Incostituzionalità del c.d. “lodo Alfano”. Necessaria una legge costituzionale per introdurre o modificare prerogative di organi costituzionali (1/2010)

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Sentenza n. 262/2009 (giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale)

 Con tale decisione la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale, per violazione del combinato disposto degli artt. 3 e 138 Cost., dell’art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124, che prevede che i processi penali nei confronti del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione dalla carica e che la sospensione si applica anche ai processi per fatti antecedenti l’assunzione della carica medesima.
 

La decisione rileva sotto il profilo delle fonti del diritto in quanto la Corte afferma che le prerogative di organi costituzionali, in quanto derogatorie al principio di eguaglianza, devono essere stabilite con norma costituzionale, mentre il legislatore ordinario può solo intervenire per attuare, sul piano procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli preclusa ogni integrazione o estensione dello stesso. In particolare, tali prerogative possono assumere, in concreto, varie forme e denominazioni e possono riguardare sia gli atti propri della funzione sia gli atti ad essa estranei «ma in ogni caso presentano la duplice caratteristica di essere dirette a garantire l’esercizio della funzione di organi costituzionali e di derogare al regime giurisdizionale comune». Si tratta, infatti, di istituti che configurano particolari status protettivi dei componenti degli organi; per cui, a parere della Corte, la complessiva architettura istituzionale, ispirata ai princípi della divisione dei poteri e del loro equilibrio «esige che la disciplina delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che non è consentito al legislatore ordinario alterare né in peius né in melius», e tale conclusione «non deriva dal riconoscimento di una espressa riserva di legge costituzionale in materia, ma dal fatto che le suddette prerogative sono sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale» (§ 7.3.1. Cons. in dir.).

La ratio della norma impugnata è stata infatti ricondotta alla protezione della funzione pubblica, assicurando ai titolari di alcune alte cariche il sereno svolgimento delle funzioni attraverso l’attribuzione di uno specifico status protettivo, il quale, introducendo un’ipotesi di sospensione del processo penale, si risolve però in una deroga al principio di eguaglianza sotto almeno tre profili: in riferimento al regime processuale comune, sotto il profilo della disparità fra i Presidenti e i componenti degli organi costituzionali, sotto il profilo della parità di trattamento tra cariche tra loro disomogenee (§ 7.3.2. Cons. in dir.).

Al riguardo si segnala la precedente sentenza n. 24 del 2004, con la quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 1, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (e ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 3, della predetta legge n. 140 del 2003), che disponeva la sospensione, dall’entrata in vigore della legge stessa, dei processi penali in corso nei confronti delle cinque alte cariche dello Stato: Presidente della Repubblica, Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati, Presidente del Consiglio dei ministri, Presidente della Corte costituzionale, in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime.

Per l’identità di ratio tra quest’ultima disposizione e quella oggetto di impugnazione, la Corte costituzionale è stata chiamata anche a valutare la presunta violazione dell’art. 136 Cost. in relazione al giudicato costituzionale. A tal proposito la Corte, richiamando tra i suoi precedenti le sentenze n. 78 del 1992, n. 922 del 1988, ha ribadito che può ravvisarsi una violazione del giudicato costituzionale soltanto quanto una norma ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale. Nel caso di specie, la Corte ha invece ritenuto che il legislatore avesse introdotto una disposizione che non riproduceva un’altra disposizione dichiarata incostituzionale, né faceva a quest’ultima rinvio (§ 5 Cons. in dir.).

Preme inoltre evidenziare che nella sentenza 24/2004 la Corte non aveva esaminato la questione dell’idoneità della legge ordinaria ad introdurre la suddetta sospensione processuale. La stessa Corte nella decisione in esame ha avuto cura di precisare che la sentenza 24/2004 non contiene alcun sindacato implicito sull’argomento, consentendo pertanto al giudice rimettente la proposizione di una questione analoga (§ 7.2. Cons. in dir.).