Editoriale n. 3/2019

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foto roselli

1. Una felice intuizione
L’influenza sul sistema delle fonti del diritto delle vicende politico-istituzionali a cui stiamo assistendo
rappresenta un’ulteriore conferma della felice intuizione di Ugo De Siervo di promuovere, 23 anni fa (ma già allora lo studioso fiorentino aveva promosso importanti ricerche), un Osservatorio che monitorasse il loro evolversi al di là del profilo formale.
Il metodo indicato era, ed è tuttora, anche durante la direzione di Paolo Caretti, quello di monitorare l’evolversi del divenire delle fonti del diritto con il mutare dei contesti in cui manifestano la loro funzione ordinamentale.
Questo comporta indagini rigorose sulla produzione normativa (come testimoniano anche le Sezioni della nostra Rivista ed i saggi e gli altri contributi), da cui trarre le dovute conseguenze sia dal punto di vista operativo (sull’evolversi dei molteplici ambiti dell’ordinamento, delle sue relazioni sovranazionali ed internazionali, del funzionamento delle Istituzioni) che dal punto di vista teorico (sulla natura giuridica di atti ed istituti e sulla corrispondenza delle tradizionali categorie alle trasformazioni dell’ordinamento).

2. Molteplicità dei contesti e fonti del diritto
Le società contemporanee attraversano così profonde trasformazioni (il sociologo Ulrich Beck ha parlato di “metamorfosi del mondo”) che queste si riflettono nei processi di strutturazione dell’ordinamento giuridico e, di conseguenza, sulle fonti del diritto, dovendo relazionarsi anche con nuovi fenomeni sociali, economici, politici diversi dal passato per caratteristiche intensità e complessità.
Si va ridisegnando la stessa ‘composizione’ dell’ordinamento che deve sempre più fare, anche quello statuale, i conti con un pluralismo giuridico che vede ad emersione dinamiche normative di derivazione sociale anziché politica (la legge è la statuizione di una volontà politica attraverso il procedimento stabilito dalla Costituzione).
L’ambito degli studiosi delle fonti del diritto è destinato ad ampliarsi ulteriormente, dovendo necessariamente sempre più interessare, accanto agli ordinamenti nazionali, sovranazionali e internazionale, delle plurali dimensioni transnazionali disciplinate attraverso originarie dinamiche normative.
Il dovere l’ordinamento giuridico fare sempre più i conti con l’incertezza/imprevedibilità delle situazioni e l’incompiutezza delle soluzioni possibili, il relazionarsi in modo diverso dal passato il rapporto tra norma/tempo/spazio, tende a configurare le fonti del diritto non solo attraverso le categorie della gerarchia e della competenza ma altresì dell’‘elasticità’, in cui la fonte pragmaticamente si adatta all’evolversi del rapporto da disciplinare.

3. Grande è la confusione sotto il cielo della politica, massima è l’incertezza nell’utilizzo delle fonti del diritto
Nella pluridecennale attività dell’Osservatorio in modo ricorrente sono emersi i temi legati alla relazione tra crisi del sistema politico, forma di governo e sistema delle fonti (dal venir meno della centralità della legge, all’uso abnorme della decretazione d’urgenza, dalla frequente atrofia dei principi e criteri direttivi per l’adozione dei decreti legislativi, all’uso del potere regolamentare; dalla talora incerta relazione tra fonti statali e fonti regionali al complesso rapporto tra ordinamento dell’Unione europea ed ordinamenti nazionali e tanto altro ancora).
Ma in questi ultimi anni sembra essersi avuta un’accelerazione dei fattori di crisi delle fonti come conseguenza dell’accentuarsi delle crisi del sistema politico, nazionale e dell’Unione europea, e del sistema delle relazioni internazionali.
La crisi del sistema politico si manifesta anche a livello costituzionale, come testimonia l’incapacità di addivenire ad una pur necessaria condivisa riforma organica della forma di governo e del rapporto tra Stato, Regioni, autonomie locali.
Come noto sono falliti sia i lavori di Commissioni parlamentari per le riforme costituzionali, che respinte per via referendaria delibere di revisione costituzionale che investivano un ampio spettro di norme ed istituti.
In tali casi una parte della dottrina ha mosso critiche all’uso del procedimento di revisione costituzionale per riformare contemporaneamente una pluralità di istituti e criticato, in ipotesi, l’uso del referendum (non)confermativo attraverso un unico inevitabilmente eterogeneo quesito.
Critica sollevata da autorevoli costituzionalisti e da non sottovalutare.
Ma attualmente stiamo assistendo ad un uso ‘parcellizzato’ dell’art. 138 della Costituzione, come è ad esempio quello relativo alla riduzione dei parlamentari, che per le conseguenze sistemiche che comporta richiede poi ulteriori interventi: quasi una riforma costituzionale ‘a fasi differite’.
Così come certe procedure di revisione in corso (quali quelle relative agli istituti di partecipazione democratica) sembrano, alla fase attuale dei lavori parlamentari, configurarsi consapevolmente o inconsapevolmente senza tener conto delle conseguenze di ‘disallineamento’ con i caratteri più profondi dell’impianto democratico rappresentativo.
Ma sia allora che ora i problemi (che si riverberano sulla fonte costituzionale) altro non sono che di natura politica: l’incapacità di ragionare di riforme costituzionali (e di legge elettorale) con riferimento ad un orizzonte che vada oltre la contingenza.
Ancora: ormai da anni l’approvazione della fondamentale legge di bilancio avviene attraverso la forzatura delle procedure stabilite dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari, prevalentemente per cause che trovano origine nelle difficoltà del quadro politico (la Rivista se ne è occupata nel numero 1/2019 con particolare riferimento alla ordinanza della Corte costituzionale 17 del 2019 e, al momento in cui scriviamo, sembra probabile un ricorso analogo alla Corte con riferimento alla procedura di approvazione della attuale legge di bilancio).
Ma potremmo continuare a lungo sugli effetti dello stato confusionale della dialettica politica sulle fonti del diritto.

4. Una proposta di sequenza di lettura dei saggi pubblicati in questo numero
La Rivista ospita anche in questo numero i contributi più vari e al tempo stesso si conferma non una ‘rivista contenitore’ bensì una ‘rivista progetto’, perché, al di là dei temi trattati, un ‘filo rosso’ li accomuna: il metodo, la ricostruzione rigorosa e puntuale dell’effettivo configurarsi delle fonti esaminate in relazione ai contesti in cui si vanno a manifestare.
In questo senso, ogni saggio rappresenta una tessera di un mosaico che (ri)disegna il sistema delle fonti e finisce per descrivere il contesto in cui le fonti interagiscono, spesso in modo più incisivo di tante analisi politologiche o sociologiche.
Del resto, lo studio dell’ordinamento giuridico rappresenta l’osservatorio privilegiato di una società.
I saggi di questo numero sono raccolti nella tradizionale sezione (con contributi sul rapporto tra legislazione e giurisprudenza nell’evoluzione del diritto di famiglia; sulla compatibilità con i diritti umani dei trattati conclusi dall’Unione europea con Stati terzi; sull’ambito dell’effetto diretto del diritto dell’Unione europea sugli ordinamenti nazionali dei Paesi membri; sulla giustiziabilità della legge di bilancio; sul regionalismo sardo; sulla stabilizzazione del personale medico convenzionato) ed in uno speciale sul “regionalismo differenziato” dallo spessore anche teorico rilevante.
Si tratta di contributi che in aderenza al metodo dell’Osservatorio sono densissimi nella ricostruzione normativa e, quando richiesto dal tema, si addentrano su profili particolarmente complessi dal punto di vista tecnico-giuridico e fattuale.
Ne consegue che operarne una sintesi risulterebbe riduttivo; pertanto, si propone una sequenza di lettura d’insieme dei saggi che evidenzi le peculiarità delle plurali dinamiche, ad ogni livello del sistema, di un ordinamento ‘in movimento’.

4.1. Le costituzioni democratiche di fronte alla messa in discussione del patto costituzionale
Sotto la spinta di forze disgregatrici (che trovano dirompente energia dal combinarsi di una crisi economica strutturale e dalle crisi identitarie e dei tradizionali processi politici democratico-rappresentativi) alcuni ordinamenti giuridici vedono mettere in discussione il proprio stesso fondamento costituente.
Tra gli ordinamenti europei quello che deve far fronte alla crisi più complessa e gravida di pericolose conseguenze sul terreno della convivenza civile è quello spagnolo, lacerato dall’indipendentismo catalano.
Elena Bindi ricostruisce compiutamente tali vicende, evidenziando come la lacerazione che attraversa non solo la società spagnola ma la stessa società catalana, per gli sviluppi assunti, non sembra risolvibile alla luce del diritto costituzionale spagnolo che prevede l’indivisibilità della Nazione, come del resto sottolineato con forza dal Tribunal constitucional.
Non a caso, se si esclude qualche raro giurista militante indipendentista, la dottrina costituzionalistica spagnola è pressoché unanime nel sottolineare che l’agire dei movimenti indipendentisti, al di là delle altrui responsabilità politiche, sia al di fuori della Costituzione e dello Statuto di autonomia catalano.
Il conflitto non solo permane ma è aggravato proprio dal fatto che ad essere messo in discussione è il patto costituente: pertanto, il diritto non può svolgere in tale contesto la funzione che gli è propria di depotenziare la lacerazione della società.
Ma se lo Stato spagnolo deve prendere consapevolezza della impossibilità di ignorare, anche dal punto di vista giuridico, la rilevanza della frattura che tende a delegittimare l’unità della Nazione, nondimeno il variegato movimento indipendentista dovrebbe acquisire la consapevolezza che la frattura sociale è bidirezionale, che la loro pretesa politica divide a metà la stessa società catalana, che comunque per sopravvivere una nuova statualità richiederebbe un impossibile patto costituente con l’altra metà della propria stessa comunità.
La via ragionevolmente percorribile sembrerebbe quella di un’ampia riforma costituzionale in senso federale dello Stato spagnolo (il federalismo è un modo al tempo stesso per ricomporre ad unità e per valorizzare le identità e le specificità). Ma, come giustamente sottolinea l’Autrice, questo attiene alla capacità delle forze politiche di elaborare un compromesso di alto profilo (che potrebbe trovare la possibilità costituzionale offerta dalla disciplina dell’art. 168 di “revisione totale” della Costituzione), che la logica delle (irrazionali) tifoserie non fa al momento intravedere.

4.2. La mutevole relazione tra legislatore e giudice nella evoluzione del diritto
L’Osservatorio nello studio delle fonti affronta temi che attengono ai processi di strutturazione dell’ordinamento giuridico sotto i più vari profili: compreso quello rilevantissimo del rapporto tra legislazione e giurisprudenza. Sottolineava il grande Tullio Ascarelli che si ha diritto non al momento della mera statuizione della disposizione, ma al momento della sua interpretazione; così come il Presidente emerito della Corte costituzionale Paolo Grossi ricorda che nell’epoca postmoderna, in cui la realtà da disciplinare è sempre più complessa e mutevole, l’interprete (ed in primo luogo il giudice e, tra questi, la Corte costituzionale) assume un ruolo sempre maggiore nel portare ad ‘emersione’ ciò che definiamo diritto.
Questo è del tutto evidente negli ambiti particolarmente soggetti ai mutamenti sociali; non a caso, Francesco Galgano nella monografia del 2005 dal titolo La globalizzazione nello specchio del diritto titolava un intero capitolo Il giudice al posto del legislatore.
Giusto Puccini affronta il tema in un lunghissimo saggio ricco di richiami normativi, giurisprudenziali e di dottrina con riferimento al diritto di famiglia, cogliendo come la giurisprudenza ordinaria, costituzionale e della Corte di Strasburgo abbia dovuto intervenire in ambiti in cui il legislatore (nella impossibilità di pervenire al necessario consenso politico) non è stato sempre del tutto capace di garantire i diritti fondamentali nei nuovi contesti sociali relativi ai diritti del minore, delle famiglie di fatto, della procreazione medicalmente assistita.
L’Autore non indugia in astratte teorizzazioni, ma negli ambiti tra i più significativi del diritto di famiglia ricostruisce la tutela multilivello delle varie giurisdizioni, sottolineando come finiscano per recepire l’evoluzione degli “orientamenti culturali (...) diffusi nella coscienza sociale”.
Puccini ha scelto a ragion veduta il campo d’indagine, in quanto il “diritto di famiglia [rappresenta il] terreno privilegiato di coltura e di sviluppo di diritti fondamentali”.

4.3. La stipula di trattati da parte dell’Unione europea con Stati terzi ed il rispetto dei diritti umani
Tecnicamente raffinato ed interessante dal punto di vista argomentativo, il saggio di Annalisa Ciampi affronta il tema della compatibilità con i diritti umani dei trattati conclusi dall’Unione europea con Stati terzi.
L’Autrice si sofferma in particolare sul parere 1/17 della Corte di giustizia, relativo al rilevantissimo nuovo accordo commerciale tra l’Unione europea ed il Canada (il c.d. CETA), con il quale la Corte ha considerato compatibile il trattato con il diritto primario europeo, inclusa la Carta dei diritti fondamentali.
Ai fini della nostra riflessione, particolarmente significative sono le considerazioni svolte da Ciampi con riferimento al sistema arbitrale di risoluzione delle controversie previsto dal trattato, ritenendo sussistere più di una criticità con riferimento agli articoli 20 “Uguaglianza di fronte alla legge” e 47 “Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nella posizione assunta dalla Corte di giustizia non sarebbe dunque esente la rilevanza economica del trattato e la salvaguardia delle relazioni internazionali dell’Unione (vale a dire una valutazione in senso lato ‘politica’), dubitando l’Autrice che le criticità di un sistema arbitrale di questo tipo supererebbero, in altro contesto, il giudizio della Corte e non escludendo che possano essere fatte valere in altre sedi giudiziali nazionali ed internazionali.

4.4. Il complesso processo di costruzione dell’ordinamento dell’Unione europea
Il contributo di Daniele Gallo, incentrato sui profili relativi all’effetto diretto del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali, affronta un tema che va al cuore, come tutti quelli che attengono al sistema delle fonti dell’Unione, del (complessissimo) processo di integrazione europea.
Anche per questo il saggio è importante, in particolare in un momento storico in cui le opinioni pubbliche dei Paesi membri sono sempre più critiche nei confronti delle politiche dell’Unione, talora a ragion veduta, ma di frequente perché ignorano la complessità del processo di integrazione europea (e la stessa ripartizione delle competenze tra Stati membri ed Unione, per cui vengono, su temi rilevantissimi, attribuite responsabilità all’Unione che in realtà sono degli Stati membri).
Giustamente, Gallo afferma che “Il principio del primato costituisce il nucleo dell’originalità del diritto dell’UE. Esso è «condition existentielle» [qui Gallo cita P. Pescatore] dell’ordinamento europeo: la sua negazione «svuoterebbe la Comunità di ogni contenuto» [e qui l’Autore richiama una ordinanza del 22 giugno 1965 della Corte di giustizia].
Concetto che sembra essere ignorato (o non fatto proprio) da forze politiche rilevanti in più Stati membri.
Prosegue Gallo: “Il primato [del diritto dell’Unione] ha una sfera più ampia dell’effetto diretto nella misura in cui anche norme non direttamente efficaci, com’è ovvio, impongono obblighi alle autorità nazionali.”.
Il saggio è significativo anche da un punto di vista di teoria generale del diritto, anche grazie al fatto che si avvale di quello che ho definito il ‘metodo dell’Osservatorio’: in questo caso, dato il tema, l’Autore muove dalla giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di primato e di effetto diretto del diritto dell’Unione, ma poi ne trae conseguenze (constatazioni) di carattere più generale, come quando parla della natura dell’ “effetto diretto” come “evolutiva, cangiante e camaleontica” e di come questo sia “un concetto naturalmente polisemico, come lo sono quelle categorie, di origine giurisprudenziali, attraverso le quali fenomeni sociali in continua trasformazione vengono inquadrati giuridicamente”. Ed ancora: “L’effetto diretto è un «meeting place» [qui Gallo cita T. Eijsbouts], un punto d‘incontro, una sintesi di tradizioni giuridiche differenti. È sintomo e strumento d’integrazione, capace di offrire all’interprete una bussola per orientarsi in un’indefinita cabala di categorie giuridiche di diritto sostanziale e processuale.”.

4.5. La sfuggente giustiziabilità costituzionale delle politiche di bilancio. Il controllo costituzionale di fronte alla tecnicalità delle scelte economico-finanziarie
Il saggio scritto da un profondo conoscitore come Michele Massa delle politiche di bilancio attiene ai problemi della relativa giustiziabilità ed è stato pensato, non a caso, per un Convegno intitolato Il governo dei numeri. Indicatori economico-finanziari e decisione di bilancio nello Stato costituzionale.
Il contributo può essere letto sotto una duplice, peraltro convergente, prospettiva: sia conoscitiva dei profili procedurali e sostanziali della legge di bilancio che teorica, sull’incidenza dei fenomeni economico-finanziari (“i numeri”) sugli stessi processi ordinamentali di natura giuridica.
Utilissima risulta così una trattazione che analizza in simbiosi i profili attinenti al Patto di stabilità e crescita (PSC) e più in generale agli obblighi comunitari in materia di bilancio e le previsioni costituzionali introdotte dalla revisione del 2012 in tema di pareggio di bilancio (che alle stesse previsioni dell’Unione si rifanno).
Emergono, proprio attraverso la rigorosa ricostruzione della tecnicalità della materia, i temi della distinzione tra atto tecnico ed atto politico; il carattere “flessibile” e “opaco” di molte disposizioni; i complessi problemi relativi a valutazioni economiche dai cui diversi approdi derivano diverse conseguenze sia di natura costituzionale che con riferimento all’Unione europea.
Per quanto riguarda l’ “applicazione del Patto di stabilità e crescita”, Massa afferma: "Se anche la prassi oscilla, la registrazione di un certo comportamento applicativo resta a testimoniare ciò che le fonti hanno consentito, o comunque si è ritenuto che consentissero in un dato momento”.
L’Autore sottolinea come “la complessità degli interessi in gioco a più livelli, la rilevanza politica delle scelte di bilancio, i dubbi sui concetti economici di riferimento, le stesse dinamiche temporali della gestione finanziaria, con le sue cadenze serrate ed esigenze di continuità – rendono le scelte di bilancio un ottimo esempio del genere di questioni in cui al giudice costituzionale si addice un atteggiamento minimalista, cauto nella portata teorica ed effettuale delle proprie decisioni.”.
Peraltro, ritengo che in questi casi ancor più che in altri, la Corte costituzionale dovrebbe rendere esplicite ed adeguatamente motivare nelle proprie decisioni le condizioni fattuali (latamente ‘politiche’) che giustificano il proprio self-restraint.

4.6. La compresenza di variegate articolazioni ed anime nel regionalismo italiano ed il conseguente problema di una forma di Stato regionale coerente e sostenibile
La Rivista, anche in questo numero, dedica particolare attenzione ai problemi dell’autonomia regionale, sia con il ricordato speciale sul c.d. “regionalismo differenziato” (con i contributi, oltre quello ricordato di Elena Bindi, di Elisabetta Catelani, Marco Mancini, Mario Perini, Lorenza Violini) che con i saggi sull’autonomia speciale della Regione Sardegna (con i contributi di Laura Buffoni, sull’ordinamento degli enti locali, e Michele Sias, sul Regolamento interno del Consiglio regionale) e sulla stabilizzazione del personale medico convenzionato nella Regione Piemonte (con il saggio di Davide Servetti, che evidenzia come la relativa disciplina si colloca al crocevia, non privo di tensioni, tra normativa statale, normativa regionale e contrattazione collettiva).
Qui ci limitiamo solo ad alcune considerazioni d’insieme. I segnali che emergono sono contraddittori, si sente la mancanza di un disegno politico istituzionale consapevole e complessivo sull’evoluzione della forma di Stato regionale e del suo intersecarsi con altri profili della forma di Stato del nostro Paese (in particolare sul versante del concreto funzionamento dello Stato sociale). Il cammino verso la realizzazione del c.d. “regionalismo differenziato” è da un lato politicamente incerto, dall’altro non chiaro sul piano procedurale, finanziario e delle complessive relazioni tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni e del ruolo del Parlamento.
Anche l’opinione pubblica sembra vivere percezioni ambivalenti: diffuse sono le critiche al funzionamento delle autonomie regionali (che vanno in parallelo alla più generale e crescente critica nei confronti del ceto politico nazionale e regionale), che si accompagnano alle sollecitazioni in aree economicamente prospere per un “regionalismo differenziato” che non sempre sembra essere mosso da un sentire delle autonomie come strumento fondante e consolidante l’unità della Repubblica.
Il nostro Paese, non solo con riferimento al sistema delle autonomie, sembra in bilico tra due profili altrettanto negativi: da un lato, un’incapacità riformatrice che preserva immobilismo e inadeguatezza istituzionale; dall’altro, la tendenza di orientarsi verso scelte che rispondono a logiche politiche contingenti, di corto respiro che sembrano totalmente ignorare gli effetti disarmonici sul sistema delle fonti del diritto (effetti questi sì di lunga durata).

5. Una conferma
In conclusione, possiamo sottolineare di nuovo che i contributi anche di questo numero della Rivista, pur affrontando temi anche tra loro molto diversi, condividono tutti alcune caratteristiche proprie del metodo dell’Osservatorio: la ricostruzione rigorosa di istituti e vicende istituzionali; l’analisi critica dell’evolversi delle fonti e delle conseguenze nell’ordinamento giuridico e, se del caso, nel sistema politico-istituzionale.
In tal modo, l’Osservatorio si conferma essere uno strumento utile alla riflessione scientifica ed al servizio delle Istituzioni.