Editoriale 1/2013

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foto puccini rev

Come è ben noto, si è appena conclusa una legislatura parlamentare nella quale, a dispetto delle dichiarazioni di facciata e dei documenti ufficiali, né le forze politiche di maggioranza né quelle di opposizione hanno dato l'impressione di perseguire con sincera convinzione l'obiettivo di una revisione della seconda parte della Costituzione in tema di bicameralismo, di forma di governo e di ordinamento delle autonomie territoriali: con la conseguenza del mancato raggiungimento, al riguardo, di qualunque approdo conclusivo.

L'esito delle ultime elezioni politiche, peraltro, ha particolarmente premiato una forza politica di recente formazione che, nell'ottica di una drastica riduzione dei costi della politica assai largamente condivisa dall'opinione pubblica, ha per l'appunto inserito fra i primi punti del proprio programma elettorale anche alcune proposte necessariamente implicanti modifiche della normativa costituzionale testé accennata, quali quella della drastica riduzione del numero dei parlamentari e quella della totale soppressione delle province. Il che, evidentemente, promette di rilanciare a breve a livello parlamentare, e con probabilità di concreto successo ben maggiori che non nel passato, la tematica riformatrice in questione.

Sotto questo profilo, dunque, quanto mai "tempista" si è rivelata la riflessione sollecitata dal Seminario svoltosi a Ferrara, nei giorni 24 e 25 dello scorso mese di gennaio, dal titolo assai eloquente "Dalla costituzione 'inattuata' alla costituzione 'inattuale'? Potere costituente e riforme costituzionali nell'Italia repubblicana". Seminario del quale, appunto, vengono qui pubblicate le relazioni introduttive di Massimo Luciani, Pietro Costa e Giuditta Brunelli, e gli interventi di Maurizio Fioravanti ed Elisabetta Catelani.

Al riguardo, meritano intanto di essere sottolineate alcune fondamentali messe a punto sia ordine concettuale, che di ordine terminologico, contenute nella relazione di Luciani. Laddove, in primo luogo, si avanza l'idea secondo cui le costituzioni, per la loro connaturata "tensione all'eternità", sarebbero fatalmente "destinate al moto", ovverosia ad un "adattamento al fatto" tale da consentire la salvaguardia dell"'essenza di valore" ad esse sottesa. In secondo luogo, si opera una distinzione fra "attuazione" e "applicazione" della Costituzione: l'una attinente essenzialmente alla norme costituzionali programmatiche, ed affidata al legislatore; l'altra, implicante la prevalenza della Costituzione sulle fonti subordinate, e riferibile anche alle norme costituzionali di principio, affidata alla Corte costituzionale ed alla magistratura. In terzo luogo, si ritiene che anche la revisione della Costituzione possa sì considerarsi "un mezzo della sua attuazione", ma soltanto a condizione di condividere "l'idea che le costituzioni siano essenzialmente tavole di valori [...] e che il loro interesse sia preservare l'essenza di valore racchiuso nelle singole prescrizioni giuridico-positive".

Ampie convergenze di opinioni, d'altra parte, si registrano a proposito dall'attuazione costituzionale. In particolare, nei contributi di Costa, Brunelli e Fioravanti si sottolinea come essa sia risultata sostanzialmente soddisfacente fino alla fine degli anni '70 del secolo scorso, e ed abbia successivamente incominciato a stentare soprattutto a causa della crisi del sistema politico-partitico. Salvo peraltro, secondo Fioravanti, l'avvio di una nuova fase storica, ancora perdurante, nella quale la Costituzione si sarebbe venuta trasformando da "loi politique", da attuarsi ad opera delle stesse forze politiche protagoniste del compromesso costituzionale, in "norma giuridica", destinata ad essere applicata dalla giurisdizione.

Qualche sensibile divergenza, invece, affiora a proposito dell'attualità della Costituzione, quanto meno con riferimento alla sua seconda parte.

In particolare, la Brunelli sembra estendere anche a quest'ultima la propria valutazione essenzialmente positiva circa l'attualità e, conseguentemente, negativa circa la necessità di una revisione: ritenendo da un lato che sussista, nell'ambito del modello di Stato costituzionale disegnato dalla Costituzione un "legame inestricabile tra garanzia delle posizioni soggettive individuali [...] e organizzazione dei poteri", e che, dall'altro, "agire sulla Costituzione per riparare i guasti causati da un cattivo funzionamento del sistema politico" risulti "davvero fuori luogo".

Diversamente la Catelani, anche alla luce della recente pronunzia della Corte costituzionale sul conflitto di attribuzioni fra il Capo dello Stato e la procura della Repubblica di Palermo, ritiene che pure nella seconda parte della Costituzione si ritrovino norme "formulate in modo altamente generico", tali da far svolgere alla Corte costituzionale ed ai giudici un'anomala e discutibile azione di supplenza nei confronti del legislatore, e che a tali eccessi di genericità occorra quindi porre rimedio attraverso qualche opportuno emendamento al testo costituzionale.

2. E' altresì ben noto che l'unica - ancorché assai significativa – riforma della Costituzione della scorsa legislatura è quella realizzata attraverso l'emanazione della legge costituzionale n. 1/2012, avente ad oggetto l'introduzione nella Carta costituzionale del principio del pareggio di bilancio. Così come è ben noto che tale legge ha demandato ad un'apposita legge parlamentare da approvarsi a maggioranza assoluta l'attuazione specificativa delle norme da essa dettate in materia di bilanci e di debito pubblici (arrt. 1 e 5, commi 1, 2 e 3)), ed ai regolamenti delle Camere la disciplina dell'esercizio del controllo parlamentare sulla finanza pubblica (art. 5, comma 4).

Siamo dunque dinanzi, con ogni evidenza, al tema quanto mai attuale dell'impatto innovativo esplicato sull'assetto del nostro sistema delle fonti e sul suo concreto funzionamento dalle vicende della grave crisi finanziaria in atto, nonché dalla conseguente serie di vincoli introdotti a livello europeo a carico della politica economica e finanziaria del nostro Paese.

Alle fonti attuative della legge costituzionale in questione sono specificamente dedicati gli scritti di Massimo Nardini e di Elena Griglio.

Il primo di essi, in particolare, avente per oggetto la legge n. 243/2012, emanata appunto ai sensi degli artt. 1 e 5 di detta legge costituzionale, non trascura di evidenziarne gli aspetti peculiari dal punto di vista del nostro sistema delle fonti. In primo luogo, sulla scia di quanto a suo tempo sostenuto da Nicola Lupo, si ritiene di poterla senz'altro configurare alla stregua di una vera e propria "legge organica", salva peraltro l'assenza di una "necessaria distinzione formale rispetto alla leggi ordinarie" alla quale dovrebbe comunque presto porsi rimedio. In secondo luogo, si sottolinea come essa, nel disciplinare il contenuto della legge di bilancio, abbia pienamente attuato una delle principali novità insite nella riforma costituzionale in questione, quella cioè relativa all'eliminazione del divieto di stabilire con la legge di bilancio nuovi tributi e nuove spese, ed alla conseguente necessità, anche per tale legge, di provvedere ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri eventualmente previsti. In terzo luogo, si plaude alla tecnica del "rinvio mobile" all'ordinamento dell'Unione europea da essa utilizzata per quanto concerne la definizione dei parametri e dei vincoli inerenti alla decisione di bilancio, in modo da favorire "una più diretta relazione tra la decisione di bilancio e il sistema di 'governance' europea dei conti pubblici, nonché il recepimento automatico di eventuali mutamenti della normativa europea" in materia.

Lo scritto della Griglio si sofferma piuttosto sull'inedito ruolo, potenzialmente innovativo rispetto alla forma di governo, assegnato dalla l. cost. n. 1/2012 ai regolamenti parlamentari. In proposito, si rileva come questi ultimi, attraverso una "piena valorizzazione del controllo parlamentare sulla finanza pubblica", sarebbero forse in grado, a questo punto, di porre addirittura "le condizioni per il superamento della crisi di identità che ormai da alcuni anni investe i Parlamenti nazionali", a cominciare dal nostro. Ciò, a patto che essi si mostrino in grado di rendere finalmente il Parlamento del tutto autonomo nel reperimento e nella valutazione dei dati inerenti all'andamento della finanza pubblica, attraverso "una modifica di ampio respiro destinata ad incidere su tutte le procedure parlamentari connesse al ciclo di bilancio", nonché un'adeguata promozione dell'interazione fra le già esistenti strutture interne di ciascuna Camera competenti in materia e l'Ufficio parlamentare di bilancio, ovverosia l'apposito organismo indipendente di controllo istituito e disciplinato dalla stessa legge n. 243/2012.

3. Il tema del rapporto intercorrente fra assetto e funzionamento del sistema delle fonti, da un lato, ed assetto e funzionamento della forma di governo, dall'altro, riemerge d'altronde, in termini più o meno espliciti, anche nei due saggi dedicati alla decretazione d'urgenza di Giovanni Di Cosimo di Asuncion de la Iglesia dedicati alla decretazione d'urgenza.

Nel saggio di Di Cosimo, avente ad oggetto la prassi della decretazione d'urgenza nella XVI legislatura, si sottolinea come essa risulti contrassegnata dall'''esplosione di alcuni fattori degenerativi", quali "il sensibile incremento della dimensione degli atti, della eterogeneità dei contenuti, delle questioni di fiducia e dei maxiemendamenti governativi". Si tratta dunque, ad avviso dell'Autore, di una prassi alquanto distorsiva del disegno costituzionale dei rapporti fra Governo e Parlamento, a tutto scapito del secondo. Gli eventuali rimedi, peraltro, andrebbero ricercati esclusivamente sul terreno della riforma dei regolamenti parlamentari e su quello della sperimentazione di "nuove modalità di azione politica". Senza alcun riferimento, invece, al terreno della modifica delle norme costituzionali concernenti il procedimento legislativo e/o la decretazione d'urgenza, sul quale pur si erano mosse - si noti – svariate proposte di revisione della seconda parte della Costituzione presentate nel corso della XVI legislatura sia dal Governo, che da parlamentari della maggioranza e dell'opposizione.

Nel saggio della de la Iglesia, d'altra parte, avente ad oggetto la disciplina statutaria e la prassi della decretazione d'urgenza in una serie di Comunità autonome spagnole, sembrerebbero trovare conferma, in chiave comparatistica, tanto una sorta di irresistibile tendenza all'abuso nel ricorso alla fonte normativa in questione, quanto una sorta di insuperabile difficoltà delle normative di rango costituzionale a fronteggiare efficacemente tale tendenza. In esso, infatti, per un verso si rilevano una serie distorsioni nell'uso dei decreti-legge nella pur breve esperienza degli ordinamenti delle Comunità, quali l'insufficiente rispetto del presupposto della necessità e dell'urgenza, ovvero la tendenza a qualificare talune disposizioni contenute nei decreti come disposizioni di rango regolamentare, e come tali successivamente modificabili per il tramite di regolamenti; per un altro verso, si contesta agli statuti delle Comunità il pedissequo recepimento di taluni tratti della disciplina della decretazione d'urgenza statale dettata dalla Costituzione spagnola, i quali, a loro volta, erano concretamente risultati forieri di interpretazioni e di prassi tendenti a comprimere eccessivamente il ruolo del Parlamento in materia. E ciò, nonostante che la previsione statutaria del decreto-legge, pur costituzionalmente ammissibile, e la sua concreta applicazione, meritino di essere circondate dalla massima cautela, posti la maggior celerità del procedimento legislativo operante nelle Comunità, ed il ridotto grado di giustiziabilità, dinanzi al Tribunale costituzionale, proprio degli atti di rango legislativo in esse prodotti.

4. Infine, al tema della qualità della normazione nel nostro ordinamento da realizzarsi attraverso la riduzione degli oneri amministrativi, ed in primis di quelli gravanti sulle imprese, è dedicato il saggio di Andrea Simoncini ed Erik Longo, i quali parlano al riguardo di "ultima stagione" della semplificazione, successiva a quelle della semplificazione legislativa e della semplificazione amministrativa.

In tale saggio, appunto, si dà conto del notevole sviluppo che, nel corso della XVI legislatura, ha conosciuto l'azione del Governo rivolta alla misurazione degli oneri amministrativi in vista di una loro riduzione a livello legislativo. Azione che, avviata nella legislatura precedente, è stata poi progressivamente potenziata, traducendosi in atti di varia natura (atti normativi di rango legislativo e sublegislativo, atti di pianificazione), con un graduale affinamento delle tecniche di misurazione, e con un'altrettanto graduale estensione dell'ambito oggettivo e soggettivo della misurazione medesima. Al tempo stesso, si sottolinea come il tema in questione abbia fatto il suo ingresso anche nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, laddove si è affermata la funzionalità alla tutela della concorrenza, e la conseguente inerenza alle competenze del legislatore statale, dell'"eliminazione degli inutili oneri regolamentari" posti a carico dell'attività economica privata. Il bilancio conclusivo tracciato dagli Autori appare nel complesso piuttosto lusinghiero, pur in presenza di taluni limiti relativi al valore soltanto approssimativo delle verifiche effettuate ed effettuabili, ed al carattere non immediato dei benefici percepibili dalle imprese in termini di eliminazione dei costi derivanti dagli oneri amministrativi soppressi.