Editoriale n. 2/2022

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Annalisa Ciampi MG 5987Il conflitto russo-ucraino: analisi, cambiamenti, prospettive

1. 150 giorni di guerra nel cuore dell’Europa

Quando la guerra è esplosa non ci credevamo. Sembrava impossibile un conflitto internazionale in Europa, fra due stati sovrani – la Russia e l’Ucraina – nel XXI secolo. Attoniti, increduli, pietrificati, impauriti. Pareva dovesse o potesse finire da un momento all’altro. Dopo i primi 100 giorni, la guerra era sempre lì, e abbiamo cominciato ad abituarci.

Il conflitto Russo-Ucraino non domina più incontrastato le prime pagine dei notiziari e dei quotidiani: i giornali spesso ne trattano addirittura a pagina 18 o 20, e i talk shows parlano anche di altro.

Cerchiamo di capire che cosa è successo, attraverso una analisi – semplificata certo, per il tipo di contributo che la ospita, ma auspicabilmente utile – alla luce del diritto internazionale e della nostra Costituzione, della natura del conflitto e delle sue implicazioni. Che cosa è cambiato? E quali prospettive?   

2. Analisi del quadro giuridico

Dal punto di vista del diritto internazionale, il quadro giuridico è relativamente semplice: vi è uno Stato – la Russia – che viola il divieto dell'uso della forza e la sovranità territoriale di un altro Stato, ne occupa una parte e vi rimane. A fronte di questa violazione del divieto dell'uso della forza nelle relazioni internazionali, vi è l’esercizio del diritto di legittima difesa, in primo luogo da parte dello Stato aggredito – l'Ucraina – e poi, con forme diverse, di altri Stati: legittima difesa, dunque, individuale e collettiva. Sono quindi in giuoco due principi, il divieto dell'uso della forza e il principio di legittima difesa, che noi consideriamo parte del nostro patrimonio quantomeno dal 1945, anno di adozione della Carta delle Nazioni Unite.

Allora, rispetto alla relativa semplicità del suo inquadramento dal punto di vista giuridico, come si configura il persistere del conflitto? Il fatto che sia ancora in atto dopo oltre 150 giorni, senza che si riesca a fermare l’uso della forza, è una rottura dell’ordine giuridico internazionale come noi lo conoscevamo, nel quale viene meno l’effettività del divieto dell'uso della forza?

Siamo di fronte ad una violazione del divieto dell’uso della forza, nella sua forma più grave – un atto di aggressione – ma non è una violazione che rompe il sistema. Innanzitutto, perché non è la prima violazione del divieto dell'uso della forza che si sia verificata; dal 1945 ad oggi di violazioni ne abbiamo viste moltissime. Ma soprattutto, in considerazione di due elementi, entrambi significativi.

Il primo elemento è che la Russia di Putin non ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022 – così come non aveva invaso la Crimea nel 2014 – semplicemente affermando di agire in dispregio del divieto dell'uso della forza, perché non esiste o perché la sua violazione è irrilevante. L’ “operazione” ha una giustificazione ufficiale – che poi è stata portata anche da parte Ucraina in sede contenziosa dinanzi alla Corte internazionale di giustizia (infra, par. 3) – è intervenuto a difesa delle popolazioni russofone (minoranze rispetto allo Stato ucraino o comunque maggioritarie rispetto alle autoproclamate repubbliche) del Donbass, per prevenire il genocidio che le autorità ucraine stavano ponendo in atto. Quindi c'è da parte dell’aggressore un tentativo di giustificazione. Come la Corte internazionale di giustizia, che è il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, ci ha insegnato ormai mezzo secolo fa, quando una regola internazionale viene violata, ma colui che commette la violazione invoca una giustificazione, quella è una violazione che non nega l’effettività della regola, ma anzi la rafforza.

Il secondo elemento riguarda ovviamente la reazione, o meglio l’insieme di reazioni che vengono poste in essere a fronte della violazione della regola internazionale. Qui abbiamo una aggressione cui ha risposto non solo lo Stato aggredito, ma l’insieme – anche se non la totalità – della società internazionale, nelle sue varie componenti. Queste reazioni sono estremamente importanti. Vale la pena dunque soffermarvisi, distinguendo fra i vari attori in gioco: in primo luogo, le organizzazioni internazionali e gli Stati. Ma non è meno significativa – e, ad avviso di chi scrive, un segnale positivo nell'attuale quadro giuridico internazionale – la reazione del settore privato della società civile.

3. Reazioni

Riguardo alla reazione delle organizzazioni internazionali, occorre riferirsi innanzitutto Organizzazione delle Nazioni Unite, che ha come fine principale il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali.

Il Consiglio di Sicurezza si è riunito all’indomani dell’invasione per deliberare su una proposta di risoluzione di condanna dell’invasione. Per il veto della Russia, cui sono peraltro da aggiungere l’astensione della Cina, dell’India e degli Emirati, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza non è stata approvata. Si è trattato – come noto – di un esito scontato, conseguenza del modo stesso in cui le Nazioni Unite, in particolare la composizione e il sistema di voto del Consiglio di sicurezza, sono stati concepiti. Il Consiglio di Sicurezza si compone di 15 membri, di cui cinque permanenti con un potere di veto; non è mai successo, in oltre 75 anni di storia dell’Organizzazione, che il Consiglio di Sicurezza agisse contro uno dei suoi membri permanenti o contro la volontà di questi. Rectius: è successo una volta sola, nel 1950, al momento dell'invasione della Corea del Nord da parte della Corea del Sud. In quel momento – che rappresenta un unicum nella storia delle Nazioni Unite – l’allora Unione Sovietica non sedeva nel Consiglio di Sicurezza, praticando la politica cosiddetta della sedia vuota; gli altri membri del Consiglio di sicurezza approfittarono, per così dire, dell’assenza del delegato sovietico per deliberare l’intervento in Corea. Fu evidente a tutti da quel momento che la politica della sedia non pagava – e infatti non è stata mai più praticata. Ma è rimasto pacifico che ciascun membro permanente dispone in seno al Consiglio di scurezza del diritto di veto. La Russia lo ha esercitato il 26 febbraio 2022. Lo aveva esercitato anche ai tempi dell'invasione della Crimea e nessuno degli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ebbe da dire alcunché. Nel contesto di questa stessa crisi, del resto, due settimane dopo, l’11 marzo 2022, quando la Russia ha chiesto la convocazione del Consiglio con una proposta di risoluzione per condannare il programma di armi biologiche degli Usa in Ucraina, Stati Uniti e Regno Unito si sono opposti, sostanzialmente esercitando il proprio potere di veto, e la risoluzione non è stata nemmeno messa al voto.

Anche se non ha potuto deliberare la condanna dell’aggressione, il Consiglio di Sicurezza ha potuto tuttavia convocare con 11 voti su 15 in via d'urgenza l’Assemblea generale. Lo ha fatto con un voto procedurale, per il quale non è previsto il diritto di veto dei membri permanenti.

L'Assemblea generale è anch’essa un organo politico, ma plenario in cui siedono tutti e 193 gli Stati membri delle Nazioni Unite. Il 2 marzo 2022, l'Assemblea generale ha adottato una risoluzione che condanna l’invasione e chiede il ritiro incondizionato della Russia dal territorio ucraino, con 141 voti a favore – una maggioranza veramente ampia. Ma anche con 5 voti contrari e 35 astensioni, che con Cina e India rappresentano una parte non trascurabile del mondo. In proposito, è importante notare che 35 astenuti e 5 voti contrari significa che probabilmente esiste una parte – circa 1/5 – che non sta la maggioranza del mondo. Questa maggioranza è comunque più ampia di quella che esisteva nel 2014, quando ci fu l'invasione della Crimea: ugualmente, l'Assemblea generale adottò una risoluzione di condanna, ma con 100 voti a favore. Vi è stato quindi un compattamento del mondo, ma vi sono ancora Stati – soprattutto in Asia e in Africa – che evidentemente non si schierano dalla parte dello Stato aggredito.

Dopo i fatti di Bucha, il 7 aprile 2022, l’Assemblea generale ha adottato una altra risoluzione, che sospende la partecipazione della Russia dal Comitato dei diritti umani delle Nazioni unite (questa volta i voti contrari sono stati 24 e le astensioni 58). Il Consiglio dei diritti umani è un organo sussidiario dell’Assemblea generale con il compito di promuovere e proteggere i diritti umani. Il 3 marzo, il Comitato aveva approvato una risoluzione che istituisce una commissione di inchiesta sui crimini e le gravi violazioni dei diritti umani commessi durante l’invasione dell’Ucraina, anche allo scopo di raccogliere prove che poi potranno essere messe a disposizione della Corte penale internazionale o di altri tribunali penali internazionali o nazionali. Del Comitato, composto da 47 Stati eletti dalla stessa Assemblea generale, faceva parte anche la Russia (che naturalmente aveva votato contro la risoluzione). Dal 7 aprile, in risposta ai fatti di Bucha, la Russia non fa più parte, né può essere rieletta come membro, del Comitato dei diritti umani.

Un altro organo nelle Nazioni Unite chiamato ad intervenire nella crisi russo-ucraina è l'organo giurisdizionale, cui si è già accennato sopra, la Corte internazionale di giustizia, dinanzi alla quale l’Ucraina, all'indomani dell'invasione, ha instaurato un procedimento contenzioso nei confronti della Federazione russa. Come noto, una delle grandi differenze fra società interna e società internazionale è che sul piano internazionale non c’è necessariamente un giudice per ogni controversia, ma occorre una specifica base consensuale. In questo caso, la base giuridica è la Convenzione sulla prevenzione e la repressione del genocidio del 1948 (di cui Russia e Ucraina sono parte e che contiene al suo interno una clausola compromissoria che attribuisce competenza alla Corte internazionale di giustizia). L’Ucraina chiede alla Corte internazionale di giustizia di tutelare il proprio diritto di non essere soggetta all’accusa di genocidio nel Donbass, genocidio asserito come giustificazione dell’invasione da parte di Mosca. È una azione interessante, che mira ad una pronuncia negativa che destituisca di fondamento quella che, come si è ricordato, è la giustificazione ufficiale da parte russa dell'invasione – una sorta di azione di accertamento negativo, che ha già consentito alla Corte di pronunciarsi sulla guerra in atto, perché contestualmente alla domanda principale, l’Ucraina ha chiesto alla Corte di ordinare in via cautelare, come misura provvisoria alla Russia, di interrompere le operazioni. Accogliendo la richiesta di misure cautelari dell’Ucraina, la Corte ha fatto propria la soluzione creativa da questa prospettata, affermando l’insussistenza prima facie di un genocidio e ordinando alla Russia di fermare l’operazione militare, e ad entrambe le parti di ritirare le armate irregolari e di non aggravare la situazione. Queste misure provvisorie sono vincolanti.

Potrà dunque dirsi che non sono state efficaci, ma non certo che le Nazioni Unite non funzionino o non abbiano funzionato. Sia la Corte internazionale di giustizia che il Consiglio di sicurezza e l’Assemblea generale hanno agito secondo quanto stabilito nella Carta delle Nazioni unite.

Altrettanto prontamente hanno reagito le principali organizzazioni internazionali.

La Corte penale internazionale, istituita con lo Statuto di Roma del 1998 per giudicare della responsabilità internazionale penale di individui, compresi organi di Stato, per aggressione, crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità, era già stata attivata in passato in relazione al conflitto russo-ucraino. L’Ucraina, pur non essendo parte dello Statuto di Roma, aveva fatto due dichiarazioni ad hoc con cui accettava la giurisdizione della Corte penale internazionale: una prima per i fatti del 2013-2014, e una seconda per crimini commessi nel suo territorio dal 2014 in avanti (suscettibile quindi di coprire anche l’attuale invasione). Il 2 marzo 2022, il Procuratore della Corte ha annunciato l’apertura formale di indagini nella situazione in Ucraina, senza necessità di autorizzazione giurisdizionale, perché ben 43 Stati (ad oggi), tra i quali anche l’Italia, hanno formulato formale richiesta di procedere in tal senso. Formalmente, l’indagine riguarda crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio commessi da chiunque in qualunque parte del territorio dell’Ucraina. Non concerne, invece, il crimine di aggressione, per il quale l’esercizio della giurisdizione della Corte penale internazionale è possibile solo in circostanze limitate. In particolare, i leader di Stati che non sono parte dello Statuto di Roma come la Russia – ma anche Stati Uniti e Cina – non possono essere processati per aggressione, a meno che il Consiglio di Sicurezza non faccia un rinvio alla Corte, rinvio cui la Russia – come membro permanente – naturalmente porrebbe il veto. Del resto, la Corte non ha mai esercitato la propria giurisdizione in relazione al crimine di aggressione. Rispetto ai crimini di guerra, il genocidio e i crimini dell'umanità, su cui le indagini del Procuratore sono concentrate, le difficoltà maggiori riguardano la riconducibilità di questi crimini nella catena di comando fino ai vertici e ovviamente al presidente Putin. Vi è poi l'ulteriore problema che la Corte penale internazionale non giudica in absentia, e quindi una volta emessi i mandati di arresto, se e fino a che gli stessi non vengono eseguiti, i processi non possono essere neppure avviati.

Anche sul piano delle reazioni a livello regionale, il ventaglio di strumenti propri del diritto internazionale che è stato dispiegato, è assai vario. La misura più radicale è stata adottata dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione regionale creata nel 1950, con il compito di promuovere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia, che riunisce tutti i Paesi appartenenti all'Europa geografica in senso ampio, fra cui (dal 1996 al 2022) anche la Russia. In un primo momento, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, il Consiglio dei ministri aveva sospeso i diritti di voto della Russia nella Assemblea parlamentare e nello stesso Consiglio, ai sensi dell’art. 8 dello Statuto del Consiglio d’Europa, che consente di sospendere i diritti di partecipazione di uno Stato membro per gravi violazioni dei suoi valori fondamentali. In risposta, la Russia aveva a sua volta avviato la procedura di ritiro, prevista all’art. 7 dello Statuto, che avrebbe avuto effetto alla fine dell'anno in corso. Il 15 marzo 2022, il Consiglio dei ministri ha quindi deliberato la cessazione della membership della Russia con effetto immediato. Si tratta di una misura radicale, che dal 1950 ad oggi non era mai stata utilizzata, nonostante non siano mancati in Europa eventi che hanno concretamente messo in pericolo il rispetto dei diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia in Europa. L’idea prevalsa fino ad oggi era che fosse comunque preferibile mantenere lo Stato che commette violazioni, anche gravi, dentro piuttosto che fuori il Consiglio d’Europa. L’espulsione della Russia significa concretamente che dal 16 settembre 2022 la Russia non è più parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e come tale non è più soggetta alla possibilità di ricorsi statali e individuali e al controllo giurisdizionale dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La NATO non ha formalmente attivato la clausola di sicurezza collettiva contenuta nell’art. 5 del suo Trattato istitutivo, perché l’Ucraina non è uno Stato membro. L’Alleanza ha tuttavia condannato con la massima fermezza la guerra brutale e non provocata della Russia contro l'Ucraina, un Paese indipendente, pacifico e democratico, nonché uno stretto partner della NATO, e chiesto al Presidente Putin di fermare immediatamente questa guerra, di ritirare tutte le sue forze dall'Ucraina e di impegnarsi in una vera diplomazia. Inoltre, pur non essendo direttamente coinvolta, la NATO coordina le richieste di assistenza dell'Ucraina e sostiene i singoli Paesi membri della NATO nella fornitura di aiuti umanitari e non letali, nonché nell’invio di armi, munizioni e molti tipi di attrezzature militari leggere e pesanti, tra cui sistemi anticarro e antiaerei, obici e droni, forniture mediche e altre attrezzature vitali, anche in settori come la sicurezza informatica e la protezione contro le minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari. Alcuni Stati stanno anche fornendo milioni di euro di assistenza finanziaria all'Ucraina e sostenendo gli sforzi per le indagini internazionali sulle atrocità, anche fornendo competenze legali all'Ucraina.

Tutte queste forme di risposta, ivi compresa l’assistenza militare, prestate dagli Stati sia individualmente che in ambito NATO costituiscono esercizio del diritto di legittima difesa collettivo, sancito dalla Carta delle Nazioni unite. Come tali, esse sono riconducibili – sul piano dell’ordinamento costituzionale italiano – all’art. 11 Cost., secondo cui l'Italia ripudia sì “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.”

Vi è poi la reazione attraverso l’imposizione di sanzioni, prima di carattere finanziario e poi economico, e via via più severe. L'Unione europea (UE) ha adottato sei pacchetti di sanzioni al fine di indebolire la capacità del Cremlino di finanziare la guerra, ed imporre chiari costi economici e politici nei confronti dell'élite politica russa responsabile dell'invasione. Le misure adottate – unanimemente definite senza precedenti – comprendono sanzioni individuali (congelamento dei beni e restrizioni di viaggio di oltre un centinaio fra persone e entità), sanzioni economiche riguardanti gli scambi con la Russia nei settori  finanziario, commerciale, energetico, dei trasporti, della tecnologia e della difesa; restrizioni ai media con la sospensione delle trasmissioni nell'Unione di emittenti statali russe; e misure diplomatiche (sospensione dei vertici bilaterali e multilaterali ma anche dei negoziati relativi ad esempio all'adesione della Russia all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e all'Agenzia internazionale per l'energia).

Alcuni Stati – Canada e Stati Uniti – hanno perfino revocato il riconoscimento alla Russia dello status della nazione più favorita. Come noto, ai sensi della clausola della nazione più favorita – che costituisce uno dei pilatri dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e prima di essa dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT) del 1947 – i prodotti di uno Stato membro, salvo eccezioni espressamente consentite, non possono essere importati a condizioni meno favorevoli di quelle che si applicano ad un qualunque altro Stato membro. La revoca della clausola significa, dunque, che i prodotti russi, se non bloccati dalle sanzioni, entreranno nei mercati canadese e statunitense pagando dazi altissimi, preesistenti a quelli negoziati in ambito OMC e GATT. Anche questa è una misura senza precedenti, probabilmente giustificata sulla base delle stesse disposizioni del GATT, ma che apre alla politicizzazione dei rapporti commerciali e delle relazioni economiche internazionali in termini mai visti prima – da cui il termine “geoeconomia”, che ha recentemente affiancato quello – già noto – di “geopolitica”.

Vi è, infine, la reazione degli Stati a livello umanitario: anche l'assistenza umanitaria è senza precedenti e coinvolge Paesi come l’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, che avevano stentato ad aprire le proprie porte ai migranti provenienti dalla Siria, l’Afghanistan etc.

Ultimo elemento, ma non meno significativo, come si è accennato, da sottolineare è la reazione del settore privato e della società civile. Decine di compagnie – soprattutto multinazionali ma anche piccole e medie imprese – hanno deciso di agire concretamente contro l’invasione russa dell’Ucraina, annunciando la sospensione, e talora la vera e propria cessazione, delle loro attività in Russia: dal settore automobilistico (come BMW e Renault) e del trasporto marittimo (MSC, per esempio) alle compagnie produttrici di energia (tra cui l’italiana ENI), ai colossi dell’energia e dello streaming (come Spotify, Apple e Netflix), fino ai brand di abbigliamento (come H&M, Nike e la maison Valentino).

Ma la reazione è arrivata anche dal mondo dello sporto (dal calcio al tennis alla Formula Uno), della cultura e dello spettacolo. Il Ministro dell’Università e della Ricerca italiano, ad esempio, ha sospeso tutti gli accordi di cooperazione con università e centri di ricerca russi.

Riassumendo, non solo il quadro giuridico è abbastanza chiaro ma è tutto sommato rassicurante, a fronte delle dimensioni e dell’intensità delle reazioni, a tutti i livelli, nella società internazionale.

4. Cambiamenti

Eppure, il conflitto russo-ucraino ha cambiato il mondo. La Russia cambia il mondo – ha intitolato il numero di Limes, diretto da Lucio Caracciolo, uscito all’indomani dell’invasione. Ed è un cambiamento probabilmente irreversibile.

La NATO si allarga. Dopo la Repubblica di Macedonia del Nord, che è stato l'ultimo Paese ad aderire all'Alleanza il 27 marzo 2020, cinque Paesi partner hanno dichiarato di aspirare all'adesione alla NATO: Bosnia-Erzegovina, Finlandia, Georgia, Svezia e Ucraina. Al vertice di Madrid (28-30 giugno 2022), la Turchia ha ritirato il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia che, con la firma dei Protocolli di accessione il 5 luglio 2022, possono già partecipare alle riunioni dell’Alleanza, pur senza diritto di voto. Il processo, dopo la ratifica da parte di tutti i parlamenti, secondo le previsioni, si dovrebbe concludere in circa 6-8 mesi. Questo è un effetto del conflitto russo-ucraino. A Madrid, la NATO ha adottato anche il suo nuovo Strategic Concept, che identifica la Russia come la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza atlantica e per la prima volta prende in considerazione anche la Cina.

Dal 26 al 28 giugno 2022, si è svolto anche il 48° vertice del G7 – il forum intergovernativo composto dai sette maggiori Stati economicamente avanzati (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), cui sono stati invitati anche cinque paesi partners, c.d. grandi democrazie emergenti: Argentina, India, Indonesia (anche in quanto Presidente di turno del G20), Senegal e Sudafrica. Il vertice ha riaffermato il sostegno all’Ucraina per tutto il tempo che sarà necessario, ivi compreso per la sua ricostruzione economica e infrastrutturale, ed investimenti in progetti infrastrutturali sostenibili in Paesi in via di sviluppo con la finalità principale di contrastare l’espansionismo cinese.  

Vi è poi, ovviamente, il grande impatto sull'UE: Josep Borrell, l'Alto commissario per la politica estera e la sicurezza comune dell'UE, ha detto che questo è un momento grande per l'Europa, perché segna la nascita dell'Europa geopolitica e il varo, il 21 marzo 2022, della c.d. Bussola strategica per la sicurezza e la difesa: un piano di azione volto al rafforzamento sia delle missioni civili che della capacità di dispiegamento rapido militare dell’Unione. Cui si affianca l’aumento delle spese militari da parte dei singoli Paesi, ivi compresi la Germania e l’Italia.

Il 17 giugno 2022, la Commissione europea ha reso pubblica la sua opinione favorevole a considerare l'Ucraina (così come la Moldavia) paese-candidato a entrare nell'Unione europea – opinione discussa il 23 giugno dal Consiglio europeo, che ha deciso all’unanimità di avviare il processo di adesione. Passeranno probabilmente anni prima che l’Ucraina soddisfi i requisiti per divenire membro dell’UE, ma una volta avviato il processo potrà difficilmente essere fermato.

Quali dunque le prospettive per e dopo la fine del conflitto?

5. Prospettive

Le guerre di solito si terminano sul terreno o sul tavolo dei negoziati. Nessuno dei due scenari pare – al momento in cui si scrive – a portata di mano.

La pace è come l’uguaglianza, la giustizia, la dignità umana. Non basta desiderarla o affermarla a parole, bisogna volerla e perseguirla nei fatti, così come nelle parole. Quando la si dà per scontata per troppo tempo, la si perde. Anche se il conflitto russo-ucraino ha mostrato che "quel che è sommamente improbabile è pur sempre possibile”, la pace è necessaria e anche questo conflitto, per quanto lungo, è come tutte le cose umane destinato a finire.

Che finisca con la caduta di Putin, o il riconoscimento della sovranità russa su Crimea e Donbass, oppure in qualunque altro modo – comunque finisca questo conflitto –– avremo perso tutti: organizzazioni internazionali, Stati, imprese e società civile. 

Vi sono le perdite militari, ma anche civili (quasi 5000, ma potranno essere molti di più). Quasi 8 milioni di rifugiati dall'Ucraina hanno attraversato i Paesi vicini in cerca di sicurezza dal 24 febbraio; di essi, solo una parte potranno lentamente tornare da dove erano venuti. Altri 8 milioni di persone sono sfollate all'interno dell'Ucraina. Si stima che oltre 15 milioni di persone abbiano urgente bisogno di protezione e assistenza umanitaria. L’Ucraina sarà un Paese distrutto, con danni ambientali e al patrimonio artistico e culturale ad oggi inestimabili.   

La guerra in Ucraina sta anche causando una crisi economica e umanitaria e una crisi alimentare globale che rischia di trasformarsi in catastrofe, con profonde conseguenze per la governance globale, non da ultimo per la capacità della comunità internazionale di affrontare le sfide globali, dalla ripresa post-Covid all'assistenza sanitaria, dal cambiamento climatico agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e alla trasformazione digitale.


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