Editoriale n. 1/2022

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De MinicoLe fonti al tempo di Internet: un personaggio in cerca d'autore

 1. Le domande

Internet ha modificato il sistema delle fonti del diritto, interne ed europee? Ha avuto effetti sul sistema giurisdizionale? Quali i rimedi necessari a ricondurre i suoi modelli regolatori e giustiziali entro il perimetro dello Stato di diritto?

Queste le nostre domande.

 

2. Le Fonti del diritto dei privati

La rete, luogo di incontro tra chi offre beni e servizi e chi li acquista contro i propri dati, è anche il terreno delle regole dirette a disciplinare questi accordi su coordinate fuori dello spazio, ma sensibili al tempo. Il mito di Internet, paradiso dell’autoregolazione, appartiene al passato; contro ogni previsione, l’assenza di regole imperative ha prodotto un’anarchia unidirezionale perché si è risolta in vantaggi regolatori a favore delle Autorità private della rete. Questi soggetti hanno approfittato del vuoto normativo per dettare modelli di condotta e rimedi giustiziali in apparenza di diritto debole, nei fatti più cogenti delle norme imperative. Diversamente da queste ultime, il soft-law di Google soddisfa il bene comune in via residuale e occasionale, cioè solo nella remota ipotesi che dovesse coincidere con gli interessi privati del soggetto che ha dettato le regole. L’involuzione egoistica di Internet impone allo studioso di fare due cose: prima, dovrà individuare i punti nodali del sistema-fonti, aggrediti dai Private interest govermnents; poi riflettere su come ricomporli in un contesto equilibrato tra esigenze pubbliche e istanze private.

Il profilo identitario dell’eteronomia classica, il principio di gerarchia e le relazioni tra il decisore pubblico delle norme imperative e l’autore privato del soft-law meritano la nostra attenzione.

 Il sistema delle fonti del diritto ha lasciato spazio all’autoregolazione, in principio non acquisibile agli atti normativi cogenti a efficacia erga omnes. La prassi è intervenuta per riempire la distanza che separa il dover essere dall’essere, ha reso i codici di autoregolazione - di Facebook, Google et alii - proprio ciò che non dovevano essere: atti privati che compensano l’assenza di cogenza con l’effettività prestata dai regolati e che dilatano l’efficacia inter partes verso soggetti terzi rispetto alla base associativa che si autoregola.

Il sistema normativo ha pagato l’equiordinazione dei codici alle fonti interne ed europee, rinunciando ai suoi principi di base: primo tra tutti, la corrispondenza della decisione politica a un’autorità politicamente rappresentativa. I codici hanno interrotto questa relazione biunivoca dettando regole astratte e generali a livello primario, non diversamente da come avrebbe fatto il legislatore. La fondamentale differenza tra l’eteronomia e l’autonomia risiede nell’autore delle regole: gli eletti dal popolo nel primo caso; i privati auto-legittimatisi nel secondo.

La violazione del principio, che riserva l’atto politico a chi appartiene al circuito politico-rappresentativo, compromette anche il principio di gerarchia. Infatti, la preferenza della legge ai codici è stata disattesa perché la prima, per la sua avarizia nel dettare i precetti comportamentali, lasciava ai codici il compito di completare un tessuto prescrittivo dalle maglie sin troppe larghe.  Infine, il sistema delle garanzie dei diritti fondamentali è divenuto ineffettivo quando il codice è subentrato alla legge, perché il regime delle protezioni – riserva di legge e di giurisdizione, sindacato della Corte costituzionale, e altri rimedi - è declinato sulla forma e sulla forza dell’atto normativo primario, e quindi non è trasferibile ai codici di autoregolazione, che almeno nella forma non sono assimilabili alla legge.

Mentre il sistema normativo obbediva a una deriva reazionaria-liberale, l’Europa si adoperava a ricondurre le nuove fonti nel perimetro dello Stato di diritto. Così ha affermato con regolamenti e direttive che i codici possono parlare solo per secondi, cioè dopo che gli atti normativi europei abbiano iniziato e sufficientemente impostato il discorso regolatorio; e ha anche prescritto che  i codici rispettino un preciso percorso formativo in nome della trasparenza, democraticità e rappresentatività.

L’intervento correttivo del legislatore europeo è sufficiente a recuperare il soft-law alla rule of law?

Ancora una volta la realtà ha superato l’astratta previsione di legge: i codici europei hanno osservato la secondarietà perché hanno dettano le regole solo dopo l’intervento di un regolamento europeo, solo che quest’ultimo ha finto di anticipare i codici perché il suo contenuto si è limitato a riprodurre fedelmente quello già consegnato nell’autoregolazione. Qui non ricorre la corretta sequenza fonte primaria-fonte secondaria, come la gerarchia europea impone, piuttosto assistiamo al conferimento ingiustificato di una patente di legittimità ai codici: una normativizzazione sui generis ed ex post del diritto dei privati, sincronica alla rinuncia dell’eteronomia a innovare l’ordine giuridico. In sintesi, i codici rispettano formalmente la prevalenza della legge, di fatto la aggirano, realizzando una raffinata frode al principio di gerarchia.

Per completezza di esame, aggiungiamo ancora una riflessione: Internet ci ha costretto a rinunciare a un altro principio basilare, sintetizzato nella coppia astrattezza e generalità della norma. Infatti, i codici nel vietare una manifestazione del pensiero che istighi alla violenza, all’odio o alla pedopornografia, non tracciano ex ante la linea di confine tra il permesso e il divieto, lasciando che a farlo siano i concreti atti di pulizia ordinati da FB. Questo modo di procedere azzera la certezza del diritto, la pretesa del cittadino alla conoscibilità anticipata della norma, copre tutto con un velo in cui lecito e illecito, divieto e permesso, si mescolano fino a confondersi l’uno nell’altro senza soluzione di continuità.

Questo rinvio a scalare - la legge ai codici e i codici, a loro volta, al concreto provvedere delle autorità private - degrada l’astrattezza nella concretezza e la generalità nella particolarità; la legge si risolve nel provvedimento ordinatorio del privato forte, mentre l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge si attenua nel concreto provvedere ad certam personam.

3.   La giustizia domestica

Anche il sistema della giustizia è stato oggetto di attenzione da parte dell’autoregolazione e in seconda battuta ad opera degli atti normativi europei. FB ha istituito l’Oversight Board per risolvere le controversie nate all’interno della sua comunità virtuale, sempre che i privati lo vogliano. Questa forma di autodichia non sta in luogo di quella statale, né condiziona la procedibilità dell’azione giudiziaria, che le parti potranno in ogni momento, senza l’onere di esperire prima il rimedio interno. La prestazione giustiziale, complementare e parallela a quella giurisdizionale, è il risultato massimo che si poteva sperare, vista la natura dell’O.B.: un privato previsto, coperto e pagato da FB. La sua fisionomia infatti, non consente di accostarlo a uno dei modelli di alternative dispute resolution, che, variabilità di forme a parte, sono comunque riconducibili alla figura del mediatore pubblico o del privato esercente un pubblico servizio, come tale sottoposto a regole pubbliche; garanzie, queste, che non assistono l’O.B.

Il fatto che in molte circostanze l’O.B. abbia dimostrato autonomia valutativa e di giudizio dalle decisioni di cancellazione o di omessa rimozione di FB non sana il suo vizio genetico: rimane il braccio giustiziale di una delle parti in causa, peraltro di quella più forte.

La proposta del Digital Service Act della Commissione ha preso atto di queste forme di autodichia, senza promuoverle a condizioni di procedibilità del ricorso al giudice, ma dettando loro regole procedurali, che gioverebbero alla trasparenza e all’obiettività della decisione privata. Gli emendamenti correttivi del Parlamento Europeo all’iniziale proposta della Commissione hanno lasciato invariata l’incapacità dell’O.B. a stare in luogo del giudice in ragione del fatto che il primo coincide fisiologicamente con uno dei soggetti della controversia, a differenza della neutralità del giudice, del quale è propria l’assoluta indifferenza agli interessi in causa. Pertanto, questo surplus di trasparenza e di obiettività è l’abituale rigurgito di un’Europa, che, messa davanti all’alternativa tra risolvere in termini sostanziali e definitivi una issue o adottare palliativi deboli nel contenuto ma formalmente corretti, ha scelto la seconda.

4. I rimedi ibridi: un pò autoritativi, un pò negoziali

Ogni analisi si dovrebbe concludere con una parola positiva, e la nostra non si sottrae a questa regola; con il limite dettato dall’impossibilità concreta di correggere ogni mancanza o vizio sopra denunciati, rendendola una positività relativa.

Il rimedio agli strappi provocati al sistema delle fonti dall’autoregolazione è semplice perché già esiste, ma con forti resistenze alla piena operatività. Tornare all’antica regola “a ciascuno il suo”, secondo la quale il legislatore europeo si dovrà riappropriare del ruolo di decisore politico; mentre i codici si dovranno limitare a rendere fitta la trama regolatoria imbastita dal primo.

Sul terreno della giustizia, il rimedio invece è tutto da pensare. Perché non riflettere sull’istituzione di un giudice speciale europeo, al quale i cittadini si rivolgono per giudicati sulle liti in Internet? Non stiamo proponendo la sua versione, sbiadita e poco garantista, rappresentata dal modello autorità indipendente; in proposito si pensi che lo European artificial intelligence board, intorno al quale è costruita l’intera proposta di regolamento europeo, ha sollevato severe riserve ancora prima di nascere, da chi coglie nella nuova Autorità molti vizi e poche virtù. Tra questi defeats c’è la mancata dotazione al Board di poteri adeguati per sanzionare gli algoritmi unfair e biased, omissione, questa, completata sul terreno dei rapporti intersoggettivi dall’assenza di una chiara relazione con le autorità europee di settore, nonché con quelle indipendenti nazionali, coperte dallo stesso velo di opacità.

La nostra idea invece di arricchire la giurisdizione sovranazionale con un giudice speciale ha il pregio di evitare che i cittadini si rivolgano ancora alla giurisdizione domestica in avvenire, perché il giudice speciale saprà essere celere e competente quanto lo è l’O.B., ma a differenza dell’autodichia il giudice speciale condivide del potere pubblico giudiziario anche l’identità soggettiva.

Siamo consapevoli che nel nostro ordinamento questa innovazione potrebbe incontrare un ostacolo nel divieto di istituire giudici speciali posto in Costituzione; ma si tratterebbe di un ostacolo neutralizzabile dalla prevalenza del diritto europeo, che nei Trattati prevede l’istituzione di Tribunali speciali a certe condizioni, che nel caso di specie potrebbero e dovrebbero essere realizzate. Ne riteniamo che i principi fondamentali del nostro ordine giuridico, indiscussi controlimiti al prevalere del diritto europeo, siano così elastici da includere nel loro corpo, oltre i principi di indipendenza e di terzietà del potere giudiziario, anche il divieto di creare giudici speciali ratione materiae.

In conclusione, i vantaggi del giudice europeo speciale si manifesterebbero sul sistema delle fonti, restituendo a queste la perduta effettività, e sul terreno della giustizia, consegnando ai cittadini quella tutela dei diritti fondamentali, tanto promessa nei Trattati e nella Carta, ma poco accordata nelle Corti a causa anche di un bizantino sistema di accesso.

 


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