Editoriale n. 2/2018

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Grisolia

Questo numero ospita alla Rubrica "Saggi" il contributo di Stefano Agosta sul tema della possibile regolamentazione della maternità surrogata.

L'autore, prendendo lo spunto da un obiter dictum contenuto in una recente sentenza della Corte costituzionale in materia di disconoscimento della maternità per difetto di veridicità del certificato di nascita fatto all'estero, affronta la questione alla luce dei molteplici interessi in gioco e delle ragioni che fino ad oggi hanno impedito l'introduzione di una tale disciplina. Una disciplina, vietata dalle legge n. 40 del 2004 e contrastata anche in questa pronuncia dalla Corte costituzionale, ma che Agosta ritiene possa essere ammessa, sia pure in casi particolari e a certe condizioni, superando le molte ma non insormontabili difficoltà che ne hanno impedito l'introduzione.

I "Saggi", tuttavia, non costituiscono l'oggetto principale di questo numero.

Esso, infatti, contiene ben quattro "Speciali", di cui solo il primo, come già accaduto nel numero precedente, raccoglie le relazioni che sono state svolte in un incontro di studio ("La Costituzione tra rigidità e trasformazioni") organizzato dalla nostra Rivista, mentre gli altri riguardano lavori che l'Osservatorio ha solo pubblicato.

L'occasione del nostro appuntamento - al quale è dedicato l'editoriale - è legata all'anniversario dei settat' anni della Costituzione.

Un anniversario particolarmente importante per la longevità dimostrata dalla Carta costituzionale (sett'anni sono una età indubbiamente ragguardevole) e per l'inaspettata rigidità che essa ha dimostrato, uscendo indenne dalla lunga e tormentata stagione di riforme, che tanto ci ha occupato negli ultimi anni.

Gli anniversari sono occasione di bilanci e, dunque, come non attestare lo stato di salute di una Costituzione che è apparsa pienamente in grado di contrastare i tentativi di modifica che da più di trent'anni hanno impegnato il dibattito politico e dottrinale, non senza suscitare conflitti e contrasti.

Ed, anzi, si è autorevolmente affermato (volentieri mi richiamo al saggio pubblicato da Enzo Cheli sulla rivista Il Mulino) che saremmo addirittura in presenza di una sorta di "ossimoro storico", rappresentato dalla esistenza una Costituzione "forte", in quanto sorretta da un largo consenso popolare, la quale offre la base ad una democrazia fragile, in quanto guidata da una classe politica divisa e confusa.

E, tuttavia, nonostante le migliori apparenze e l'indubbia resistenza dimostrata dalla Carta costituzionale, il suo stato di salute non possiamo in realtà definirlo così buono.

Malgrado, dunque, l'ottimismo che doverosamente accompagna ogni compleanno, non celebreremmo degnamente questo anniversario senza richiamare i problemi e gli interrogativi che sono sorti dalle vicende appena richiamate.

Essi, lo sappiamo, si sono proposti quando dalla manutenzione costituzionale si è passati a progetti di vasto impianto, volti a modifiche più radicali. Progetti con i quali si è cercato di ovviare ai non pochi difetti e lacune che, per i motivi che tutti sappiamo e che non sto qui a richiamare (ma che tutti originano dalla mancata attuazione dell'ordine del giorno Perassi), i nostri Costituenti non seppero evitare.

Il fallimento, nel bene o nel male, di questo processo di riforma ha dunque lasciato aperti tutti i problemi da cui esso era nato e che, è quasi banale sottolinearlo, sono riemersi prepotentemente a seguito delle recenti vicende legate all'avvio dell'attuale Legislatura.

Dopo il referendum del 4 dicembre dello scorso anno non si parla più di "grandi riforme".

L'opinione oggi largamente condivisa è che non di riforme radicali ha bisogno la nostra Costituzione, ma piuttosto di soli interventi di "manutenzione", volti a migliorare e mai a trasformare l'impianto originario.

Non vogliamo dare giudizi né fare previsioni su tale prospettiva.

Un dato tuttavia emerge già da ora, ed è quello che la strada delle piccole riforme sembra altrettanto impervia ed insicura.

Penso alla assai discussa nuova legge elettorale, faticosamente approvata alla fine dello scorso anno e già oggetto di ipotesi di revisione.

Penso all'ugualmente recente riforma dei regolamenti parlamentari, che da tempo era stata auspicata, ma che è poi sfociata nella modifica del regolamento del Senato (aggiungerei, del solo regolamento del Senato - e non di entrambe le Camere - come si sarebbe auspicato), con la quale, pur nella prospettiva di una riforma organica, si è ottenuto risultati ancora parziali ed insufficienti a risolvere l'entità delle questioni.

Alla fine, parrebbe quasi che, scartata la strada delle "grandi riforme" e ridimensionata nel suo possibile rilievo quella di più mirate modifiche strutturali, non resti che puntare, in modo solo apparentemente riduttivo, sulla da sempre conclamata flessibilità della nostra Costituzione. Sulla sua capacità, cioè, di trasformarsi e di adeguarsi alle continue evoluzioni della realtà politica ed istituzionale, affidandoci alle trasformazioni, tutte endogene al sistema, che fino ad oggi ci hanno permesso di ovviare alle lacune e alle ambiguità che permangono nel nostro impianto costituzionale.

Da tali considerazioni il titolo del nostro incontro che, proprio prendendo spunto dalla dimostrata "rigidità" della nostra Costituzione, intende soffermarsi sulle trasformazioni che a vario titolo hanno interessato in questi anni il nostro sistema.

"la Costituzione tra rigidità e trasformazioni" il tema dunque di questo incontro.

Il primo profilo esaminato non poteva che essere quello, preliminare a tutti gli altri, legato all'adeguamento del procedimento previsto ex art. 138 Cost. a riforme così ampie quali quelle che hanno interessato la nostra Costituzione in questo trentennio.
E' a questo tema che è dedicata la relazione di Paolo Carnevale, il quale dopo un ampio quadro teorico sui principi e i caratteri generali della deroga normativa e sulle loro possibili applicazioni alla Costituzione e allo stesso art. 138 Cost., avvia una articolata riflessione intorno all'andamento del processo di revisione costituzionale che si è venuto sviluppando nel corso della nostra esperienza costituzionale.

La conclusone è che, ad onta delle deroghe operate, la prassi trascorsa testimonia l'indubbia "vitalità-duttilità" della norma prevista ex art. 138 Cost., la quale ha dimostrato di sapersi volta volta adattare alle diverse esigenze dettate dalla maggiore o minore ampiezza degli interventi previsti durante il cammino delle riforme. Riforme il cui non felice esito finale - sottolinea Carnevale - deve ritenersi del tutto indipendente dal procedimento regolato dalla nostra Costituzione e piuttosto imputabile a ragioni, soprattutto di politica contingente, del tutto estranee al procedimento medesimo.

Seguendo l'ordine di esposizione, le altre relazioni prendono rispettivamente in considerazione l' evolversi del nostro sistema costituzionale attraverso le interrelazioni tra: Costituzione e norme sovranazionali (Enzo Cannizzaro); Costituzione, prassi, convenzioni e consuetudini (Ugo Rescigno); Costituzione e regolamenti parlamentari (Pietro Ciarlo); Costituzione e giustizia costituzionale (Antonio Ruggeri); Costituzione e fonti primarie (Gaetano Silvestri).

La prima relazione ha, dunque, per oggetto il sistema dei rapporti fra Costituzione e valori esterni, con particolare riferimento a quelli espressi dalle norme internazionali ed europee.

L'analisi è condotta dall'autore sul filo dei due paradigmi culturali che tradizionalmente guidano tali relazioni: quello più classico dell'introversione (che concepisce il sistema dei valori costituzionali come sistema autoreferenziale e chiuso al mondo esterno) e quello opposto dell'estroversione costituzionale (che, invece, concepisce il sistema dei valori costituzionali come sistema aperto e permeabile agli altri sistemi, sia statali che internazionali, di cui è pronto a recepirne i principi fondamentali).

E' a quest'ultimo paradigma che si è ispirato, come è noto, il nostro Costituente che accompagna al generale favore verso il diritto internazionale, una chiara valorizzazione dei principi internazionali, così come traspare dagli artt. 10 e 11 Cost.

Da queste norme inizia l'indagine di Cannizzaro che ne ripercorre le fasi dello sviluppo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, evidenziando il tortuoso e complesso andamento, problematicamente oscillante tra la promozione del più aperto e il ritorno al più tradizionale paradigma di riferimento.

Dopo lo sguardo rivolto da Enzo Cannizzaro oltre i confini del nostro sistema, Ugo Rescigno ci accompagna lungo la sfuggente e tortuosa problematica legata alle regole non scritte che nascono dalla prassi e cioè a quelle regole che sono prodotte dalla "regolarità" (come dice l'autore) dei comportamenti assunti dai soggetti politici ed istituzionali.

Fra quelle che si sono venute determinando nel nostro sistema, Rescigno punta soprattutto il dito (ma non solo) sui principi che completano (ma anche interpretano) la disciplina di quelli che rappresentano i punti di riferimento essenziali della nostra forma di governo: la formazione di un Esecutivo e lo scioglimento delle Camere.

L'analisi, secondo il metodo scelto dall'autore, parte dai "fatti" e da essi si muove per identificare le norme vigenti, ritenute ormai necessarie a disciplinare tali processi. Regole fra loro differenti per diversa forza ed efficacia, ma tutte aventi in comune un' ampia fluidità che obbliga l'interprete ad una faticosa opera di identificazione e collocazione nel sistema.

Da qui la loro relativa certezza e cogenza e le difficoltà legate alla loro applicazione. Difficoltà alle quali non sfugge neppure l'unica regola effettivamente giuridica (perché ritenuta obbligatoria e, quindi, in principio giustiziabile) e cioè la consuetudine costituzionale. La quale, nelle specificità che la distinguono dalle consuetudini di diritto privato, ha anche quella di non venire sempre ad imporsi attraverso una chiara e concorde opinio, che ne impedisce, anche questa volta, una facile opera di ricostruzione.

Ugualmente ricca e problematica la relazione di Luigi Ciaurro, il quale affronta - come sottolinea l'autore - il "complesso" e "tuttora irrisolto" rapporto tra Costituzione e diritto parlamentare nella biunivoca relazione che caratterizza, da un lato, le molteplici influenze che esercita sul diritto parlamentare la Costituzione, le consuetudini costituzionali e la stessa giurisprudenza della Corte e, dall'altro, le influenze prodotte, in senso inverso, dal diritto parlamentare sulla Costituzione medesima.

Se sotto quest'ultimo profilo l'analisi è più spedita, essendo note le molteplici modificazioni e pure anche le integrazioni operate dai regolamenti parlamentari sul testo costituzionale, assai analitico ed articolato l'esame del primo profilo. L'autore, attraverso un'ampia e approfondita analisi della giurisprudenza costituzionale, si sofferma così su quelli che hanno costituito i nodi principali di tale relazione. E cioè non solo sull'antico tema della natura e dell'efficacia dei regolamenti parlamentari, ma anche sui profili, ad esso strettamente correlati, della loro "sindacabilità" e "giustiziabilità" (sia interna che esterna) a fronte della loro non corretta applicazione.

A conclusione di un'analisi che offre ancora molti interrogativi, Ciaurro conclude affermando la necessità di un definitivo superamento dei vecchi "feticci", attraverso una più evoluta riscrittura dei regolamenti del 1971 che, riconoscendo la naturale autonomia e specificità del diritto parlamentare, offra ad esso le dovute garanzie per rinforzarne l'acquisita giuridicità.

Il lavoro di Antonio Ruggeri si sofferma sul rapporto tra Costituzione e giustizia costituzionale. O meglio, sulle influenze esercitate, da un lato, dalle trasformazioni costituzionali sulla giustizia costituzionale e, dall'altro, su quelle prodotte da quest'ultima sulle trasformazioni della Costituzione. E ciò - sottolinea l'autore - partendo dalle modifiche dello stesso modello di giustizia costituzionale tracciato dai nostri Costituenti. Modello, come è noto, imperfetto e ambiguamente oscillante tra una concezione politica e una tecnica del nostro massimo organo di garanzia.

Delle due anime - aggiunge Ruggeri - è la prima ad aver avuto il sopravvento. E ciò per un insieme di cause e circostanze (di cui l'autore dà ampio conto) che segnano, ma non sempre giustificano fino in fondo, un tale indirizzo.

Quali i modi attraverso i quali è possibile porre un argine a tale evoluzione?

A questa domanda l'autore risponde additando a rimedio l'ormai diffusamente celebrato "dialogo" fra le Corti, "quale fattore - per usare le parole di Ruggeri - a un tempo, di stabilizzazione e di rinnovamento sia della giustizia sia della giurisprudenza costituzionale".
Solo attraverso il dialogo, infatti, e quindi attraverso il confronto fra le diverse posizioni, si contiene la tendenza espansiva della singolo organo, limitando il rischio di una eccessiva politicizzazione del suo giudizio.

Ciò detto, quali i possibili sviluppi della giustizia costituzionale.

A questo, che appare il più difficile dei quesiti, Ruggeri risponde, patrocinando la crescita di quella che egli chiama la "federalizzazione" dei diritti; e cioè la tendenza che già si registra nel dialogo fra le Corti, ad una sorta di interlocuzione- di federalizzazione appunto - delle diverse giurisprudenze verso la migliore e più ampia tutela dei diritti medesimi. Una "federalizzazione" che Ruggeri auspica possa estendersi anche all'organizzazione ed ai rapporti Stato-regioni.

Infine la relazione di Gaetano Silvestri affronta un profilo sicuramente centrale della problematica in esame. Il profilo cioè dei rapporti tra la Costituzione e quegli atti normativi (leggi elettorali, regolamenti parlamentari, leggi che disciplinano diritti fondamentali o il funzionamento di organi costituzionali) che vengono ad incidere, per i loro particolari contenuti, sulle norme della Costituzione, integrandole, interpretandole, fino anche modificandole tacitamente.

Dalla molteplicità di tali atti la necessità di una più ampia definizione del concetto di "materia costituzionale", entro il quale poterli tutti comprendere.

Un concetto, questo - sottolinea l'autore - non più in grado di essere sostenuto da meri criteri formali (come invece ha affermato la Corte), ma che sarebbe meglio retto da più ampi criteri sostanziali. I quali permettano di distinguere gli atti medesimi, imponendo, in base appunto ai loro contenuti, nuove rigidità che ne influenzino la effettiva forza e resistenza nel sistema (come oggi è il caso delle leggi c.d. costituzionalmente necessarie).

Per effetto, infatti, di tali atti, ormai non solo interni ma provenienti anche dagli ordinamenti sovranazionali (le norme CEDU e, ancor di più, le norme dell'Unione europea) la nostra Costituzione si "allunga" e nonostante - o a dispetto - dei procedimenti di modifica formale, subisce profonde trasformazioni che vengono ad incidere sul più vasto "ordinamento costituzionale".

A fronte di una sì complessa interrelazione - conclude Silvestri - la necessità di una più attenta considerazione del fenomeno al fine di garantire, attraverso una più accorta analisi e definizione dei possibili limiti, una crescita armonica ed equilibrata del nostro impianto costituzionale.

A chiusura delle problematiche trattate nelle singole relazioni, le considerazioni di Ugo De Siervo. Il quale ripercorre le fasi che hanno caratterizzato, prima, la faticosa (e tardiva) attuazione costituzionale e, poi, la sua difficile "tenuta" in un tessuto, politico, economico e sociale, caratterizzato da profonde trasformazioni sia a livello interno che sovranazionale.

Dalle molte tensioni alle quali è stato sottoposto il nostro sistema nascono - sottolinea l'autore - le molte torsioni e perfino il distacco da quello che era il disegno originario. Da esse anche l'illusoria ricerca di possibili rimedi attraverso un processo di revisione costituzionale, di cui si sottolinea - non senza evidenti punte di pessimismo - i troppi errori e lacune.
Condivisibili le considerazioni finali che, ben lontane dal cedere ad atteggiamenti rinunciatari ed arrendevoli, auspicano un nuovo impegno dei soggetti politici ed istituzionali verso più efficaci forme di progettazione, che recuperino le necessarie energie dalla forza che emana la memoria di ciò che, in situazioni non migliori, fu fatto e conquistato dai nostri Costituenti.

Come già detto, la Rivista pubblica anche altri tre "Speciali".

Il primo contiene gli interventi svolti al Convegno, organizzato nel dicembre dello scorso anno sul tema: "Le Città metropolitane. Tra riforma mancata e prospettive di razionalizzazione", con il quale si è cercato di fare un bilancio della legge n. 56 del 2014, a tre anni di distanza dalla sua approvazione.
L'interesse si è in particolare concentrato, da un lato, sulla dimensione costituzionale di questa nuova realtà locale e sull'esercizio della potestà statutaria ad essa attribuita e, dall'altro, sotto il profilo non solo giuridico ma anche economico, sulle esigenze e sulle prospettive di riforma.

Il secondo "Speciale" anticipa la pubblicazione delle relazioni tenute in un ciclo di Seminari, organizzati nell'aprile di quest'anno dalla Scuola Superiore Sant'Anna in collaborazione con le Università di Firenze, di Pisa e con la LUISS Guido Carli di Roma, nei quali si è analizzato l'esperienza della scorsa Legislatura sotto diversi profili: quello più propriamente legato al sistema delle fonti, quello delle singole articolazioni parlamentari ed, infine, quello delle politiche pubbliche.
Particolarmente interessante il confronto fra le diverse prospettive affrontate (quella più propriamente teorica e quella della politica e della prassi parlamentare) al quale hanno partecipato assieme a studiosi affermati, anche giovani professori e ricercatori.

Ai giovani ricercatori è anche dedicato l'ultimo "Speciale", che raccoglie le relazioni elaborate dagli iscritti al Seminario di studi e ricerche parlamentari "Silvano Tosi" a conclusione del corso tenuto nel 2017/18.

Le ricerche, che hanno avuto come tema l'analisi del procedimento legislativo, hanno affrontato le relative problematiche comparando l'esperienza italiana con quella di altri Paesi europei (Spagna, Francia, Germania) e dell'Unione europea al fine di mettere in luce le diverse linee di tendenza e, quindi, evidenziare gli elementi utili ad orientare gli sviluppi del nostro sistema.
Utili ed interessanti i risultati finali, che offrono - senza alcuna pretesa - non pochi spunti per una seria e meditata considerazione del tema trattato.