Editoriale 3/2010

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foto betta osservatorio 2Nell’ultimo Convegno dell’Associazione costituzionalisti che si è svolto a Parma, Michela Manetti ha messo in luce le difficoltà del Parlamento nello svolgimento della sua funzione legislativa, ma anche le strade che lo stesso Parlamento ha cercato di percorrere per rendere più efficiente e qualitativamente migliore il suo lavoro, attraverso i procedimenti per la qualità della normazione e le attività del Comitato per la legislazione. Percorsi questi che non hanno dato buoni frutti a causa della tendenza del governo di non accettare modifiche ed interferenze nella propria legislazione e “mantenere indenne il testo delle sue proposte dalle intrusioni della stessa maggioranza”.

Il rischio che la perdita del ruolo del Parlamento possa incidere sulla stessa forma di governo, come è stato ipotizzato in dottrina, non esclude tuttavia che in via interpretativa ed in via normativa non vi siano strumenti per accentuare la partecipazione del Parlamento alle scelte politiche e normative sia a livello interno che comunitario.

Il filo rosso che unisce i saggi pubblicati in questo fascicolo è rappresentato proprio dal tentativo di individuare strade e strumenti diversi per consentire al Parlamento di svolgere quantomeno una funzione di controllo sull’attività normativa esercitata da altri organi, di avere adeguate informazioni, di poter intervenire sulle scelte politiche e normative che esercitano gli organi dell’Unione Europea, i governi degli Stati membri ed anche il governo italiano.

La recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona può costituire infatti una strada per l’incentivazione di questo ruolo e, in quest’ottica, il saggio di Paolo Caretti ricostruisce l’evoluzione del ruolo dei Parlamenti nazionali ed in particolare di quello italiano nella formazione delle norme comunitarie, mettendo prima in evidenza i ritardi dell’esperienza italiana fino agli anni ’80, poi l’evoluzione che si è avuta con l’introduzione della legge comunitaria annuale (l. n. 183/1987, ora ulteriormente innovata con la l. n. 96/2010) ed infine le prospettive che sembra si possano aprire con il contenuto del Trattato di Lisbona ed in particolare con due protocolli annessi (Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali nell’Unione europea e Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità”). Le nuove norme del Trattato, pur essendo assai “eterogenee”, come dice Caretti, possono attribuire ai Parlamenti nazionali un’importante funzione collaborativa con le scelte di indirizzo del Consiglio in alcuni ambiti (nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, attraverso il controllo sull’attività di EUROPOL e di EUROJUST, nelle procedure di revisione dei trattati, nella valutazione delle domande di adesione all’UE). Tale prospettiva dipenderà, tuttavia, dalle modalità di attuazione che si realizzeranno nei vari Stati.

Su questo profilo si inserisce il contributo di Cristina Fasone che si pone il dubbio di quale sia la fonte più adeguata a recepire tali novità nel nostro ordinamento, se sia necessario un intervento costituzionale, come avviene in altri stati (che non pare percorribile in Italia, vista l’interpretazione di piena copertura costituzionale che è stata data dell’art. 11 Cost dalla stessa Corte costituzionale fin dal 1973), o se invece le modifiche legislative e regolamentari, che sembrano le uniche possibili, possano indirizzare il nuovo ruolo del Parlamento nelle scelte comunitarie. Le novità fino ad ora introdotte sono assai scarse, tanto che le stesse Camere, che potrebbero incrementare il loro ruolo attraverso modifiche dei propri regolamenti, si sono limitate ad introdurre procedure sperimentali che non garantiscono un’effettiva e stabile partecipazione del Parlamento al processo di integrazione europea. Qualche prospettiva innovativa potrebbe emergere dalle proposte di modifica della legge “quadro”, al fine di garantire una corretta informazione del Parlamento e rapporti di coordinamento con il Governo.

Il problema dei rapporti Parlamento/Governo emergono, sotto un’altra prospettiva, nel contributo di Stefania Spada che, nell’esaminare le decisioni del Comitato per la legislazione, concentra la propria attenzione sui problemi emersi in fase di conversione dei decreti legge e nella partecipazione del Parlamento nella fase di stesura dei decreti legislativi, riportando, in un lavoro molto scrupoloso, gli indirizzi che emergono dalle decisioni del Comitato stesso, auspicando che i “precedenti” possano in un futuro costituire soluzioni facilmente recepibili dal governo nella fase di formulazione degli atti.

Con una certa forzatura si inserisce in questo filo rosso della crisi del ruolo del Parlamento anche il saggio di Francesca Biondi che, ricostruendo un mutamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite penali della Cassazione, constata che la Cassazione ritiene di poter qualificare il proprio precedente giurisprudenziale “quale fonte del diritto avente lo stesso valore della legge”. Un’affermazione così forte in un ordinamento di civil law come il nostro, trova giustificazione secondo la Corte di Cassazione nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella giurisprudenza di quella Corte europea, giungendo così alla conclusione che per i giudici comuni oltre al vincolo di una interpretazione costituzionalmente conforme, si introduce anche quello dell’interpretazione “convenzionalmente conforme”.

Diverso argomento è invece affrontato nel saggio di Salvatore Aloisio che, nell’analizzare i primi regolamenti interni di organizzazione degli organi di garanzia statutaria, affronta in generale il problema delle scelte statutarie in ordine alle fonti di regolamentazione di detti organi e cerca di individuare la natura giuridica di questi atti ed il problema dei rapporti che sorgono fra i vari soggetti regionali interessati. Non omogenee sono le scelte delle varie regioni e quindi diverso è il valore (solo interno all’organo o anche esterno) che può essere riconosciuto a tali atti.

Ancora una volta quindi il sistema delle fonti appare “sdrucciolevole” e l’individuazione dell’atto idoneo a disciplinare una materia o un settore risulta di difficile predeterminazione. Ciò risulta, come abbiamo visto da ultimo, a livello regionale, così come a livello statale, a tal punto da consentire alla Corte di Cassazione l’auto-attribuzione di un potere normativo. Problemi non minori sono tuttavia presenti a livello comunitario, dove il nuovo sistema delle fonti ed in particolare le nuove procedure normative introdotte con Lisbona stanno creando non pochi problemi di coesistenza  fra la vecchia e la nuova normativa e di conoscibilità dell’esatto valore di un atto.

In definitiva i saggi pubblicati in questo fascicolo confermano quanto da tempo viene messo in evidenza in questo Osservatorio, ossia che vi è una crisi del modello classico del sistema delle fonti, ma ciò non esclude che il Parlamento debba trovare la strada non solo per riacquistare quel ruolo centrale nel sistema delle fonti che ha avuto in precedenza, ma anche per svolgere in modo forse nuovo una funzione centrale di indirizzo nei confronti del governo, delle regioni e degli organi comunitari.