Editoriale n. 2/2019

Stampa

giovanni.di cosimo

L’attuazione del regionalismo differenziato, di cui si discute in questa fase politico-istituzionale, pone molte e complesse questioni. Il saggio di Tarli Barbieri che pubblichiamo in questo fascicolo della Rivista le esamina puntualmente, dalla procedura di approvazione delle leggi di attuazione delle intese, agli aspetti finanziari, dai contenuti delle intese, al tema della durata e della revocabilità dell’autonomia differenziata. L’autore non manca di rilevare che tutt’ora alcune parti decisive della riforma del Titolo V non sono ancora state attuate. E dunque l’attuazione del regionalismo differenziato – che non può essere una «sorta di improprio surrogato di un approdo alla specialità», come invece sembra nelle intenzioni di alcuni protagonisti della vicenda – cadrebbe in un contesto di “instabile stabilità” del quadro ordinamentale.

 

***

Gli altri saggi ospitati in questo fascicolo sono accomunati dal filo della tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali.

Il saggio di Feraci si sofferma sul primo parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo in base al protocollo addizionale n. 16 (adottato nel 2013 e non ancora ratificato dall’Italia). Il parere verte su una complessa questione relativa al ricorso alla maternità surrogata da parte di una coppia di cittadini francesi. L’autrice, oltre a soffermarsi sugli aspetti sostanziali della questione, analizza i profili procedimentali di tale inedita tecnica di protezione dei diritti fondamentali nell’ambito del sistema di tutela CEDU, rilevando che gli aspetti più controversi sono la portata del parere e i suoi effetti, oltre alla delimitazione delle questioni sottoponibili alla Corte.
Altri due saggi sono dedicati al rapporto fra Corte di giustizia e Corte costituzionale. La rinnovata attenzione al tema nasce dalla sent. 269/2017 della Corte costituzionale che, nel punto in cui fa una ‘precisazione’, rimodula quel rapporto. «Fermi restando i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale», la precisazione riguarda le ipotesi di “doppia pregiudizialità”, nelle quali possono sorgere tanto questioni di legittimità costituzionale quanto questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione europea. Nel caso che ha costituito l’occasione per la precisazione, si intersecano la Carta dei diritti di Nizza e la Costituzione. Il senso della precisazione è che nelle ipotesi di violazione dei diritti della persona si rende necessario l’intervento con efficacia erga omnes della Corte costituzionale. «La Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.)». E dunque la precisazione afferma che, «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 267 del TFUE».
Nel suo saggio, Amalfitano sostiene che la precisazione sposta l’equilibrio da tempo sperimentato e definito dalla giurisprudenza Granital che fece seguito alla sentenza Simmenthal della Corte di giustizia; ha lo scopo di riconquistare una centralità della giustizia costituzionale nella tutela dei diritti fondamentali. Infatti, stabilendo che il giudice comune debba rivolgersi innanzitutto al giudice delle leggi, si inverte la “regola” della doppia pregiudizialità, in forza della quale si riteneva che la questione di compatibilità comunitaria costituisse «un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità».
A sua volta, Massa contestualizza questa vicenda collocandola in un quadro più ampio. Nel suo saggio sostiene che è cominciata una “stagione di attivismo”, caratterizzata da varie novità relative al ruolo del giudice costituzionale, fra le quali basterà ricordare la rimodulazione nel tempo degli effetti delle decisioni; le sentenze sulle leggi elettorali che forzano sul punto dell’ammissibilità allo scopo di evitare una zona franca del giudizio costituzionale; il ripensamento della dottrina delle rime obbligate e della giurisprudenza sul controllo relativo ai regolamenti ecc. Tuttavia, malgrado la logica della precisazione metta effettivamente in discussione alcuni aspetti consolidati del modello di funzionamento del diritto europeo, l’autore ritiene che quella logica non si fondi su «un estemporaneo rigurgito di sovranismo», ma sulla volontà della Corte costituzionale di conservare il proprio ruolo nel sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali. Conclusione non distante da quella di Amalfitano.
Tuttavia, prima ancora della persuasività della precisazione, del giudizio che si deve dare sulla logica che l’ispira e sulle conseguenze che comporta, merita attenzione proprio il dato di contesto, il fatto che la precisazione rientri appieno nella nuova ‘stagione di attivismo’, come la chiama Massa, dell’organo di giustizia costituzionale. Occorrerebbe allora soffermarsi sulle manifestazioni di questa stagione che, in parte significativa, sono controverse, dal momento che, per dirla in forma un po’ tranchant, la Corte ha esteso i propri margini di azione (si pensi alla modulazione degli effetti temporali o all’ammissibilità delle questioni sulle leggi elettorali) forzando i dati normativi che ne definiscono le competenze. Vero è che le istituzioni vivono una fase particolarmente sofferta, si moltiplicano le tensioni interne all’edificio istituzionale, ma questo, di per sé, non giustifica che anche l’organo di giustizia costituzionale concorra, sia pure in forme meditate e per fini in astratto condivisibili, ad allentare i vincoli normativi all’esercizio del potere.

***

Conferma della rilevanza della questione relativa al ruolo che la Corte costituzionale esercita in questa fase, forse più ancora che nel passato recente, si ricava anche dai temi affrontati negli speciali che pubblichiamo in questo stesso numero. Proprio la citata questione del deciso cambiamento di passo segnato dalla giurisprudenza costituzionale in materia elettorale è emersa nel seminario camerte del marzo scorso sul tema delle riforme costituzionali (ne discute Conti nel suo intervento).
Un altro aspetto, non nuovo ma non per questo meno rilevante, riguarda le difficoltà che incontra la giurisprudenza costituzionale nel fronteggiare le sempre più vaste deviazioni nel ricorso alle fonti governative. Il punto è affrontato da alcuni degli interventi al seminario fiorentino dell’aprile scorso sui poteri normativi del Governo, sia con riferimento alla decretazione d’urgenza, sia alla delega legislativa.
Un fronte, per ora solo potenziale, di rafforzamento (o, per lo meno, di ridefinizione) del ruolo della Corte è costituito dalla riforma costituzionale, attualmente in discussione, relativa alla iniziativa legislativa popolare. Nel seminario di Firenze sul rapporto fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa del maggio scorso sono state messe in evidenza le criticità della nuova funzione che si vorrebbe attribuire alla Corte, ovvero un controllo astratto e a priori sulla conformità dell’iniziativa popolare alla Costituzione (v. in particolare gli interventi di Caretti e De Siervo; coglie un aspetto diverso, ma ugualmente rilevante, l’intervento di D’Amico sulla giurisprudenza costituzionale che ha contribuito ad atrofizzare lo strumento referendario), mentre nel seminario camerte è stato sottolineato il rischio di un’accentuazione del profilo politico della Corte (De Santis). Sempre nel seminario di Camerino, infine, in relazione all’ipotizzata riforma dell’art. 66 della Costituzione, che introdurrebbe l’appello alla Corte costituzione avverso le decisioni delle Camere in materia di elezioni e cause di ineleggibilità e incompatibilità, si è paventato il rischio che questa innovazione comporti una possibile, ulteriore, mortificazione del ruolo parlamentare (Ciaurro).