Il Tribunale respinge il ricorso del Venezuela contro le misure restrittive istituite dall’UE per reagire al deterioramento della situazione in materia di diritti umani, di Stato di diritto e di democrazia in corso nello stesso Stato (3/2023)

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Tribunale dell’Unione europea (Grande Sezione), sentenza 13 settembre 2023, Causa T-65/18 RENV, Repubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:T:2023:529.

La sentenza in oggetto costituisce un nuovo atto dell’articolata vicenda processuale che vede contrapporsi il Venezuela e il Consiglio dell’Unione europea in relazione alle misure restrittive adottate da quest’ultimo per contrastare il drastico peggioramento della situazione in materia di diritti umani, di Stato di diritto e di democrazia in corso ormai da alcuni anni in Venezuela. La causa è tornata dinanzi al Tribunale dopo che lo stesso (Causa T-65/18) aveva respinto il ricorso del Venezuela volto a ottenere l’annullamento di alcune disposizioni del regolamento adottato dal Consiglio per dare attuazione alle misure restrittive in questione. Lo Stato terzo, impugnata la sentenza del Tribunale sopra ricordata, ne ha ottenuto il parziale annullamento da parte della Grande Sezione della Corte di giustizia (Causa C-872/19 P), la quale ha altresì rinviato la causa al Tribunale affinché statuisca nel merito. Quest’ultimo, analizzati i quattro motivi sollevati dal Venezuela a sostegno della sua richiesta di annullamento, ha respinto integralmente il ricorso.

 

Da diversi anni, in Venezuela, si verificano significative limitazioni dei principi democratici, dello Stato di diritti e dei diritti umani. L’Unione europea ha tentato di reagire a questa situazione adottando, tra l’altro, la decisione (PESC) 2017/2074[1]. In sostanza, quest’ultima impone il divieto di esportare in Venezuela o a destinazione di tale Paese armi, equipaggiamenti militari o qualsiasi altra attrezzatura utilizzabile a fini di repressione interna, nonchè apparecchiature, tecnologia o software di controllo. In secondo luogo, l’atto in questione contiene un divieto di fornire al Venezuela servizi finanziari, tecnici o di altra natura connessi a tali attrezzature e tecnologie. In terzo luogo, essa prevede altresì la possibilità di istituire il congelamento di fondi e risorse economiche di persone, entità e organismi coinvolti nelle azioni repressive che l’Unione intende contrastare. Al fine di assicurare l’attuazione di detta decisione, il Consiglio dell’Unione europea (Consiglio, in avanti) ha adottato il regolamento (UE) 2017/2063[2], sul fondamento dell’art. 215 TFUE e della decisione in questione («regolamento impugnato», in seguito), e il regolamento di esecuzione (UE) 2018/1653.

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 febbraio 2018, il Venezuela aveva presentato un ricorso volto a ottenere l’annullamento, in primo luogo, del regolamento impugnato, in secondo luogo, del regolamento di esecuzione 2018/1653 e, in terzo luogo, della decisione (PESC) 2018/1656, nei limiti in cui le disposizioni di tali atti lo riguardavano. Con la sentenza pronunciata il 20 settembre 2019[3], in causa T-65/18 («sentenza iniziale», di seguito), il Tribunale aveva respinto il ricorso dichiarandolo irricevibile per il regolamento impugnato e stabilendo, in sostanza, che lo Stato terzo non era legittimato ad agire in quanto non direttamente riguardato dai suddetti atti. Di conseguenza, il Tribunale aveva respinto il ricorso anche nella parte in cui riguardava il regolamento di esecuzione (UE) 2018/1653, mentre aveva dichiarato irricevibile il ricorso con riferimento alla decisione (PESC) 2018/1656 poiché il Venezuela non ne aveva chiesto l’annullamento nell’atto introduttivo del giudizio.

Insoddisfatto dell’esito processuale, lo Stato terzo in questione aveva impugnato la sentenza iniziale dinanzi alla Corte di giustizia. Quest’ultima, diversamente dal Tribunale, si era innanzitutto soffermata sulla particolare qualità del ricorrente per confermare che lo Stato terzo deve essere considerato persona giuridica ai fini dell’esercizio del ricorso in annullamento ex art. 263, par. 4, TFUE[4]. Il fulcro del ragionamento sviluppato dalla Corte ruotava attorno al rispetto dello Stato di diritto nell’Unione attraverso la garanzia della tutela giurisdizionale effettiva nei confronti di qualunque soggetto che soddisfi i requisiti per poter attivare i mezzi di ricorsi previsti dai Trattati. Ciò posto, la Corte era passata a valutare l’argomento di impugnazione sollevato dal Venezuela, ossia, l’errata interpretazione del Tribunale laddove, nella prima sentenza, aveva escluso che il ricorrente fosse direttamente riguardato dalle misure restrittive. Al contrario, la Corte di giustizia, ammettendo che i divieti in questione impediscono al Venezuela di procurarsi numerosi prodotti e servizi, stabiliva che il regolamento impugnato produce direttamente effetti sulla situazione giuridica dello Stato ricorrente. Pertanto, la Corte accoglieva il motivo unico dell’impugnazione sollevato dal Venezuela ed annullava la sentenza iniziale del Tribunale nella parte in cui dichiara irricevibile il ricorso. Ritenendo di avere sufficienti elementi, la Corte di giustizia decideva di pronunciarsi in via definitiva su tale punto, mentre rinviava la causa al Tribunale affinché statuisse nel merito[5]. Con riguardo alla ricevibilità, la Corte considerava il primo motivo di irricevibilità sollevato dal Consiglio relativo alla mancanza di interesse del Venezuela a chiedere l’annullamento delle misure restrittive di cui trattasi. L’interesse ad agire presuppone che l’annullamento dell’atto impugnato possa, di per sé, provocare un beneficio nei confronti della persona fisica o giuridica che lo ha impugnato. Poiché la Corte aveva già statuito che le misure restrittive in questione determinano un pregiudizio al Venezuela, il loro annullamento sarebbe idoneo a procurargli un beneficio. Il primo motivo di irricevibilità veniva così respinto. Di seguito, la Corte considerava anche il secondo dei due criteri cumulativi che devono ricorrere per constatare che il Venezuela sia direttamente interessato dalle misure restrittive in questione, ossia, il criterio secondo il quale le misure in parola non devono lasciare alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati di attuarle. La Corte riteneva soddisfatto anche questo secondo criterio, riconoscendo la natura di atto regolamentare al regolamento impugnato. Da ciò ne conseguiva la constatazione della legittimazione del Venezuela ad agire contro le disposizioni del regolamento di esecuzione che stabiliscono le misure restrittive senza dover dimostrare che questo lo riguardi anche individualmente. Con la sentenza del 22 giugno 2021[6], in causa C-872/19 P (la «sentenza su impugnazione», in avanti), la Corte di giustizia procedeva così all’annullamento della sentenza iniziale del Tribunale nella parte in cui aveva respinto il ricorso del Venezuela e nei limiti in cui era diretto all’annullamento del regolamento impugnato.

In base all’art. 53 del Regolamento di procedura del Tribunale, spetta a quest’ultimo pronunciarsi sulla fondatezza dell’insieme dei motivi invocati dal Venezuela a sostegno della domanda di annullamento del regolamento impugnato, segnatamente, degli artt. 2, 3, 6 e 7 dello stesso. A sostegno del suo ricorso, il Venezuela ha dedotto quattro motivi, vertenti, il primo, sulla violazione del diritto a essere ascoltato; il secondo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione; il terzo, sull’inesattezza materiale dei fatti e su un errore manifesto di valutazione della situazione politica in Venezuela e, il quarto, sull’imposizione di contromisure illegittime e sulla violazione del diritto internazionale.

Preliminarmente all’analisi nel merito, il Tribunale si è soffermato sulla natura delle misure restrittive in questione al fine di ribadirne la portata generale. Secondo il Venezuela, infatti, il riferimento a «governo, enti pubblici, imprese o agenzie del Venezuela, o (...) qualsiasi persona o entità che agisca per loro conto o sotto la loro direzione» contenuto, rispettivamente, negli artt. 6, par. 2 e 7, par. 1, lett. c), dimostrerebbe la natura individuale dei provvedimenti restrittivi in questione. Il Tribunale ha affermato invece che il riferimento di cui sopra non inficia il carattere generale di tali misure che, pertanto, sono state propriamente adottate in base all’art. 215, par. 1, TFUE. A sostegno della sua lettura, il Tribunale richiama il brano della sentenza di impugnazione in cui la Corte ha affermato che il regolamento impugnato ha portata generale, «nei limiti in cui contiene disposizioni come quelle dei suoi artt. 2, 3, 6 e 7, che vietano a categorie generali e astratte di destinatari di procedere a determinate transazioni con soggetti parimenti contemplati in modo generale e astratto». Pertanto, sebbene le misure restrittive siano volte a ridurre le relazioni economiche con il Venezuela, queste si applicano a categorie generali di persone ed entità e non riguardano nominativamente lo Stato terzo ricorrente. La distinzione non è priva di conseguenze formali in relazione alle garanzie giuridiche che devono essere assicurate ai destinatari e, di conseguenza, al controllo giurisdizionale che può essere svolto. Infatti, i motivi dedotti dal Venezuela a sostegno della domanda di annullamento sono stati vagliati dal Tribunale alla luce della natura generale dei divieti oggetto di contestazione.

Con riferimento al primo motivo, il Tribunale ha stabilito che il fatto che il Venezuela sia direttamente interessato dagli artt 2, 3, 6 e 7 del regolamento impugnato non può, di per sé, conferirgli il beneficio del diritto di essere ascoltato. A sostegno della sua lettura, il Tribunale ha affermato che tale diritto nell’ambito di un procedimento amministrativo non può essere trasposto nel contesto delle procedure di cui agli artt. 29 TUE e 215 TFUE allorché conducono all’adozione di misure di portata generale. Inoltre, il Tribunale ha escluso l’applicabilità dell’art. 41, par. 2, lett. a) della Carta al caso di specie adottando un’interpretazione letterale della disposizione che, in effetti, fa riferimento a «provvediment[i] individual[i]» adottati nei confronti di una persona. Infine, nella prospettiva degli aspetti di politica estera dell’Unione che questa vicenda processuale solleva, appare interessante l’argomento sviluppato dal Tribunale che ruota proprio attorno alla scelta in materia di politica internazionale dell’Unione. Il Tribunale ha dapprima ricordato che «l’interruzione o la riduzione delle relazioni economiche con un paese terzo, in applicazione dell’art. 215, par. 1, TFUE, integra la definizione stessa della PESC, ai sensi dell’art. 24, par. 1, secondo comma, TUE, nella parte in cui una siffatta riduzione o interruzione implica l’adozione di misure in risposta a una situazione internazionale particolare, a discrezione delle autorità dell’Unione, al fine di esercitare un’influenza su una siffatta situazione»[7]. Di conseguenza, secondo l’interpretazione condivisibile del Tribunale, l’ascolto del Paese terzo interessato, prima dell’adozione del regolamento impugnato che, nel caso di specie, ha dato attuazione alla scelta di politica estera del Consiglio, avrebbe di fatto obbligato tale istituzione a negoziare con lo Stato terzo in questione, snaturando l’obiettivo intrinseco della misura restrittiva, ossia esercitare una pressione su quest’ultimo al fine di portare a una modifica del suo comportamento.

Il secondo motivo avanzato dal Venezuela a sostegno del ricorso in annullamento concerne l’insufficiente motivazione del regolamento impugnato che gli non consentirebbe di valutare la fondatezza delle misure restrittive e di rispondervi in maniera adeguata. A supporto della sua argomentazione, lo Stato terzo affermava altresì che la significativa ingerenza di queste ultime nei suoi affari interni avrebbe richiesto una giustificazione più approfondita da parte del Consiglio. Ancora una volta, la risposta del Tribunale trae fondamento dalla natura generale delle misure restrittive in questione. Nella sentenza in esame, infatti, il Tribunale dapprima ha ricordato che l’obbligo di motivazione costituisce un elemento di forma sostanziale la cui portata dipende dalla natura dell’atto di cui trattasi e, nel caso di atti destinati a un’applicazione generale, la motivazione può limitarsi a indicare, da un lato, la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e, dall’altro, gli obiettivi generali che esso si prefigge. Ciò posto, il Tribunale ha richiamato alcuni considerando del regolamento impugnato unitamente ad alcuni dei considerando contenuti nella decisione PESC 2017/2074 per concludere che sia la situazione complessiva che ha condotto all’adozione delle misure restrittive sia gli obiettivi che queste si propongono di raggiungere sono ampiamente illustrati dal Consiglio. Di conseguenza anche il secondo motivo è stato respinto.

Il terzo motivo sollevato dal Venezuela attiene, invece, alla legittimità nel merito dell’atto controverso, riguardando l’inesattezza materiale dei fatti e la commissione di un errore manifesto di valutazione della situazione politica nello Stato in questione da parte del Consiglio. Evidentemente, la risposta a tale argomento implicherebbe lo svolgimento di una valutazione delle scelte di politica estera che hanno condotto il Consiglio ad adottare le misure restrittive in questione. Il Tribunale in effetti ha respinto l’argomento del Venezuela rifacendosi all’ampio potere discrezionale, di natura politica, di cui gode il Consiglio in base all’art. 29 TUE, ai sensi del quale, l’istituzione può adottare «decisioni che definiscono la posizione dell’Unione su una questione particolare di natura geografica o tematica». Poiché il regolamento impugnato ha una portata generale e riflette la posizione dell’Unione su una questione relativa alla PESC, non spetta al Tribunale sostituire la propria valutazione su tale questione a quella espressa dal Consiglio. In particolare, il Tribunale ha richiamato la consolidata giurisprudenza[8] secondo cui «il giudice dell’Unione non può sostituire la propria valutazione delle prove, dei fatti e delle circostanze che giustificano l’adozione di tali misure a quella svolta dal Consiglio»[9].

Ciò, tuttavia, non esime il giudice dell’Unione dalla facoltà di svolgere un certo controllo sull’azione del Consiglio. Nella sentenza in esame, il Tribunale ne ha definito la portata con riguardo al regolamento impugnato richiamando e allineandosi alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al controllo sugli atti dell’Unione che prevedono misure restrittive individuali[10]. Così, il Tribunale ha acclarato che «il controllo [da] esso esercita[to] dev’essere limitato alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti nonché dell’assenza di errori manifesti di valutazione dei fatti e di sviamento di potere». Per quanto riguarda il controllo dell’esattezza materiale dei fatti, la verifica svolta dal Tribunale è volta ad accertare l’esistenza di una base fattuale sufficientemente solida, in modo che il controllo giurisdizionale non si limiti alla valutazione della verosimiglianza astratta dei fatti[11]; mentre, il controllo dei fatti svolto dal Tribunale mira ad accertare l’assenza di un errore manifesto di valutazione da parte del Consiglio. Secondo la giurisprudenza sopra ricordata, il giudice dell’Unione può chiedere all’autorità competente dell’Unione di produrre informazioni o elementi probatori, anche riservati, pertinenti per un siffatto esame. Rispetto alla fondatezza dei fatti materiali su cui si fondano i provvedimenti restrittivi in questione, il Tribunale si è limitato a constatare che gli elementi di prova forniti dal Consiglio, vale a dire, comunicati, appelli e relazioni pubblicati da ONG (come Human Rights Watch) e Organizzazioni internazionali (quali, l’OSA e la Commissione interamericana dei diritti dell’uomo), provengono da fonti attendibili e illustrano in maniera sufficientemente dettagliata la repressione in corso in Venezuela. Al contrario, il Tribunale ha ritenuto che il Venezuela non sia riuscito a dimostrare che i fatti su cui si basa l’adozione delle misure restrittive in questione siano inficiati da inesattezze materiali[12]. Con riferimento all’errore manifesto di valutazione da parte del Consiglio, invece, il Tribunale, dopo aver ribadito che il giudice dell’Unione svolge un controllo limitato in relazione a tale profilo, ha stabilito che gli elementi sopra ricordati potevano portare il Consiglio a valutare sussistente una minaccia alla democrazia, allo Stato di diritto e ai diritti umani in Venezuela tale da legittimare la presa di posizione da esso assunta. L’errore manifesto è stato quindi escluso[13].

Con il quarto motivo di impugnazione, invece, il Venezuela ha lamentato l’illegittimità delle misure restrittive in questione sia rispetto al diritto internazionale generale sia rispetto agli Accordi OMC che l’Unione è tenuta ad osservare. Segnatamente, lo Stato ricorrente ha sostenuto che le misure restrittive adottate dal Consiglio configurano una forma di contromisura illegittima nella prospettiva del diritto internazionale, idonea a violare il principio di non ingerenza nei suoi affari interni. Poiché il Consiglio ha contestato che dette misure restrittive non costituiscono contromisure, il Venezuela ha sostenuto in subordine che i provvedimenti in questione sarebbero comunque illegittimi poiché adottati senza la previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il Tribunale ha dapprima chiarito che, sebbene le istituzioni dell’Unione siano tenute al rispetto del diritto internazionale consuetudinario, quest’ultimo può essere invocato da un singolo ai fini dell’esame della validità di un atto dell’Unione se e in quanto, da un lato, i principi di diritto internazionale invocati sono idonei a mettere in discussione la competenza dell’Unione ad adottare tale atto e, dall’altro, l’atto in questione può incidere su diritti attribuiti al singolo dal diritto dell’Unione o far sorgere nei suoi confronti obblighi correlati a tale diritto[14]. Rispetto all’intensità del controllo giurisdizionale, il Tribunale ha affermato che i principi di diritto internazionale consuetudinario non presentano un grado di precisione comparabile a quello delle disposizioni di un accordo internazionale, pertanto, il controllo giurisdizionale esercitato sulla base di questi deve essere necessariamente circoscritto.

Così, nella sentenza in esame, il Tribunale si è limitato a valutare se, nell’adozione del regolamento impugnato, il Consiglio avesse commesso un errore manifesto di valutazione riguardo ai presupposti di applicazione del principio invocato dal Venezuela. Dapprima, però, il Tribunale ha escluso che le misure restrittive previste dal regolamento impugnato potessero essere configurabili alla stregua di una contromisura rifacendosi al dettato dell’art. 49 del Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti, adottato nel 2001 dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, in quanto le misure in questione non avevano l’obiettivo di reagire a un fatto internazionalmente illecito imputabile al Venezuela mediante il non rispetto temporaneo degli obblighi internazionali dell’Unione[15]. Di conseguenza, la violazione del principio di non ingerenza negli affari interni contestata dallo Stato terzo è stata respinta. Essendo stato escluso che le misure restrittive in questione costituiscano delle contromisure, l’argomento del Venezuela secondo cui uno Stato terzo dispone del diritto di essere informato prima che un altro Stato adotti delle contromisure nei suoi confronti è stato ritenuto inoperante. Anche l’argomento secondo cui l’adozione di misure restrittive generali da parte dell’Unione sia subordinato a una previa autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato respinto integralmente dal Tribunale. In effetti, gli artt. 29 TUE e 215 TFUE attribuiscono al Consiglio il potere di adottare gli atti contenenti misure restrittive autonome rispetto a quelle di origine onusiana e nulla nel dettato delle disposizioni richiamate lascia intendere che la competenza del Consiglio in proposito sia limitata all’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che istituiscono regimi sanzionatori. Peraltro, neppure lo stato dell’arte del diritto internazionale generale consente di ritenere esistente una consuetudine con un simile contenuto.

Infine, il Tribunale ha altresì escluso che il Consiglio abbia violato il principio di proporzionalità nell’istituzione delle misure restrittive. Il giudizio del Tribunale si è basato largamente sulla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale nell’adozione di atti in settori che implicano scelte di natura politica, economica e sociale[16]. All’autonomia decisionale riconosciuta alle istituzioni dell’Unione fa da contraltare un controllo giurisdizionale limitato ad accertare solo la manifesta inidoneità, rispetto all’obiettivo che l’istituzione competente intende perseguire, dell’atto adottato in tali settori. Nel caso di specie, il Tribunale ha stabilito che esiste un rapporto ragionevole tra i divieti previsti dal regolamento impugnato e l’obiettivo che questo si pone. La facoltà attribuita alle autorità nazionali competenti di prevedere talune autorizzazioni in deroga alle misure restrittive in questione ha confermato il carattere non manifestamente inappropriato di queste ultime.

Per quanto concerne, invece, la supposta incompatibilità dei divieti imposti dal regolamento impugnato con gli Accordi OMC, il Tribunale ha ribadito la costante giurisprudenza secondo cui detti accordi non figurano, in linea di massima, tra i parametri di legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione. Un’eccezione a tale esclusione, tuttavia, sarebbe ricavabile nell’ipotesi in cui l’atto impugnato intenda dare esecuzione a un obbligo particolare assunto nel quadro dell’OMC dall’Unione e rinvii in modo esplicito alle precise disposizioni degli Accordi OMC[17]. Nel caso di specie, però, nessuno degli argomenti prodotti dal Venezuela è stato ritenuto idoneo a dimostrare tale condizione e pertanto il motivo è stato respinto.

Analoga sorte è toccata, infine, all’argomento del Venezuela basato sulla supposta produzione di effetti extra-territoriali da parte del regolamento impugnato, in maniera non conforme con il diritto internazionale generale[18]. In proposito, il Tribunale si è limitato a ribadire che l’art. 29 TUE autorizza il Consiglio ad adottare atti con cui viene definita la posizione dell’Unione su una questione particolare, che può essere di natura geografica come tematica. Quindi, il Tribunale ha richiamato ancora il dettato dell’art. 215, par. 1, TFUE in virtù del quale l’adozione di decisioni che prevedono l’interruzione o la riduzione (totale o parziale) delle relazioni economiche e finanziarie con un Paese terzo rientra pienamente nella sua facoltà. Pertanto, sebbene l’obiettivo implicito delle misure in questione è produrre un impatto sullo Stato terzo interessato affinché modifichi la sua condotta, nulla nei Trattati istitutivi impedisce al Consiglio di procedere in tal modo. Il richiamo alla giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia da parte del Venezuela non è stato ritenuto pertinente poiché relativa a una fattispecie diversa da quella oggetto del presente ricorso. Peraltro, il Tribunale ha appoggiato la posizione del Consiglio, secondo cui le misure restrittive in questione riguardano persone e situazioni rientranti nella giurisdizione ratione loci o ratione personae degli Stati membri. In conclusione, il Tribunale ha escluso che vi siano prove che dimostrano l’esercizio, da parte dell’Unione, delle sue competenze sul territorio o nei confronti di persone che rientrano esplicitamente nella giurisdizione del Venezuela.

Il Tribunale dell’Unione ha adottato la sua decisione in merito al ricorso qui analizzato sulla base degli argomenti portati dalla parte ricorrente. Nel caso di specie, i motivi addotti dal Venezuela concernevano sia profili procedurali (quali, il diritto dello Stato terzo direttamente riguardato dalle misure restrittive ad essere ascoltato e l’insufficiente motivazione nel regolamento impugnato) sia questioni di merito (l’inesattezza materiale dei fatti, l’errata valutazione della situazione politica nello Stato in questione da parte del Consiglio e la violazione di diversi principi di diritto internazionale generale e degli Accordi dell’OMC). L’analisi condotta dal Tribunale, che ha portato a respingere ognuno di tali motivi, è caratterizzata da una significativa enfasi sull’autonomia di cui gode il Consiglio nella valutazione di una situazione politica internazionale – sia essa di natura geografica o tematica – e nell’adozione degli atti che reputa necessari per potervi reagire. Sia le motivazioni di carattere procedurale sia quelle fondate su profili sostanziali avanzate dal Venezuela sono state vagliate alla luce di tale autonomia e che determina, altresì, l’esercizio di un controllo giurisdizionale circoscritto da parte del giudice dell’Unione. Pur non essendo mai invocato esplicitamente, l’attenzione del Tribunale riservata all’autonomia delle istituzioni politiche (anche in relazione al tema della proporzionalità delle misure disposte) rimanda altresì al rispetto dell’equilibrio istituzionale.  Il ragionamento sviluppato dal Tribunale rispetto all’impiego del diritto internazionale sia generale sia pattizio (in particolare, gli Accordi OMC) come parametro di legittimità di un atto di diritto dell’Unione appare ancorata saldamente alla giurisprudenza della Corte di giustizia che tende a limitare l’invocabilità di tali fonti nell’ambito dell’esercizio del controllo giurisdizionale da essa operato. In effetti, questa lettura ha consentito al Tribunale di respingere le argomentazioni addotte dal Venezuela. Parimenti, i principi di diritto internazionale generale e la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia richiamati nella sentenza permettono al Tribunale di rafforzare la propria decisione.

In conclusione, la decisione del Tribunale non sembra contenere elementi particolarmente innovativi in relazione a una tematica così delicata quale quella dell’estensione del controllo giurisdizionale sugli atti che istituiscono misure restrittive di carattere generale, soprattutto allorché il soggetto ricorrente sia proprio lo Stato terzo che, con una sua condotta, ha portato l’Unione ad adottare tali misure per ottenere un cambiamento da parte di quest’ultimo. Un’eccezione a quanto qui affermato, che potrebbe divenire significativa in futuro, emerge però in uno degli ultimi brani della sentenza qui analizzata in cui il Tribunale, nell’argomentare il respingimento del motivo relativo agli effetti extra-territoriali del regolamento impugnato, ha ribadito che il potere del Consiglio di adottare misure restrittive autonome nel quadro della PESC, conformemente ai valori dell’Unione, è volto a perseguire gli obiettivi di cui all’art. 3, par. 5, TUE e all’art. 21 TUE, segnatamente, quello diretto a promuovere, nel resto del mondo, la democrazia, lo Stato di diritto, l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il rispetto della dignità umana e il rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Quindi, il Tribunale ha affermato che «[i suddetti obiettivi] mirano, tra l’altro, a garantire il rispetto degli obblighi erga omnes partes di rispettare i principi discendenti dal diritto internazionale generale e dagli strumenti internazionali di carattere universale o quasi universale, segnatamente l’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, il rispetto dei diritti fondamentali [e] dei principi democratici […]». Secondo l’opinione evidentemente condivisibile del Tribunale, la tutela dei suddetti diritti costituisce «un interesse giuridico» comune[19]. Ebbene, il perseguimento di quello che può essere appropriatamente definito un interesse giuridico comune per la Comunità internazionale potrebbe trovare una valorizzazione maggiore in future decisioni del giudice dell’Unione. Segnatamente, posta la ricevibilità del ricorso da parte dello Stato terzo direttamente riguardato da un provvedimento restrittivo quale quello oggetto della sentenza qui analizzata, il perseguimento dell’obiettivo comune individuato dal Tribunale potrebbe essere preso in considerazione nell’analisi dei motivi prodotti a sostegno di un ricorso in annullamento da parte dello Stato terzo ricorrente. Ad esempio, questo potrebbe consentire un contemperamento efficace di interessi contrapposti ma ugualmente meritevoli di protezione, quali, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva dello Stato terzo ricorrente (espressione di una Comunità di diritto quale è l’Unione) e il perseguimento degli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione (in particolare, il rispetto dei principi democratici, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali), i quali costituiscono espressione di un interesse giuridico generale della Comunità internazionale. In altre parole, si ritiene che la tutela di detto interesse generale potrebbe sia legittimare un restringimento all’esercizio di taluni diritti di natura procedurale (come, il diritto all’ascolto) sia ammettere, nel merito, la proporzionalità del provvedimento restrittivo che ha per effetto quello di arrecare un pregiudizio nei confronti dello Stato terzo ricorrente. Inoltre, l’argomento della protezione di un interesse fondamentale per la Comunità internazionale, quale è il rispetto di obblighi erga omnes partes sopra ricordati, potrebbe essere utilmente impiegato nel caso in cui un ricorso in annullamento avverso un provvedimento restrittivo a portata generale trovasse accoglimento per fare salvi temporaneamente gli effetti dell’atto annullato ed evitare così di arrecare un pregiudizio irreversibile all’efficacia delle misure restrittive previste da tale atto.

Infine, nella prospettiva del ruolo dell’Unione sulla scena internazionale, lo sviluppo da parte del giudice dell’Unione di un’argomentazione che tenga conto della natura delle misure restrittive a portata generale di strumento tradizionalmente impiegato nei rapporti tra soggetti di diritto internazionale per proteggere (anche) interessi generali della Comunità internazionale apparirebbe quanto mai utile per evitare il rischio (paradossale) che l’effettiva tutela di quegli stessi interessi generali (in primis, lo Stato di diritto) entro l’ordinamento giuridico dell’Unione possa comportare un indebolimento (o, quanto meno, la percezione di un indebolimento) dell’azione esterna dell’Unione volta alla salvaguardia di detti interessi.

 

[1] Decisione (PESC) 2017/2074, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2017, L 295, pag. 60), modificata con la decisione (PESC) 2018/1656, che modifica la decisione (PESC) 2017/2074, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela, del 6 novembre 2018 (GU2018, L276, pag.10).

[2] Regolamento (UE) 2017/2063 del Consiglio, del 13 novembre 2017, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2017, L 295, pag.21).

[3] Tribunale dell’Unione europea, sentenza del 20 settembre 2019, Causa T-65/18, Reppubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio, EU:T:2019:649.

[4] La decisione della Corte di giustizia è in linea con le Conclusioni presentate dall’Avvocato Generale A.G. Hogan, in Causa C-872/19 P, Repubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio dell’Unione europea, 20 gennaio 2021, EU:C:2021:37.

[5] Art. 61 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

[6] Corte di giustizia (GS), sentenza del 22 giugno 2021, Causa C-872/19 P, Repubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:C:2021:507. La sentenza su impugnazione è stata oggetto di una scheda di approfondimento di questa Rubrica consultabile al seguente link: https://www.osservatoriosullefonti.it/archivi/archivio-rubriche/archivio-rubriche-2021/540-fonti-dell-unione-europea-e-internazionali/4105-osf-2-2021-ue-4

[7] Tribunale dell’Unione europea (GS), sentenza 13 settembre 2023, Causa T-65/18 RENV, Repubblica bolivariana del Venezuela c. Consiglio dell’Unione europea, ECLI:EU:T:2023:529, punto 42.

[8] Corte di giustizia, sentenza del 1° marzo 2016, Causa C-440/14 P, National Iranian Oil Company c. Consiglio, ECLI: EU:C:2016:128, punto 77; sentenza del 13 settembre 2018, Causa T-715/14, Rosneft e a. c. Consiglio, ECLI:EU:T:2018:544, punto 155 e Tribunale dell’Unione europea, sentenza del 25 gennaio 2017, Causa T-255/15, Almaz-Antey Air and Space Defence/Consiglio, non pubblicata, ECLI:EU:T:2017:25, punto 95 e giurisprudenza ivi citata.

[9] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punto 63.

[10] Corte di giustizia (GS), sentenza del 3 settembre 2008, Cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05, Kadi e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione, ECLI:EU:C:2008:461, punto 351; sentenza del 18 luglio 2013, Cause riunite C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, Commissione e a. c. Kadi, ECLI:EU:C:2013:518, punto 119 e sentenza del 28 novembre 2013, Causa C‑280/12 P, Consiglio c. Fulmen and Mahmoudian, ECLI: EU:C:2013:775, punto 64.

[11] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punto 64. Per analogia, si veda anche Tribunale dell’Unione europea, Causa T-248/18, Cabello Rondón c. Consiglio, cit., punto 64.

[12] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punti 72-76.

[13] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punto 80.

[14] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punto 88.

[15] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punti 90-92.

[16] Così, di recente, Tribunale dell’Unione, sentenza del 3 febbraio 2021, Causa T-124/19, Ilunga Luyoyo c. Consiglio, ECLI:EU:T:2021:63, punto 193 e giurisprudenza ivi citata.

[17] Corte di giustizia, sentenza del 22 giugno 1989, Causa 70/87, Fediol c. Commissione, ECLI: EU:C:1989:254, punti da 19 a 22; sentenza del 7 maggio 1991, Causa C-69/89, Nakajima c. Consiglio, ECLI:EU:C:1991:186, punti da 29 a 32. Più di recente, Tribunale dell’Unione, sentenza del 13 settembre 2018, Causa T-739/14, PSC Prominvestbank c. Consiglio, ECLI;EU:T:2018:547, punto 133 e giurisprudenza ivi citata.

[18] Così, ad esempio, Corte internazionale di giustizia, sentenza del 14 febbraio 2002, Mandato d’arresto dell’11 aprile 2000 (Repubblica democratica del Congo c. Belgio), C.I.J., Recueil 2002, pag. 3.

[19] Tribunale dell’Unione europea (GS), Causa T-65/18 RENV, Venezuela c. Consiglio, cit., punto 113.