La sentenza della Corte di giustizia nelle cause riunite c-411/10 e 493/11, N.S. e M.E. e A. (1/2012)

Il sistema europeo comune di asilo tra principio di reciproca fiducia e osservanza dei diritti fondamentali [1]

Il ricorrente nella causa N.S. è un cittadino afghano, giunto nel Regno Unito - dove aveva presentato domanda di asilo - dalla Turchia. N.S. era originariamente entrato illegalmente in Grecia, dove dichiarava di essere stato detenuto per quattro giorni prima di venire respinto in Turchia. Tuttavia, in Grecia non aveva presentato alcuna domanda di asilo. Il Secretary of State for the Home Department individuava nella Grecia lo Stato membro competente ad esaminare la domanda di asilo in base a quanto previsto dall'art. 17 del regolamento n. 343/2003, e chiedeva pertanto alla Grecia di prendere in carico il ricorrente nel procedimento principale.[2] Quest'ultima rispondeva alla richiesta entro il termine fissato all'art. 18, n. 7, del regolamento, cosicché, ai sensi di questa stessa disposizione, il suo silenzio veniva equiparato al riconoscimento della propria competenza per l'esame della domanda del ricorrente.

A questo punto, N.S. denunciava che il suo trasferimento in Grecia avrebbe comportato una violazione dei diritti garantitigli dalla CEDU. Tuttavia, il Secretary of State gli comunicava che tale denuncia era manifestamente infondata, poiché la Grecia figura nell'«elenco dei paesi sicuri» di cui alla Parte 2 dell'allegato 3 alla legge del 2004 sull'asilo (l'Asylum and Immigration Treatment of Claimants Act del 2004). Questa decisione del Secretary of State aveva come conseguenza quella di privare N.S. della possibilità di proporre nel Regno Unito un ricorso, con effetto sospensivo, contro la decisione del suo trasferimento in Grecia, possibilità che invece gli sarebbe spettata in assenza della decisione anzidetta. N.S. chiedeva, quindi, al Secretary of State di assumere la competenza per l'esame della sua domanda di asilo, ai sensi dell'art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003, secondo cui:

«In deroga al paragrafo 1, ciascuno Stato membro può esaminare una domanda d'asilo presentata da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento. In tale ipotesi, detto Stato membro diventa lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento e assume gli obblighi connessi a tale competenza. Eventualmente, esso ne informa lo Stato membro anteriormente competente, lo Stato membro che ha in corso la procedura volta a determinare lo Stato membro competente o quello al quale è stato chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente asilo».

Ciononostante, il Secretary of State confermava sia la decisione di trasferimento in Grecia di N.S. sia la decisione con cui la denuncia di quest'ultimo basata sulla CEDU era stata ritenuta manifestamente infondata. Tuttavia, N.S. veniva ammesso a presentare ricorso giurisdizionale contro queste decisioni. La High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court) respingeva il ricorso, ma autorizzava N.S. a interporre appello davanti alla Court of Appeal (England & Wales, Civil Division). Quest'ultima decideva di sottoporre alcune questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia in merito all'interpretazione del sistema comune di asilo, in particolare alla luce dell'obbligo dell'Unione e degli Stati membri di rispettare i diritti fondamentali sanciti dalla Carta UE. In data 16 maggio 2011, la causa N.S. veniva riunita ai fini della fase orale e della sentenza con la causa C-493/11, M.E. e a. Anche quest'ultima causa, originata da un rinvio pregiudiziale da parte di un giudice irlandese, riguardava alcuni cittadini di Stati terzi che, dopo essere transitati illegalmente in Grecia, erano giunti in Irlanda, dove avevano presentato domanda di asilo. Come N.S., anch'essi avevano denunciato che il loro trasferimento in Grecia - lo Stato membro competente per l'esame delle loro domande di asilo - avrebbe comportato una violazione dei loro diritti fondamentali quali garantiti dalla CEDU. 

In primo luogo, la Corte di giustizia ha precisato che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare il potere discrezionale previsto dall'art. 3, n. 2, del regolamento n. 343/2003 nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali. Ciò in quanto quel potere «costituisce solo un elemento del sistema comune di asilo», dal cui esercizio scaturiscono conseguenze precise, disciplinate dal regolamento stesso; in particolare, lo Stato membro che prende la decisione di esaminare esso stesso una domanda di asilo diventa, infatti, lo Stato membro competente ai sensi del regolamento n. 343/2003 e deve, all'occorrenza, informare l'altro o gli altri Stati membri interessati dalla domanda di asilo. Ne consegue, che la decisione di cui sopra costituisce una misura di attuazione del diritto dell'Unione ai sensi dell'art. 51, n. 1, della Carta, in base al quale gli Stati membri sono tenuti al rispetto dei diritti fondamentali dalla stessa garantiti «esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione» (paragrafi 64-69).

In secondo luogo, la Corte ha affermato che «[i]l sistema europeo comune di asilo è fondato sull'applicazione in ogni sua componente della Convenzione di Ginevra e sulla garanzia che nessuno sarà rispedito in luogo in cui rischia di essere nuovamente perseguitato. Il rispetto della Convenzione di Ginevra e del Protocollo del 1967 è previsto all'art. 18 della Carta e all'art. 78 TFUE» (par. 75; si vedano anche le sentenze 2 marzo 2010, cause riunite C-175/08, causa C-176/08, causa C-178/08 e C-179/08, Salahadin Abdulla e a., in Raccolta, p. I-1493, par. 53, e 17 giugno 2010, causa C-31/09, Bolbol, in Raccolta, p. I-5539, par. 38)». In particolare, il sistema europeo comune di asilo è basato su un principio di reciproca fiducia e su una presunzione di osservanza, da parte degli Stati membri, del diritto dell'Unione, e segnatamente dei diritti fondamentali garantiti da tale ordinamento. Tuttavia, non si può escludere la possibilità che «tale sistema incontri, in pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che un richiedente asilo sia, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattato in modo incompatibile con i suoi diritti fondamentali» (par. 81). Allo stesso tempo, se se ogni violazione delle singole disposizioni delle direttive che costituiscono il sistema comune di asilo da parte dello Stato membro competente ad esaminare la domanda di asilo in base al regolamento 343/2003 dovesse avere la conseguenza che lo Stato membro in cui è stata presentata una domanda di asilo non può trasferire il richiedente in tale primo Stato, gli obblighi che derivano dal regolamento anzidetto sarebbero privati del loro contenuto. Ciò comprometterebbe la realizzazione dell'obiettivo stesso del regolamento, ovvero che lo Stato membro competente a conoscere di una domanda di asilo presentata nell'Unione deve essere designato rapidamente (par. 85). Tuttavia, la Corte ha ritenuto che il trasferimento del richiedente asilo nello Stato membro competente ad esaminarne la domanda è incompatibile con la Carta «nell'ipotesi in cui si abbia motivo di temere seriamente che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nello Stato membro competente, che implichino un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'art. 4 della Carta, dei richiedenti asilo trasferiti nel territorio di questo Stato membro, tale trasferimento sarebbe incompatibile con detta disposizione» (par. 86). Più in generale, è incompatibile con l'obbligo degli Stati membri di interpretare e di applicare il regolamento n. 343/2003 in conformità ai diritti fondamentali una presunzione assoluta che i diritti fondamentali del richiedente asilo saranno rispettati nello Stato membro di regola competente a conoscere della sua domanda (par. 99). Nel caso di specie, la Corte ha ricordato che, in una situazione analoga a quelle oggetto dei procedimenti principali, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato che il Regno del Belgio aveva violato l'art. 3 della CEDU esponendo il richiedente asilo, da un lato, ai rischi risultanti dalle carenze della procedura di asilo in Grecia, atteso che le autorità belghe sapevano o dovevano sapere che non vi era alcuna garanzia che la sua domanda di asilo sarebbe stata esaminata seriamente dalle autorità greche, e, dall'altro lato, e con piena cognizione di causa, a condizioni detentive ed esistenziali costitutive di trattamenti degradanti (para. 88; cf. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza M. S. S. c. Belgio e Grecia del 21 gennaio 2011, non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions, §§ 358, 360 e 367). 

Nel caso in cui l'esigenza di assicurare il rispetto dei diritti fondamentali UE impedisca il trasferimento del richiedente asilo nello Stato membro competente ad esaminarne la domanda secondo il regolamento 343/2003, lo Stato membro nel quale è stata presentata la domanda di asilo non diventa per ciò stesso competente ad esaminare la stessa. Infatti, quest'ultimo Stato membro dovrà proseguire l'esame dei criteri di cui al capo III del regolamento, per verificare se uno dei criteri ulteriori permette di identificare un altro Stato membro come competente all'esame della domanda di asilo (par. 96). Tuttavia, lo Stato membro nel quale si trova il richiedente asilo non deve aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali con una procedura per la determinazione dello Stato membro competente ad esaminare la domanda d'asilo che abbia durata irragionevole. Piuttosto, all'occorrenza il primo Stato membro sarà tenuto ad esaminare esso stesso la domanda di asilo conformemente all'art. 3, n. 2, del regolamento (par. 98)

Da ultimo, la Corte di giustizia ha affermato che il Protocollo no. 30 relativo alla applicazione della Carta dei diritti fondamentali al Regno Unito e alla Polonia «non ha per oggetto di esonerare la Repubblica di Polonia e il Regno Unito dall'obbligo di rispettare le disposizioni della Carta, né di impedire ad un giudice di uno di questi Stati membri di vigilare sull'osservanza di tali disposizioni» (par. 120). In particolare, l'art. 1, n.1, del Protocollo no. 30 si limita ad esplicitare l'art. 51 della Carta, relativo all'ambito di applicazione di quest'ultima (ibidem). La Corte non si è invece pronunciata sulle altre disposizioni del Protocollo no. 30, non ritenendole rilevanti ai fini della decisione del caso di specie.

N.L.

  


[1] Sentenza del 21 dicembre 2011, Grande sezione. 

[2] Regolamento del Consiglio del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri ed i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo, in G.U.U.E L 50, p. 1 ss. L'art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 prevede che «Gli Stati membri esaminano la domanda di asilo di un cittadino di un paese terzo presentata alla frontiera o nel rispettivo territorio. Una domanda d'asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III». Il capo III del regolamento enuncia una serie di criteri obiettivi, elencati in ordine gerarchico, relativi ai minori non accompagnati, al nucleo familiare, al rilascio di un permesso di soggiorno o di un visto, all'ingresso illegale o al soggiorno illegale in uno Stato membro, all'ingresso legale in uno Stato membro e alle domande presentate in un'area di transito internazionale di un aeroporto. L'art. 13 del medesimo regolamento dispone che, ove nessuno Stato membro possa essere designato sulla base della gerarchia dei criteri, competente a esaminare la domanda di asilo è, per difetto, il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata. Conformemente all'art. 17 del regolamento n. 343/2003, lo Stato membro che ha ricevuto una domanda d'asilo e ritiene che un altro Stato membro sia competente per l'esame della stessa può interpellare tale Stato membro affinché prenda in carico il richiedente asilo nel più breve termine possibile. L'art. 18, n. 7, del regolamento stabilisce, invece, che la mancata risposta, da parte dello Stato membro richiesto, entro il termine di due mesi, o di un mese se è invocata l'urgenza, equivale all'accettazione della richiesta e comporta l'obbligo, per tale Stato membro, di prendere in carico la persona interessata, comprese le disposizioni appropriate all'arrivo della stessa.

 

Fascicolo n. 3/2023

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