La direttiva sul disbrigo degli affari correnti del 26 gennaio 2021 e l’attività del Governo dimissionario (1/2021)

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Il 26 gennaio 2021 sono state presentate le dimissioni del Governo Conte II nelle mani del Presidente della Repubblica, il quale, come da prassi, ha invitato l’esecutivo «a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti», nelle more della risoluzione della crisi politica. Questa formula, che riflette il dato acquisito per cui si ritiene che un gabinetto dimissionario non sia legittimato, dal punto di vista politico-costituzionale, a eccedere l’ordinaria amministrazione, si ricollega a quella che è stata qualificata come una regola di correttezza (G. ROLLA, Il sistema costituzionale italiano, I, Milano, 2010) o come una “norma inespressa” (R. GUASTINI, Interpretare e argomentare, Milano, 2011), dal contenuto però troppo indeterminato perché possa esserle riconosciuto un carattere propriamente giuridico (A. VIGNUDELLI, Diritto costituzionale, Modena, 2010).

In effetti, sul perimetro degli affari correnti il diritto positivo non si esprime; come risulta dalla ricognizione normativa, l’unico limite legale all’operato del Governo dimissionario è dato da una norma in materia contabile: la legge 14 agosto 1862, n. 800, la quale, all’art. 14, co. 3, introdotto dal regio decreto 18 novembre 1923, n. 2441, prevede che il Ministero, rassegnate le dimissioni, non possa richiedere la registrazione con riserva degli atti riconosciuti contrari alla legge o ai regolamenti dalla Corte dei conti (C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975). Ne consegue, pertanto, una consolidata prassi per cui è il presidente del Consiglio a tracciare i confini dell’ordinaria amministrazione, per mezzo di una direttiva destinata ai ministri, viceministri e sottosegretari; nel caso di specie, questa è stata emanata da Giuseppe Conte lo stesso 26 gennaio (protocollata USG 0000927 P-1.1).
Sin dall’esperienza della Repubblica di Weimar (art. 56 della Costituzione tedesca del 1919), e poi nella vicenda costituzionale italiana (dalla legge n. 2265 del 1925 alla n. 400 del 1988), si è riconosciuto che, nell’esercizio delle sue attribuzioni di impulso e coordinamento rispetto all’attività del Governo, quale primus inter pares, il presidente del Consiglio dei ministri godesse di un potere di direttiva politica. Questo, però, tanto nei casi in cui sia rivolto ai singoli componenti del gabinetto, tanto quando abbia lo scopo di concertare l’operato di articolazioni dell’esecutivo, ha un valore essenzialmente politico, in quanto occorre dubitare che la sua inosservanza sia sanzionabile, dato che i ministri non sono gerarchicamente subordinati al presidente, e questi non può revocarli né dispone di poteri coattivi nei loro confronti (F. MERUSI, M. CLARICH, Direttiva, in Enclopedia giuridica, XIII, Roma, 1989).
In questo senso, come è stato osservato, la direttiva ha caratteri analoghi a quelli dell’atto di indirizzo politico (E. CHELI, Atto politico e funzione d’indirizzo politico, Milano, 1961), tradizionalmente identificati nel rapporto di diretta esecuzione di un precetto costituzionale, nell’ambito di efficacia limitato alle più alte sfere dell’ordinamento, senza interferenze con le situazioni giuridiche soggettive dei privati, nella strumentalità all’emanazione di ulteriori atti amministrativi o legislativi, nella flessibilità e disponibilità da parte dell’organo agente (V. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, in Studi urbinati, 1939, 53 ss.). Il carattere di internum corporis di questo tipo di atto è per di più rimarcato dal fatto che non è soggetto a pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Nello svolgimento delle rispettive funzioni, ai destinatari della direttiva è richiesto di «attenersi scrupolosamente» alle sue indicazioni; i ministri sono altresì «invitati a predisporre sollecitamente ogni utile elemento e documentazione circa l’organizzazione ed il funzionamento dei Dicasteri e dei Dipartimenti cui sono preposti, nonché sullo stato delle attività e delle iniziative in corso, al fine di una completa e tempestiva informazione nei confronti della Presidenza del Consiglio», oltreché «a fornire un elenco con tutte le attività amministrative in corso di esecuzione o comunque in scadenza».
Mentre i criteri principali che informano l’autovincolo sembrano essere individuati nel rispetto dei termini indifferibili previsti dall’ordinamento e nell’esercizio di un controllo molto incisivo da parte dal presidente del Consiglio, la direttiva articola le sue disposizioni in sei aree tematiche:
1. Il disbrigo degli affari correnti da parte del Governo, che, al fine di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, si adopera nell’attuazione delle determinazioni già assunte dal Parlamento e adotta gli atti urgenti; a questo proposito, sono espressamente fatte salve tutte le misure rivolte a contrastare la pandemia da covid-19 e ad affrontarne le conseguenze.
2. L’attività del Consiglio dei ministri, per la convocazione e riunione del quale non sono previste deroghe rispetto alle procedure ordinarie, ivi incluso lo svolgimento della riunione preparatoria (c.d. “preconsiglio”). Tuttavia, all’ordine del giorno non si possono inserire che gli affari urgenti, quali l’esame delle leggi regionali e provinciali ai fini dell’impugnazione davanti alla Corte costituzionale (ex art. 127 Cost.) e l’adempimento di atti amministrativi prescritti entro termini perentori (per esempio nei procedimenti in materia di golden power).
3. L’attività normativa del Governo, limitata all’adozione dei decreti legge nei casi di necessità e urgenza, nonché all’approvazione (anche preliminare) dei decreti legislativi nei soli casi in cui si debba evitare la scadenza dei termini della delega; ugualmente, per quanto attiene all’emanazione di regolamenti governativi o ministeriali, si procede solo nei casi in cui la legge abbia stabilito un termine prossimo a decorrere, ovvero in cui si agisca in ottemperanza a obblighi eurounitari, per garantire l’operatività delle pubbliche amministrazioni o per dare attuazione a «riforme già approvate dal Parlamento». Viene escluso l’esame di nuovi disegni di legge, mentre resta subordinata all’assenso della presidenza del Consiglio l’emanazione di regolamenti, direttive e circolari ministeriali.
4. Le nomine a pubblici uffici, effettuale solo quando siano vincolate nei tempi o insorgano improcrastinabili esigenze funzionali in ordine alla «pienezza e continuità dell’azione amministrativa»; questo sia per le strutture ministeriali, sia società ed enti controllati, vigilati o dipendenti che non siano disciplinati dalle regole comuni di diritto privato: a tal fine, ogni iniziativa deve essere accompagnata dall’assenso del presidente del Consiglio. Quest’ultimo è necessario anche per l’esercizio dei poteri azionari da parte del Ministero dell’economia.
5. Le missioni all’estero dei membri del Governo, che devono essere autorizzate dal presidente del Consiglio. Si possono comunque svolgere gli incontri già programmati, i tavoli tecnici e quelli di preparazione di riunioni internazionali obbligatorie, anche in contesti multilaterali (con speciale riferimento a Onu, Ue, Nato, Osce, Ocse, Ince, Consiglio europeo, G7, G20).
6. La partecipazione dei membri del Governo ai lavori del Parlamento, assicurata ogniqualvolta sia necessaria. Si prescrive che le posizioni da assumere in sede parlamentare siano preventivamente concordate con il ministro per i Rapporti con il Parlamento.
Rispetto ai precedenti, la direttiva in questione ricalca esattamente, anche nella fraseologia, l’antecedente immediata, emanata in occasione delle dimissioni del Governo Conte I (data il 20 agosto 2018 e protocollata 0006083 P-). Si tratta in effetti di situazioni simili, in quanto la crisi ha avuto luogo per la rottura della maggioranza di Governo, ma con evidenti possibilità di trovare soluzioni alternative in occasione delle consultazioni del presidente della Repubblica: l’orizzonte temporale è quindi relativamente breve, e ciò che conta è essenzialmente assicurare la continuità amministrativa e la capacità di rispondere adeguatamente a eventuali urgenze.
In altri casi, per esempio quelli coincidenti con lo scioglimento delle Camere, il regime di gestione degli affari correnti risulta ex ante prefigurabile per un periodo di diversi mesi e il contenuto della direttiva deve tener conto di tale prospettiva, specie per quanto riguarda l’adozione di atti normativi. In queste circostanze, ci si confronta anche con il fatto che, prima dell’inizio della nuova Legislatura, il Parlamento opera in regime di prorogatio; e, una volta riunite le nuove Camere, le Commissioni permanenti non sono attivate fino all’individuazione della nuova maggioranza, mentre l’esame degli atti del Governo è affidato pro tempore alla Commissione speciale che si suole istituire a tale scopo in ciascuna delle Camere,
Si può così ricordare, per esempio, la direttiva emanata dal presidente Paolo Gentiloni il 29 dicembre 2017, contestualmente allo scioglimento delle Camere della XVII Legislatura, che ha spiegato i suoi effetti molto a lungo, fino al 1 giugno 2018. Essa prevedeva l’adozione di decreti legislativi «ove il rinvio alla successiva Legislatura non consentisse, anche in considerazione del tempo necessario al procedimento istruttorio per l’emanazione dei decreti legislativi delegati, di rispettare i termini della delega». A tal proposito, un episodio risulta assai significativo: il decreto legislativo 10 aprile 2018, n. 36, di attuazione della legge 23 giugno 2017, n. 103, è stato emanato dopo la riunione delle Camere nuove, ma sulla base del parere che le Commissioni della vecchia Legislatura avevano espresso nel periodo di prorogatio, per di più in una data successiva a quella delle elezioni; operazione la cui correttezza istituzionale è stata revocata in dubbio (E. CATELANI, Poteri del Governo in “ordinaria amministrazione” e rapporti con il Parlamento fra norme costituzionali, regolamenti parlamentari e direttive del presidente del Consiglio, in questa rivista, 2, 2018).
Tornando alla direttiva del 2021, la sola differenza rispetto alla corrispettiva del 2019 è costituita da un esplicito riferimento alla situazione di emergenza sociale e sanitaria in corso, la cui particolare cogenza legittima l’adozione di ogni provvedimento utile. Concretamente, sono numerosi gli atti adottati in tal senso, anche se, in genere, essi esplicano un basso grado di discrezionalità, per il contenuto vincolato in base a disposizioni di legge, ovvero in ragione del carattere di mera proroga o rinnovo di disposizioni in scadenza:
1. Due decreti-legge, uno in materia di proroga di termini tributari e di modalità di esecuzione delle pene (decreto-legge n. 7 del 30 gennaio), l’altro per estendere fino al 25 febbraio il divieto di spostamento tra Regioni, introdotto dal decreto-legge 14 gennaio 2021, n. 2 e inizialmente previsto fino al 15 febbraio (decreto-legge n. 12, del 12 febbraio).
2. Sei ordinanze del capo della Protezione civile, in materia di composizione del Comitato tecnico-scientifico (29 gennaio), proroga di precedenti disposizioni e provvedimenti (30 gennaio, 2 febbraio), differimento di termini elettorali per gli ordini e le federazioni delle professioni sanitarie (9 febbraio), reclutamento di professionisti di area medica per la particolare situazione dell’Umbria (11 febbraio), norme sulla riscossione dei trattamenti previdenziali negli uffici postali in ordine alla riduzione degli assembramenti (12 febbraio).
3. Due ordinanze del commissario straordinario preposto alla gestione dell’emergenza, in materia di attuazione del piano strategico per le vaccinazioni (9 febbraio) e nomina di un soggetto attuatore del piano di riorganizzazione ospedaliera (10 febbraio).
4. Cinque ordinanze del ministro della Salute, in materia di proroga di disposizioni di profilassi internazionale (30 gennaio) e di riclassificazione dei territori regionali entro una delle fasce di rischio, come previsto dall’art. 1 del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, co. 16-bis e ss. (due il 29 gennaio, 9 febbraio, 12 febbraio).
Per concludere, si può dare qualche indicazione sull’attività del Consiglio dei ministri, che, nel periodo considerato, si è riunito tre volte:
1. Il 29 gennaio, per l’approvazione del decreto-legge n. 7; di tredici decreti legislativi in materia di adempimento degli obblighi eurounitari; di un regolamento in materia di sicurezza cibernetica; del conferimento del titolo di Capitale italiana della cultura per il 2022 alla città di Procida; del commissariamento ex art. 143 del testo unico degli enti locali di due Comuni. Inoltre, nel medesimo Consiglio dei ministri, è stato deliberato l’intervento in un giudizio di costituzionalità sollevato in via d’azione, l’impugnazione di una legge regionale e la non impugnazione di altre diciannove tra quelle presentate dal ministro per gli Affari regionali, nonché la rinuncia a un ricorso in via principale pendente davanti al giudice delle leggi.
2. Il 9 febbraio, per la deliberazione dello stato di emergenza per alcuni Comuni colpiti da eventi meteorologici avversi; della proroga di un commissariamento ex art. 143 del testo unico degli enti locali; dell’accettazione della rinuncia parziale di una Regione a un ricorso in via d’azione; dell’impugnazione di fronte alla Corte costituzionale di una legge regionale e della non impugnazione di ulteriori trentotto leggi. Il ministro degli Affari regionali ha anche svolto un’informativa sul contenzioso costituzionale in via principale alla luce dei dati dell’ultimo decennio.
3. Infine, il 12 febbraio, per l’adozione del decreto-legge n. 12. Nella stessa occasione, è stato deliberato lo stato di emergenza per vari territori colpiti dal maltempo e si è deciso di non impugnare diciotto leggi regionali presentate dal ministro per gli Affari regionali.