Sentenza della Corte (Grande sezione) del 19 gennaio 2010, Seda Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG, C-555/07 (1/2010)

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Con la sentenza Kücükdeveci, resa il 19 gennaio 2010, la Corte di giustizia è tornata a pronunciarsi sulla esistenza (e sull’ambito applicativo) di un principio generale di non discriminazione in base all’età all’interno dell’ordinamento dell’Unione europea. Tale pronuncia presenta vari profili di interesse, relativi, in particolare, alla efficacia orizzontale dei principi generali e alla applicazione ratione temporis della Carta dei diritti fondamentali.

I fatti della causa. La signora Kücükdeveci, impiegata dal 1996 – ossia, da quando aveva l’età di 18 anni – presso la società tedesca Swedex, riceveva in data 19 dicembre 2006 una lettera di licenziamento, con effetto alla fine del mese. Il datore di lavoro aveva infatti calcolato il termine di preavviso come se la dipendente avesse avuto un’anzianità di tre anni, nonostante essa fosse alle sue dipendenze da dieci anni. Ciò in quanto l’art. 622(2) del codice civile tedesco, che individua i termini di preavviso in caso di licenziamento, stabilisce che nel calcolo della durata dell’impiego non si devono considerare i periodi di lavoro svolti prima del compimento del venticinquesimo anno di età del lavoratore. Secondo quanto spiegato dal giudice nazionale, tale previsione nasce dallo sforzo del legislatore tedesco di mediare tra l’esigenza di garantire al datore di lavoro un certo grado di flessibilità nella gestione dell’impresa e quella di tutelare adeguatamente i lavoratori: tra questi ultimi, quelli più giovani avrebbero minori difficoltà nel reinserirsi nel mercato del lavoro in caso di licenziamento. La signora Kücükdeveci contestava quindi il licenziamento davanti al Tribunale del lavoro, lamentando che la regola di cui all’art. 622(2) cod. civ. costituiva una misura di discriminazione in base all’età e chiedendone, pertanto, la disapplicazione. Respinto in primo grado, il ricorso veniva riproposto davanti al giudice dell’appello il quale, dubitando della conformità della norma in questione al diritto dell’Unione, proponeva rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. In particolare, il giudice nazionale formulava due questioni: con la prima chiedeva se una regola come quella di cui all’art. 622(2) cod. civ. fosse contraria al divieto di discriminazione in base all’età sancito dal diritto dell’Unione, in particolare dal diritto primario o dalla direttiva 2000/78; in caso di risposta affermativa, si richiedeva alla Corte se la ratio della regola, così come individuata dal giudice nazionale, potesse costituire una valida ragione giustificatrice. Con la seconda domanda, invece, il giudice tedesco domandava se, allorché un giudice nazionale è investito di una controversia tra privati, per poter disapplicare una normativa nazionale che ritenga contraria al diritto dell’Unione, egli debba previamente adire in via pregiudiziale la Corte di giustizia, affinché quest’ultima confermi la rilevata incompatibilità. Come spiegato dalla Corte, nel caso di specie tale questione era giustificata dal fatto che nell’ordinamento tedesco il giudice del rinvio non può disapplicare una disposizione vigente della legislazione nazionale ove questa non sia stata previamente dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale federale.

 

La decisione. L’argomentazione della Corte può essere riassunta nei seguenti passaggi:

 
 
Profili di rilievo. E’ agevole riconoscere nella argomentazione della Corte di giustizia la stessa logica seguita nella sentenza Mangold (in Racc. 2005, I-9981), peraltro più volte esplicitamente richiamata. In quella occasione, la Corte aveva per la prima (e, fino alla sentenza in commento, unica) volta affermato la esistenza di un principio generale di non discriminazione in base all’età, la sua preesistenza alla direttiva 2000/78, nonché la sua idoneità a produrre effetti diretti orizzontali. Tali enunciazioni vengono adesso riprese e rafforzate. In particolare, è da evidenziare il riferimento all’art. 21(1) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, come espressamente ricordato, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona fa parte del diritto primario dell’Unione; la disposizione citata della Carta include l’età tra i motivi espressi di non discriminazione. In questo modo, la Corte supera una delle principali critiche sollevate dalla sentenza  Mangold, secondo cui il principio generale di non discriminazione in base all’età era stato creato tout court dalla Corte, dal momento che esso non trova un solido riconoscimento in convenzioni internazionali, né può essere identificata una tradizione costituzionale comune degli Stati membri nel senso della sua protezione. Tuttavia, nonostante il riferimento al nuovo status della Carta, non è chiaro se la Corte abbia inteso riconoscere alla Carta vincolante efficacia retroattiva. Se così fosse, infatti, non si comprenderebbe perché si sia usato la Carta come strumento per ricostruire un principio generale e valorizzato quest’ultimo come parametro, piuttosto che direttamente l’art. 21(1) della Carta. L’aspetto più rilevante, ma almeno apparentemente anche più problematico, è la riaffermazione della idoneità di tale principio generale a produrre effetti diretti orizzontali. Evidente, infatti, è l’impatto della teoria dell’efficacia orizzontale sull’autonomia dei privati. Meno evidenti, invece, sono i criteri in base ai quali deve essere valutata l’idoneità di un principio generale a produrre siffatti effetti.