Il progetto di riforma del CSM
1. Concluso l’esame in Commissione[1], il 9 dicembre 2024 è iniziato presso la Camera dei deputati l’esame in Assemblea del disegno di legge costituzionale presentato il 13 giugno 2024 dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro della giustizia in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare (atto n. 1917/C).
Il progetto di riforma, com’era prevedibile, è stato oggetto di valutazioni opposte. A chi ritiene la riforma necessaria per assicurare i principi del giusto processo ed evitare le degenerazioni del correntismo, si contrappone chi invece teme che dalla stessa possa derivare un indebolimento per le garanzie di indipendenza della magistratura.
Per poter valutare il progetto di riforma costituzionale, è opportuno chiarire gli scopi che la stessa si propone di raggiungere e la congruità delle soluzioni proposte rispetto agli obiettivi perseguiti.
2. La riforma mira a realizzare i principi del giusto processo e ad evitare le degenerazioni del correntismo.
Per conseguire il primo obiettivo, la riforma introduce la separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, e lo “sdoppiamento” dell’organo di governo autonomo in due nuovi organi, il Consiglio Superiore della Magistratura giudicante e il Consiglio Superiore della Magistratura requirente, entrambi presieduti dal Capo dello Stato.
Per combattere il correntismo ed evitare indebite interferenze nell’operato degli organi di governo autonomo, viene proposta la sostituzione del sistema elettivo vigente con un meccanismo di sorteggio, “temperato”, nel caso dei componenti laici, “puro”, nel caso dei magistrati. Sempre al fine di evitare indebite interferenze correntizie sulle decisioni riguardanti i magistrati, il progetto di riforma prevede l’istituzione di una Alta Corte disciplinare, composta da quindici giudici, dei quali tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre scelti dal Parlamento mediante un sistema di sorteggio temperato e sei estratti a sorte tra giudici e pubblici ministeri con funzioni di legittimità.
3. Il dibattito pubblico sul progetto di riforma costituzionale è incentrato principalmente sul tema della separazione delle carriere.
Tra i tanti problemi che il nostro sistema di giustizia presente, però, quello della separazione delle carriere non sembra oggi rivestire particolare rilevanza. Com’è noto, già oggi di fatto esiste una separazione tra le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici, essendo possibile il passaggio dall’una all’altra funzione soltanto una volta nella carriera e con molte limitazioni. Il passaggio dal ruolo giudicante a quello referente, o viceversa, oggi interessa annualmente meno dell’1% dei giudici.
Inoltre, per impedire quell’unico passaggio di funzioni che oggi è consentito, non è necessaria una riforma costituzionale, essendo sufficiente una semplice legge ordinaria. La Corte costituzionale, infatti, ha da tempo precisato che, nonostante la diversità ruoli dei magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, la Costituzione non contiene alcun principio che imponga o al contrario precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra gli stessi, o che impedisca di limitare o di condizionare più o meno severamente il passaggio dello stesso magistrato, nel corso della sua carriera, dalle une alle altre funzioni” (Corte costituzionale, sentenza n. 307 del 2000).
La garanzia dei principi del giusto processo, che rappresenta l’obiettivo principale della riforma, richiederebbe invece ben altri interventi, perché il maggior problema della giustizia oggi non è la separazione o meno delle carriere, ma quello di porre un rimedio alle perduranti disfunzioni della giustizia penale e civile in Italia, soprattutto con riguardo alla durata dei procedimenti.
4. Nonostante che la relazione di accompagnamento al disegno di legge costituzionale configuri lo sdoppiamento del CSM come una scelta di “continuità rispetto all’attuale ordinamento”, la riforma appare destinata a produrre non trascurabili inconvenienti.
La creazione di due distinti CSM, infatti, potrebbe far emergere conflitti (si pensi ad esempio alla possibilità di pareri divergenti sullo stesso tema) e determinare problemi pratici di funzionamento. Il Capo dello Stato sarà infatti chiamato a svolgere le funzioni di presidente nei confronti di entrambi i CSM, e il Ministro della giustizia sarà chiamato a collaborare con entrambi gli organi.
La riforma, pur volta ad assicurare l’equidistanza di accusa e difesa rispetto agli organi giudicanti, consente agli avvocati di essere nominati componenti laici sia del CSM giudicante sia del CSM requirente, mentre i pubblici ministeri non potrebbero partecipare al CSM giudicante. Mentre componenti provenienti dall’avvocatura (e che potranno rientrare nell’avvocatura una volta cessato l’incarico) potranno partecipare alle valutazioni di professionalità e al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi dei giudici, quindi, i pubblici ministeri sarebbero esclusi da tali decisioni. Ciò comporta una evidente contraddizione tra l’obiettivo della riforma, che è quello di porre avvocati e pubblici ministeri su un piano di parità ed equidistanza dai giudici, e il modello prescelto, che non impedirebbe ad esponenti dell’avvocatura di partecipare a decisioni che riguardano lo status dei giudici.
In dottrina è stato infine evidenziato il rischio che, con la creazione di un CSM autonomo per i pubblici ministeri, si possa dar vita ad una sorta di “Prokuratura” (Zanon), “una sorta di super polizia, priva di controlli, separata dai giudici, autogovernata, dotata di formidabili poteri di ingerenza nella vita dei singoli, delle famiglie, delle imprese e della stessa politica, con rischi rilevanti per le libertà di tutti i cittadini” (Violante).
Preferibile sarebbe stata quindi la scelta di mantenere un unico organo di governo autonomo ed al limite prevederne l’articolazione in due sezioni, sulla scorta del modello francese.
5. L’obiettivo di combattere le ingerenze indebite delle correnti nel governo della magistratura è senz’altro condivisibile. Lo strumento utilizzato per conseguire tale obiettivo, però, solleva numerose perplessità.
La previsione del sorteggio muove dall’assunto che la magistratura non sia in grado di scegliere autonomamente i componenti del proprio organo di governo autonomo. In tal modo si veicola però un giudizio estremamente negativo sull’intero corpo della magistratura, che finirà inevitabilmente per aumentare la sfiducia dei cittadini nei confronti dei giudici e dei pubblici ministeri.
È la logica sottesa alla scelta del sorteggio, quella dell’uno vale uno, che non convince. Non è vero che ogni giudice sia egualmente capace e abbia egualmente interesse a diventare componente dell’organo di governo autonomo, così come non è vero che la composizione del CSM sia ininfluente per il funzionamento dello stesso. Una logica, quella dell’uno vale uno, palesemente in contrasto con quella seguita ad esempio per le valutazioni di professionalità, dove correttamente si è invece scelto di valorizzare il merito dei magistrati per interrompere la prassi di giudizi uniformi che non tengono conto del diverso impegno e delle diverse capacità e attitudini dimostrate dai giudici e dai pubblici ministeri nell’esercizio delle proprie funzioni.
La composizione “casuale”, inoltre, mina alla radice l’autorevolezza dell’organo di governo autonomo, con ciò contraddicendo l’obiettivo di garantire e promuovere l’autonomia e l’indipendenza dei giudici e dei pubblici misteri, che pure il progetto di riforma intende conseguire. Non è un caso che tutti i documenti internazionali relativi alla composizione e alle funzioni degli organi di governo autonomo della magistratura richiedono che gli stessi siano composti in maggioranza da magistrati eletti da loro pari.
Non è poi chiaro il motivo per il quale, a fronte del sorteggio “puro” per giudici e pubblici ministeri, sia stata invece scelta la soluzione del sorteggio “temperato” per i componenti laici dei due CSM. In effetti, anche per gli avvocati con quindici anni di esercizio e per i professori ordinari di università in materie giuridiche si potrebbe in teoria applicare la logica dell’uno vale uno, ovvero presumere che ciascuno dei soggetti che posseggono tali requisiti possa adeguatamente svolgere anche la funzione di consigliere.
La riforma costituzionale, rimettendo al legislatore ordinario la scelta delle modalità per il sorteggio “temperato” dei componenti laici, lascia infine aperti numerosi interrogativi. Non è infatti indifferente che la lista scelta dal Parlamento per il sorteggio sia breve o lunga, che la scelta dei componenti da inserire in lista avvenga con votazione unica oppure con votazioni separate per i singoli componenti da eleggere, che la maggioranza richiesta sia semplice oppure qualificata. Si tratta evidentemente di questioni che, rivestendo un’importanza centrale per la definizione del grado di incidenza della maggioranza di governo nelle scelte dei componenti laici, avrebbero meritato di essere direttamente affrontate nell’ambito della riforma.
6. L’istituzione dell’Alta Corte disciplinare costituisce infine una scelta di rottura rispetto al modello costituzionale, che ha assegnato al CSM la competenza per “i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati” (art. 105 Cost.), e inedita rispetto alle esperienze europee, perché mai adottata in nessuno dei paesi che hanno scelto il governo autonomo della magistratura.
La composizione dell’organo, che prevede un sorteggio temperato per i tre componenti eletti dal Parlamento e un sorteggio puro per i nove togati, solleva le medesime perplessità già evidenziate con riguardo al sorteggio dei componenti CSM. A ciò si aggiunga l’opinabilità della scelta di sorteggiare i componenti dell’Alta Corte soltanto tra coloro che svolgono o abbiano svolto funzioni di legittimità che, è stato detto, appare ispirata alla “vecchia impostazione verticale-gerarchica” del potere giudiziario” (Silvestri).
La riforma prevede poi un duplice grado di giudizio di merito ed esclude che le sentenze emesse dall’Alta Corte in seconda istanza possano essere impugnate in Cassazione. In tal modo, però, introduce un trattamento deteriore per i soli magistrati ordinari, che non potrebbero avvalersi del ricorso per cassazione contro le sentenze disciplinari, non facile da giustificare.
L'istituenda Alta Corte avrà competenza solo sugli illeciti dei magistrati ordinari e non anche su quelli dei magistrati amministrativi, militari e contabili, per i quali continuerebbe a permanere l’attuale disciplina che affida la competenza ai rispettivi organi di governo autonomo. Ma delle due l’una. Se si ritiene che un organo di governo autonomo non permetta di esercitare correttamente la funzione disciplinare, l’Alta Corte dovrebbe avere giurisdizione nei confronti di tutti i giudici, ordinari e speciali. Se al contrario si ritiene che il vigente modello disciplinare possa essere mantenuto per i giudici speciali, non si capisce perché debba essere modificato per quelli ordinari.
7. In definiva, la riforma persegue obiettivi condivisibili ma utilizza strumenti inadeguati se non addirittura controproducenti, perché rischiano di indebolire l’organo cui pure si continua ad affidare il compito di garantire l’autonomia e l’indipendenza di giudici e pubblici ministeri.
[1] L’esame in Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati è iniziato l'11 luglio 2024 e si è concluso il 3 dicembre 2024.