UE - Sentenza del 6 luglio 2010 della Corte costituzionale tedesca: il “Mangold Urteil” (3/2010)

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Con la sentenza del 6 luglio 2010, la Corte costituzionale tedesca ha messo in pratica il cd. Ultra-vires-Kontrolle, ovvero il controllo sugli atti dell’Unione (che si sospettino essere stati) adottati ultra vires. La competenza della Corte ad effettuare questo controllo, dalla stessa affermata per la prima volta nella sentenza sul Trattato di Maastricht (cd. Maastricht Urteil), era stata poi ribadita nella sentenza sul Trattato di Lisbona del 30 giugno 2009 (cd. Lissabon Urteil, sent. 2 BvE 2/2008). La richiesta all’origine della nuova pronuncia chiamava il supremo giudice tedesco a verificare se la sentenza della Corte di giustizia nel caso Mangold (causa C-144/04, 22 novembre 2005, in Raccolta, p. I-9981) fosse stata resa ultra vires.

Brevemente, i fatti del caso. La ricorrente – un’impresa impegnata nella produzione di ricambi per automobili – concludeva nel 2003 una serie di contratti a tempo determinato con soggetti precedentemente disoccupati di età superiore a 52 anni. L’età dei lavoratori era l’unica giustificazione per la conclusione di contratti a tempo determinato: in base alla disciplina nazionale vigente al tempo, infatti, la conclusione di contratti a tempo determinato era possibile solo in presenza di una giustificazione oggettiva; tuttavia, il § 14.3, quarto periodo, del Teilzeit und Befristungsgesetz (la legge tedesca sul lavoro part-time ed i contratti a tempo determinato) consentiva di concludere contratti a tempo determinato, sebbene in assenza di ogni giustificazione oggettiva, con lavoratori che avessero già compiuto il cinquantaduesimo anno di età al momento dell’instaurazione del rapporto di lavoro. Si tratta della stessa disposizione legislativa al centro della pronuncia resa dalla Corte di giustizia nel caso Mangold in cui la Corte aveva rilevato l’incompatibilità della normativa tedesca in questione con il principio generale dell’Unione europea che vieta la discriminazione sulla base dell’età. Uno dei lavoratori così assunti faceva valere l’inefficacia del contratto di lavoro a tempo determinato davanti al Tribunale federale del lavoro, dove la sua richiesta di continuazione del rapporto lavorativo trovava accoglimento. In particolare, il Tribunale federale decideva in tal senso proprio sulla base della sentenza Mangold, ritenendo che la chiarezza della stessa fosse tale da non rendere necessario un nuovo rinvio pregiudiziale e nonostante il contratto di lavoro in questione fosse stato concluso prima che la Corte di giustizia rendesse la propria decisione; a quest’ultimo proposito, il giudice tedesco faceva valere delle ragioni di tutela delle legittime aspettative derivanti dal diritto comunitario o nazionale. L’impresa soccombente si rivolgeva allora alla Corte costituzionale federale, lamentando la violazione sia della propria libertà contrattuale che del proprio diritto al giudice; ad avviso della stessa, il Tribunale federale avrebbe dovuto proporre una nuova questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. Il motivo relativo alla violazione della libertà contrattuale era basato sull’applicazione da parte del Tribunale del lavoro della sentenza Mangold, ritenuta dalla ricorrente una decisone emessa ultra vires; si lamentava, inoltre, la violazione delle legittime aspettative, per effetto della applicazione retroattiva della sentenza della Corte di giustizia.

La decisione della Corte costituzionale tedesca era particolarmente attesa, sia per le critiche suscitate – in Germania e non solo – dalla sentenza Mangold, sia alla luce del Lissabon Urteil e della recente sentenza della Corte di Giustizia nel caso Kücükdeveci (C-555/07, 19 gennaio 2010, in Raccolta, p. I-, si veda anche la recensione nel fascicolo 1/2010 dell’Osservatorio). La sentenza Mangold aveva ricevuto aspre critiche, a motivo della applicazione orizzontale del principio generale di non discriminazione in base all’età: la causa principale vedeva infatti contrapposti, come nel caso di specie, un datore di lavoro privato ed un suo dipendente. Inoltre, la stessa affermazione della esistenza di un tale principio da parte della Corte era stata da molti considerata arbitraria, ed in definitiva la soluzione della Corte era stata letta come un sostanziale superamento della giurisprudenza comunitaria in materia di inidoneità delle direttive a produrre effetti diretti orizzontali. La stessa Corte di giustizia, nei successivi casi in materia di discriminazione in base all’età, aveva ‘evitato’ di richiamare il proprio precedente in Mangold. Questo fino alla sentenza Kücükdeveci, in cui l’esistenza di un principio generale di non discriminazione in base all’età e la sua idoneità ad esplicare effetti diretti orizzontali, sono state apertamente ribadite. Le affermazione della Corte costituzionale tedesca nel cd. Lissabon Urteil costituivano, comunque, il principale motivo dell’attesa per la nuova pronuncia. In quella occasione, infatti, la Corte costituzionale ha affermato la propria competenza ad effettuare tre tipi di controllo sugli atti dell’Unione europea: il controllo sul rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Corte costituzionale (per così dire ‘sospeso’ finché a livello dell’Unione sia garantita una tutela equivalente), il controllo sul rispetto del nucleo intangibile della Costituzione (il cd. Identitätskontrolle, enunciato per la prima volta in quella occasione) e, appunto, il controllo sugli atti (che si presumano) ultra vires.

Nella nuova sentenza, la Corte costituzionale non solo ha messo in pratica il controllo sugli atti ultra vires, ma ha anche fornito delle precisazioni sulle modalità – sia sostanziali, che procedimentali – del controllo stesso. Dapprima (para. 55-59), la Corte ha ribadito che la possibilità di effettuare il controllo ultra vires si fonda sul principio delle competenze di attribuzione: l’Unione è una Comunità di diritto (Rechtsgemeinshaft) le cui competenze sono quelle attribuite dai Trattati, dei quali ‘signori’ sono gli Stati membri (Herren der Verträge); l’estensione di tali competenze può derivare solo dalla revisione dei Trattati da parte degli Stati membri. La Corte riconosce che, laddove ogni Stato membro si arrogasse il diritto di decidere in ordine alla validità degli atti dell’Unione, il primato del diritto dell’Unione e la sua uniforme applicazione verrebbero meno; tuttavia, ribadisce che la rinuncia degli Stati membri a presidiare il rispetto, da parte dell’Unione, delle proprie competenze, avrebbe l’effetto di affidare ai soli organi ed istituzioni dell’Unione il controllo sul rispetto della ‘base contrattuale’ (die vertragliche Grundlage) dell’Unione, anche nel caso in cui una loro interpretazione abbia l’effetto sostanziale di modificare i Trattati o stendere le competenze da questi attribuite all’Unione. Tuttavia, la Corte tedesca, ribadendo la propria fedeltà al principio del primato del diritto dell’Unione (der Anwendungsvorrang des Unionsrechts), ha precisato che l’Ultra-vires-kontrolle deve essere effettuato in modo ‘deferente’ (zurückhaltend) e secondo un criterio di favor per il diritto dell’Unione europea (letteralmente, il controllo deve essere  ‘europarechtsfreundlich’, para. 59).

L’aspetto più rilevante – e originale – della sentenza è comunque quello relativo alle precisazioni sulle modalità concrete del controllo. La Corte costituzionale ha infatti affermato che, nell’effettuare il controllo, il giudice supremo tedesco deve considerare vincolanti le decisioni della Corte di giustizia; pertanto, esso non potrà procedere al controllo ultra-vires su un atto dell’Unione fintantoché la Corte di giustizia non abbia avuto la possibilità di pronunciarsi sull’atto in questione (para. 60; si noti, però, che il giudice tedesco non arriva ad affermare di essere tenuto esso stesso ad effettuare il rinvio pregiudiziale). Sotto il profilo sostanziale, la Corte tedesca ha precisato che il controllo ultra-vires può essere esercitato solo laddove sia ‘evidente’ (ersichtlich) che l’atto eccede le competenze attribuite agli organi ed istituzioni dell’Unione: la ‘evidenza’ è integrata quando le istituzioni o organi dell’Unione hanno agito in un modo specificamente lesivo ( ‘in einer [..] spezifisch verletzenden Art’) del principio di attribuzione, ovvero quando la lesione di quest’ultimo è ‘sufficientemente qualificata’ (hinreichend qualifiziert; si veda para. 61). In altre parole, l’atto dell’Unione è ultra vires quando ha come effetto pratico quello di determinare una significativa modifica quanto alla ripartizione delle competenze tra Unione e Stati membri. Nella propria opinione dissenziente, il giudice Landau ha sostenuto che l’aggiunta del requisito della violazione sufficientemente qualificata comporta una violazione del Lissabon Urteil: in base a questo, ogni esercizio di potere sovrano deve avere una legittimazione democratica, e ciò non si verifica in presenza di una qualsiasi violazione, da parte delle istituzioni e degli organi dell’Unione, delle proprie competenze, indipendentemente dal grado di «qualificazione» della stessa.

Nel caso di specie, la Corte costituzionale (con una maggioranza di 6 giudici sulle motivazioni e 7 sul dispositivo) ha ritenuto che la sentenza Mangold non integra alcuna violazione sufficientemente qualificata del principio delle competenze di attribuzione. Si può notare che la Corte costituzionale lascia un margine di incertezza sulla portata della sentenza Mangold, dandone in sostanza tre possibili letture. La Corte afferma, infatti, che né l’estensione dell’ambito di applicazione della Direttiva 2000/78/CE a casi finalizzati al riassorbimento dei disoccupati di lungo periodo, né l’anticipazione degli effetti della stessa direttiva – il cui termine di recepimento, all’epoca del caso Mangold, non era ancora scaduto in Germania –, né, infine, l’affermazione di un principio generale di non discriminazione in base all’età configurano alcuna modificazione strutturale delle competenze a danno degli Stati membri. In particolare, riguardo alla affermazione da parte della Corte di giustizia dell’esistenza di un principio generale di discriminazione in base all’età, la Corte tedesca ha affermato che uno sviluppo in via giurisprudenziale del diritto dell’Unione integra una violazione sufficientemente qualificata del principio delle competenze attribuite solo quando ha come effetto pratico quello di introdurre nuove competenze. Tale effetto non si è invece prodotto in conseguenza della sentenza Mangold, poiché un divieto di discriminazione in base all’età nei rapporti di lavoro era stato già introdotto dalla Direttiva 2000/78/CE, con la conseguenza che la Corte di giustizia godeva di un certo margine di manovra in via interpretativa.