Archivio rubriche 2010

UE - Corte costituzionale, sentenza n. 227/2010 (mandato di arresto europeo) - (3/2010)

Con la sentenza n. 227 del 21 giugno 2010, la Corte costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), nella parte in cui prevede il rifiuto obbligatorio di consegna del cittadino italiano, ma non anche del cittadino di un altro Stato membro dell’Unione europea che legittimamente ed effettivamente risieda o dimori nel territorio italiano.

La sentenza ha costituito anche un’occasione per confermare l’orientamento della Corte costituzionale sull’assetto dei rapporti tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione europea, ribadendo, in particolare, la diversa copertura costituzionale assicurata al diritto dell’Unione europea (che deriva direttamente nell’art. 11 della Costituzione) e alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (che è invece individuata nell’art. 117, comma primo, della Costituzione, nella formulazione novellata dalla riforma del Titolo V).

Il giudice a quo dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69, con riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione. La disposizione controversa dà attuazion, all’interno dell’ordinamento italiano, l’art. 4, punto sesto, della decisione quadro sul mandato europeo, in base al quale lo Stato di esecuzione può rifiutare la consegna ‘se il mandato d’arresto europeo è stato rilasciato ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda’, condizione che il medesimo Stato ‘si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno’ [corsivi aggiunti]. In altre parole, la disposizione citata individua un’ipotesi di rifiuto di esecuzione del mandato ‘facoltativa’, nel senso che gli Stati membri sono liberi di decidere se prevedere o meno tale ipotesi nella legislazione nazionale di attuazione della decisione sul MAE. La normativa nazionale oggetto del sindacato di legittimità costituzionale ha previsto tale ipotesi di rifiuto, ma solo con riferimento alla situazione in cui la persona richiesta sia un cittadino italiano. Ad avviso del giudice a quo, l’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69, risulterebbe dunque in contrasto con:

-       l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma dell’Unione europea che integra il parametro costituzionale - l’art. 4, punto 6, della decisione quadro - attribuisce al legislatore nazionale la facoltà di prevedere che l’autorità giudiziaria rifiuti la consegna del condannato ai fini dell’esecuzione della pena detentiva nello Stato emittente quando si tratti di un cittadino dello Stato dell’esecuzione, ovvero ivi risieda o vi abbia dimora, ma non consentirebbe di limitare il rifiuto al solo cittadino, come viceversa ha disposto la norma censurata della legge italiana di attuazione della decisione quadro;

-       il principio di non discriminazione in base alla nazionalità (art. 18 TFUE, già art. 12 del Trattato CE), avendo escluso in modo assoluto al cittadino di altro Stato membro dell’Unione la possibilità della detenzione in Italia, che ha invece consentito al cittadino italiano;

-       l’art. 27, terzo comma, Cost., poiché la possibilità di espiare la pena nello Stato del quale il destinatario del mandato di arresto europeo è cittadino o nel quale risiede o dimora è diretta a garantire la «risocializzazione del condannato», mediante la conservazione dei suoi legami familiari e sociali, allo scopo di facilitarne il corretto reinserimento al termine dell’esecuzione della pena;

-       l’art. 3 Cost., poiché sarebbe priva di ragionevole giustificazione la diversità di disciplina  stabilita dalla stessa legge per l’ipotesi di MAE finalizzato allo svolgimento del processo penale, che pone sullo stesso piano il cittadino ed il residente nel subordinare la consegna al soddisfacimento di determinate condizioni.

Come anticipato, la Corte costituzionale ha colto l’occasione per chiarire che il ‘sicuro fondamento’ della copertura costituzionale del diritto dell’Unione è direttamente l’art. 11 della Costituzione. La chiarezza del passaggio (paragrafo 7 della parte in diritto) della sentenza ne rende inadeguata una sintesi, e viene perciò qui di seguito riportato per intero:

‘I giudici rimettenti hanno evocato il parametro dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, facendo applicazione, peraltro, dei principi della giurisprudenza costituzionale in ordine al complessivo rapporto tra l’ordinamento giuridico italiano e il diritto dell’Unione europea affermati e ribaditi in forza dell’art. 11 Cost. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale va «scrutinata avendo riguardo anche ai parametri costituzionali non formalmente evocati […], qualora tale atto faccia ad essi chiaro riferimento, sia pure implicito […], mediante il richiamo dei principi da questi enunciati» (ex multis sentenze n. 170 del 2008, n. 26 del 2003, n. 69 del 1999, n. 99 del 1997).

Questa Corte, fin dalle prime occasioni nelle quali è stata chiamata a definire il rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario, ne ha individuato il “sicuro fondamento” nell’art. 11 Cost. (in particolare, sentenze n. 232 del 1975 e n. 183 del 1973; ma già in precedenza, le sentenze n. 98 del 1965 e n. 14 del 1964). È in forza di tale parametro, collocato non senza significato e conseguenze tra i principi fondamentali della Carta, che si è demandato alle Comunità europee, oggi Unione europea, di esercitare in luogo degli Stati membri competenze normative in determinate materie, nei limiti del principio di attribuzione. È sempre in forza dell’art. 11 Cost. che questa Corte ha riconosciuto il potere-dovere del giudice comune, e prima ancora dell’amministrazione, di dare immediata applicazione alle norme comunitarie provviste di effetto diretto in luogo di norme nazionali che siano con esse in contrasto insanabile in via interpretativa; ovvero di sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione di quel parametro costituzionale quando il contrasto fosse con norme comunitarie prive di effetto diretto (sentenze n. 284 del 2007 e n. 170 del 1984). È, infine, in forza delle limitazioni di sovranità consentite dall’art. 11 Cost. che questa Corte ha riconosciuto la portata e le diverse implicazioni della prevalenza del diritto comunitario anche rispetto a norme costituzionali (sentenza n. 126 del 1996), individuandone il solo limite nel contrasto con i principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona (sentenza n. 170 del 1984).

Quanto all’art. 117, primo comma, Cost., nella formulazione novellata dalla riforma del titolo quinto, seconda parte della Costituzione, questa Corte ne ha precisato la portata, affermando che tale disposizione ha colmato la lacuna della mancata copertura costituzionale per le norme internazionali convenzionali, ivi compresa la Convenzione di Roma dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), escluse dalla previsione dell’art. 10, primo comma, Cost. (sentenze n. 348 e 349 del 2007). L’art. 117, primo comma, Cost. ha dunque confermato espressamente, in parte, ciò che era stato già collegato all’art. 11 Cost., e cioè l’obbligo del legislatore, statale e regionale, di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Il limite all’esercizio della funzione legislativa imposto dall’art. 117, primo comma, Cost., è tuttavia solo uno degli elementi rilevanti del rapporto tra diritto interno e diritto dell’Unione europea, rapporto che, complessivamente considerato e come disegnato da questa Corte nel corso degli ultimi decenni, trova ancora “sicuro fondamento” nell’art. 11 Cost. Restano, infatti, ben fermi, anche successivamente alla riforma, oltre al vincolo in capo al legislatore e alla relativa responsabilità internazionale dello Stato, tutte le conseguenze che derivano dalle limitazioni di sovranità che solo l’art. 11 Cost. consente, sul piano sostanziale e sul piano processuale, per l’amministrazione e i giudici. In particolare, quanto ad eventuali contrasti con la Costituzione, resta ferma la garanzia che, diversamente dalle norme internazionali convenzionali (compresa la CEDU: sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), l’esercizio dei poteri normativi delegati all’Unione europea trova un limite esclusivamente nei principi fondamentali dell’assetto costituzionale e nella maggior tutela dei diritti inalienabili della persona (sentenze n. 102 del 2008, n. 284 del 2007, n.169 del 2006).

[..] L’ipotesi di illegittimità della norma nazionale per non corretta attuazione della decisione quadro è riconducibile, pertanto, ai casi nei quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non sussiste il potere del giudice comune di «non applicare» la prima, bensì il potere–dovere di sollevare questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., integrati dalla norma conferente dell’Unione, laddove, come nella specie, sia impossibile escludere il detto contrasto con gli ordinari strumenti ermeneutici consentiti dall’ordinamento’.

Nell’accingersi ad esaminare il merito della questione, la Corte ha espressamente affermato la necessità di tenere in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia in ordine all’interpretazione della decisione quadro, poiché ‘le sentenze della Corte di giustizia vincolano il giudice nazionale all’interpretazione da essa fornita, sia in sede di rinvio pregiudiziale, che in sede di procedura d’infrazione’ (paragrafo 8). Richiamandosi ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nelle sentenze Wolzenburg (Sent. 6 ottobre 2009, C-123/08, in Raccolta 2009, p. I-9621.) e Kozlowski (Sent. 17 luglio 2008, C-66/08, in Raccolta 2008, p. I-6041), la Corte costituzionale è giunta alla conclusione della illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera r), della legge 22 aprile 2005, n. 69. Essa ha ritenuto che in base all’art. 4, punto 6, della decisione quadro gli Stati membri hanno la facoltà di rendere operativo nel proprio ordinamento l’ipotesi di rifiuto di consegna di cui all’art. 4, punto 6, della decisione. Tale ipotesi, infatti, non rientra tra quelle di rifiuto obbligatorio, previste invece dall’art. 3. Tuttavia, una volta operata la scelta di prevedere tale ipotesi di rifiuto andava rispettato il divieto di discriminazione in base alla nazionalità sancito dall’art. 18 del TFUE: l’art. 4, punto 6, della decisione fa infatti riferimento non solo al cittadino, ma anche alla persona che dimora o risiede nello Stato richiesto di consegnare. La Corte ha invero sottolineato che il divieto di discriminazione in base alla nazionalità non preclude tout court la possibilità di differenziare il trattamento del cittadino nazionale rispetto a quello del cittadino di un altro Stato membro. Tuttavia, una tale differenza di trattamento sarà compatibile con il diritto dell’Unione solo in presenza di una giustificazione legittima e ragionevole, nonché proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. La diversità di trattamento introdotta dalla normativa italiana consiste nel prevedere, da un lato, l’obbligo di rifiutare la consegna del cittadino italiano – la cui pena verrà, quindi, eseguita in Italia –, escludendo, dall’altro, che lo stesso trattamento possa essere accordato al cittadino di un altro Stato membro che abbia legittimamente ed effettivamente residenza o dimora nel territorio italiano. Ad avviso della Corte, ‘ciò si traduce in una discriminazione soggettiva, del cittadino di altro Paese dell’Unione in quanto straniero, che, in difetto di una ragionevole giustificazione, non è proporzionata’. La Corte ha infine precisato che le nozioni rilevanti di ‘residenza’ e ‘dimora’ utilizzate dalla decisione quadro e dalla legge italiana di recepimento sono nozioni comunitarie, e pertanto ‘richiedono una interpretazione autonoma ed uniforme, a ragione della esigenza e della finalità di applicazione uniforme che è alla base della decisione quadro’. A tal proposito, la Corte ha richiamato la sentenza Kozlowsky, in cui la Corte di giustizia ha identificato la nozione di “residenza” con una residenza effettiva nello Stato dell’esecuzione, e la nozione di “dimora” con un soggiorno stabile di una certa durata in quello Stato, che consenta di acquisire con tale Stato legami d’intensità pari «a quelli che si instaurano in caso di residenza» (punto 46 della sentenza della Corte di giustizia). In particolare, il giudice nazionale deve procedere ad una valutazione complessiva degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione del ricercato, come la durata, la natura e le modalità del suo soggiorno, nonché i legami familiari ed economici che ha stabilito nello Stato dell’esecuzione (punti 48 e 54). Nell’ipotesi che lo straniero risieda o abbia dimora nello Stato dell’esecuzione, il giudice nazionale deve valutare anche l’esistenza di un interesse legittimo del condannato a che la pena sia scontata in quello Stato (punto 44). La Corte di giustizia ha, inoltre, precisato che circostanze quali una dimora non ininterrotta o il mancato rispetto delle norme in materia di ingresso e soggiorno nello Stato dell’esecuzione, pur non essendo di per sé decisive, possono essere valutate ai fini della decisione sulla consegna (punto 50).

 

Osservatorio sulle fonti

Rivista telematica registrata presso il Tribunale di Firenze (decreto n. 5626 del 24 dicembre 2007). ISSN 2038-5633.

L’Osservatorio sulle fonti è stato riconosciuto dall’ANVUR come rivista scientifica e collocato in Classe A.

Contatti

Per qualunque domanda o informazione, puoi utilizzare il nostro form di contatto, oppure scrivici a uno di questi indirizzi email:

Direzione scientifica: direzione@osservatoriosullefonti.it
Redazione: redazione@osservatoriosullefonti.it

Il nostro staff ti risponderà quanto prima.

© 2017 Osservatoriosullefonti.it. Registrazione presso il Tribunale di Firenze n. 5626 del 24 dicembre 2007 - ISSN 2038-5633