenuto della funzione di pianificazione urbanistica comunale, quello della potestas variandi. Per la sua rigidità, essa incide in modo non proporzionato sull’autonomia dell’ente locale: oltre a impedire la rivalutazione delle esigenze urbanistiche espresse in precedenza, preclude il dispiegarsi di un nuovo indirizzo, in ipotesi rivolto alla protezione degli interessi generali sottostanti all’impianto di fondo della legge regionale e perciò coerente con esso. La disciplina impugnata risulta perciò incostituzionale nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente.