Editoriale 3/2009

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Andrea Simoncini

Per una nuova “centralità” della legge: l’avvio del dibattito

Con l’Editoriale dello scorso numero dell’Osservatorio online auspicavamo che la dottrina pubblicististica e costituzionalistica avviasse una riflessione comune sulle questioni principali che oggi agitano il sistema di produzione delle leggi – e non solo delle leggi – in Italia.

Molte ed autorevoli sono state le risposte a questo invito.

In questo numero iniziamo con il pubblicare le prime due, anticipando sin d’ ora che altri interventi sono già previsti per il prossimo numero e – soprattutto - che il dibattito che intendevamo suscitare, per la natura stessa di questa Rivista, potrà certamente proseguire anche nel corso dei numeri successivi.

In questo numero pubblichiamo i contributi dei professori Franco Modugno ed Antonio Ruggeri.

Entrambi vanno al cuore della questione sollevata, ovviamente, con prospettive, giudizi e suggerimenti in parte differenti, ma anche con una rilevante “sintonia” su alcune problematiche di fondo.

Comune, ad esempio, è il giudizio sulla diagnosi dello stato attuale.

Franco Modugno, nelle sue “considerazioni sul ruolo della legge parlamentare”, muove da un dato di fatto ormai incontrovertibile: la legge del Parlamento è oggi sempre più messa “fuori mercato” dall’arrivo di competitors agguerriti e “vincenti”, quali la “avanzante e pervasiva normazione comunitaria”, la “sempre più competitiva legislazione regionale” e la travolgente avanzata dei poteri normativi del Governo.

Se sommiamo queste tre spinte, tutte vòlte a conquistare sempre maggiori spazi regolativi, comprendiamo che “si tratta di una aggressione talmente virulenta” da costringere a chiedersi quale sia oggi davvero la “posizione della legge formale (parlamentare), comunemente definita anche primaria o ordinaria”

Ed analogamente, Ruggeri ritiene che ormai sia sotto gli occhi di tutti la vistosa alterazione del sistema delle fonti rispetto alla disciplina costituzionale.

Dinanzi a questa condizione sempre il professor Ruggeri sintetizza efficacemente l’alternativa: “Qual è il verso da intraprendere nell’opera riformatrice? Adattare il modello costituzionale all’esperienza o tentare di riportare questa a quello? Qui è il cuore della questione su cui siamo oggi nuovamente chiamati a discorrere. È reversibile il superamento del modello costituzionale? E, se sì, quale direzione conviene intraprendere? Quella che porta ad adattare il modello stesso all’esperienza, a “razionalizzare” insomma quest’ultima, o l’altra, opposta, che comporta lo sforzo di ricondurre – fin dove possibile – l’esperienza entro l’alveo tracciato dall’originario modello?”

Gli scenari e le prospettive evocate dai due studiosi presentano indubbiamente “accenti” diversi, ma che risultano tra loro utilmente complementari.

Mentre le riflessioni nel contributo di Franco Modugno si pongono – prevalentemente - in uno scenario a “costituzione invariata”, Antonio Ruggeri pone con decisione anche la necessità “di far luogo ad un corposo rifacimento del tessuto costituzionale, sia innovando la disciplina relativa ai tipi di atti esistenti e sia prevedendone di nuovi (con specifico riguardo alle leggi “organiche” ed a leggi comunque “rinforzate”)”

Ma pur suggerendo strade diverse, gli obiettivi proposti in molti casi coincidono.

Pensiamo, ad esempio, tra i tanti temi affrontati a quello del ruolo della legge parlamentare rispetto alle altre fonti di carattere primario.

In entrambi gli autori è chiara la necessità di assicurare una maggiore “tenuta” della legge parlamentare rispetto al “travolgente” processo di moltiplicazione dei diversi centri di produzione normativa primaria, processo che ha reso il pluralismo normativo che caratterizza il nostro assetto costituzionale un vero e proprio “disordine delle fonti”.

Le strade per realizzare questo obiettivo, quantomeno in parte, differiscono.

Per il prof. Modugno, “la legge parlamentare dovrebbe essere (o diventare), anzitutto, fonte sulla produzione del diritto, più che fonte di diritto(…); fonte soprattutto di norme di principio, di iscrizione di poteri normativi, di creazione di tipologie di atti normativi, di regole procedimentali, di effetti giuridici da stabilire per la varietà di tali atti normativi. In questo senso, e in questa direzione , la legge parlamentare potrebbe ricondurre effettivamente l’ordinamento ad un ordinato sviluppo. (…) E di auspicio in auspicio, si potrebbe immaginare che la legge parlamentare potrebbe assumere, nello svolgimento di tale funzione – che è una funzione sostanzialmente costituzionale, vertente cioè su materia costituzionale – una apposita forma (“legge ordinaria in materia costituzionale” come è suggerito dall’art. 72 u.c. Cost. a proposito della “riserva di assemblea”) caratterizzata, per renderla riconoscibile tra le altre leggi, dall’oggetto e dal contenuto dispositivo (generale, astratto, ripetibile) e dalla necessarietà di una espressa dichiarazione di abrogazione, modifica o deroga esplicite delle sue disposizioni”. In particolare, sempre seguendo questa impostazione teorica, alla fonte legislativa sarebbe consentito creare nuove fonti primarie purché vengano attribuite a soggetti che non siano il Parlamento o il Governo – nei confronti dei quali operano i limiti costituzionali -. “E ’ben possibile – infatti - che la legge parlamentare stabilisca di ritrarsi (autolimitarsi) dalla disciplina di determinati settori, materie o rapporti, limitandosi a dettare, per essa, i principi generali, le regole inderogabili, e a prestabilire limiti di produzione regolativa autonoma, anche di valore primario”. E tali modifiche, nella rigorosa prospettiva presentata, non abbisognerebbero di modifiche costituzionali.

Nella prospettiva presentata da Antonio Ruggeri, la strada maestra è quella, invece, di modificare a livello costituzionale il catalogo delle fonti primarie, “stabilendo che certe leggi possono venire alla luce solo se approvate a maggioranza assoluta e che sulle stesse non è possibile porre questioni di fiducia”: è la categoria variamente denominata delle leggi organiche o rinforzate che certamente consentirebbe alla Corte costituzionale un parametro molto più chiaro e certo per sindacare i rapporti tra le varie fonti primarie (parlamentari e del Governo) e queste leggi generali o sulle fonti.

D’altronde, vorremmo far notare che se nel 1988 la legge n. 400 fosse stata approvata con una legge organica, dunque realmente sovraordinata sul piano gerarchico a fonti primarie come il decreto-legge, probabilmente la prassi di questa fonte avrebbe avuto una storia del tutto differente.

Ma le proposte e le osservazioni di Antonio Ruggeri, non si limitano solo a questo profilo; esse spaziano su una vasta gamma di altre fonti e coinvolgono diversi attori costituzionali; il tutto rispondendo ad una preoccupazione di ordine metodologico profondamente radicata nella riflessione di questo autore: quella per cui, usando le sue parole, “ciò che si può (e deve) fare investe a un tempo più fronti: in primo luogo, quello interno al sistema politico e quello istituzionale (nelle sue varie articolazioni, con riguardo cioè sia agli organi della direzione politica che agli organi di garanzia), e, quindi, il fronte degli strumenti di normazione. Pensare che possa bastare l’intervento, pur accorto ed incisivo, ad uno solo dei piani suddetti sarebbe una imperdonabile manifestazione di miopia, potendosi anzi assistere ad effetti che, più ancora che monchi o parziali, si rivelino controproducenti, accrescendo a conti fatti i guasti esistenti ovvero creandone di nuovi (non poche volte si è dovuto toccare con mano che una mezza riforma è peggio di una… non riforma)”.

Con questi contributi e con gli altri che la Rivista pubblica in questo numero, il dibattito che abbiamo avviato realizza un importante passo in avanti. La direzione comune che emerge è quella, da un  lato, di non “arrendersi” alla forza del “fatto”, rinunciando a rivendicare quella centralità della legge parlamentare che la nostra forma di governo e di stato attribuisce all’organo direttamente rappresentativo della volontà popolare.

Dall’altro, occorre rendersi conto che per mantenere questa posizione fisiologica della legge nel sistema delle fonti è necessaria una vigorosa opera di riforma, sia a livello costituzionale che sub-costituzionale, che prenda atto del pluralismo normativo esistente e che cerchi di porre le fonti ordinatrici e di sistema su di un piano gerarchico e logico superiore alle fonti ordinarie di produzione primaria, pena il perdurare del caos normativo.