UE - Panoramica sullo stadio raggiunto dalle procedure di infrazione aperte nei confronti dell'Italia (novembre 2010 - febbraio 2011) - (1/2011)

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A seguito della recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona si rende necessario procedere ad un aggiornamento della consueta informazione relativa al funzionamento della procedura di infrazione: oltre ai cambiamenti relativi alla numerazione delle disposizioni del Trattato rilevanti, si deve dare conto anche di una novità di ordine sostanziale.

 

La procedura d'infrazione è volta a rilevare eventuali inadempimenti da parte degli Stati di obblighi ad essi imposti dal diritto dell’Unione europea; essa è disciplinata dagli artt. 258 -260 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). I ricorsi possono essere proposti dalla Commissione (art. 258 TFUE) oppure da un altro Stato membro (art. 259 TFUE); tuttavia, ad oggi questa seconda ipotesi si è verificata in pochissimi casi. Nell’ipotesi più frequente, è la Commissione che dà avvio alla procedura, spesso sulla base di segnalazioni provenienti da persone fisiche o giuridiche; la Commissione non ha tuttavia un obbligo di dare seguito ad ogni segnalazione e, infatti, nella prassi essa procede solo nel caso di violazioni ritenute sostanziali. La prima fase – definita «precontenziosa» – della procedura si apre con l’invio allo Stato membro ritenuto inadempiente di una lettera detta di «intimazione» o di «addebito»; lo Stato interessato ha due mesi di tempo per presentare delle osservazioni (art. 258.1 TFUE). Valutate tali osservazioni ovvero decorso vanamente il termine per la loro presentazione, la Commissione può inviare un parere motivato allo Stato in questione, indicando le misure che lo stesso dovrebbe adottare per porre fine all’inadempimento e assegnando un termine entro il quale provvedere (art. 258.1 TFUE). Ove il parere sia emesso, se lo Stato non si conforma ad esso nel termine fissato dalla Commissione, quest’ultima può deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, avviando in tal modo la fase contenziosa della procedura (art. 258.2 TFUE). Se la Corte di Giustizia riconosce che lo Stato membro in questione ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta (art. 260.1 TFUE).

Qualora, a seguito della sentenza, la Commissione constati che lo Stato membro in questione non abbia preso detti provvedimenti, la stessa, dopo aver dato a tale Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, può formulare un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza (art. 260.2 TFUE). Il Trattato di Lisbona ha tuttavia previsto la possibilità per la Commissione di adire in tal caso direttamente la Corte di giustizia dopo aver messo lo Stato membro nelle condizioni di presentare le proprie osservazioni, senza necessità di emettere previamente il parere motivato (260.2 TFUE). In questa azione la Commissione precisa l'importo della somma forfetaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze. Un’ulteriore novità prevista dal Trattato di Lisbona consiste nella possibilità di comminare la sanzione pecuniaria già nel caso del ricorso per inadempimento qualora tale inadempimento consista nell’omessa comunicazione, da parte di uno Stato membro, delle «misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa» (art. 260.3 TFUE).

I provvedimenti della Commissione sono di seguito ordinati in base alla seduta di adozione e suddivisi per tipo. Si segnala, in riferimento alla seduta del 03.06.2010, la messa in mora supplementare (ex art. 260 TFUE) nel procedimento 2005/2114, in materia di parità di trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego. Con sentenza del 13 novembre 2008, C-46/07 (in questa Rubrica, n. 1/2009, scheda n. 26), la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, mantenendo in vigore una normativa in base alla quale i dipendenti pubblici maturano il diritto alla percezione della pensione di vecchiaia ad età diverse in base al sesso, è venuta meno all’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego di cui all’art. 141 TCE, ora art. 157 TFUE. L’avvio della seconda procedura di infrazione fa seguito al mancato adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti da tale sentenza.

Di seguito, si riporta una sintetica panoramica delle procedure d’infrazione pendenti nei confronti dell’Italia, suddivise per stadio e per oggetto, con aggiornamento alla seduta del 03.06.2010. Chiude la sezione la pronuncia della Corte di giustizia nel procedimento C-297/08, unica sentenza resa in un procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia nel periodo considerato.

 

Seduta del 26.01.2011

 

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2011/0205 – Comunicazioni – Mancato recepimento della direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008, che modifica la direttiva 97/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari.

• 2011/0206 – Trasporti – Mancato recepimento della direttiva 2008/96/CE del 19 novembre 2008 sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali.

• 2011/0207 – Giustizia – Mancato recepimento della direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell'ambiente.

• 2011/0208 – Affari interni – Mancato recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

• 2011/0209 – Affari economici e finanziari – Mancato recepimento della direttiva 2009/14/CE, recante modifica della direttiva 94/19/CE, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi per quanto riguarda il livello di copertura e il termine di rimborso.

• 2011/0210 – Trasporti – Mancato recepimento della direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo.

• 2011/0211 – Trasporti – Mancato recepimento della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio del traffico navale e d'informazione e che abroga la direttiva 93/75/CEE del Consiglio.

• 2011/0212 – Energia – Mancato recepimento della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

• 2011/0213 – Trasporti – Mancato recepimento della direttiva 2009/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada.

• 2011/0214 – Affari economici e finanziari – Direttiva 2009/44/CE che modifica la dir. 98/26/CE,carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la dir. 2002/47/CE,contratti di garanzia finanziaria per i sistemi connessi e i crediti.

• 2011/0215 – Libera circolazione delle merci – Mancato recepimento della direttiva 2009/106/CE recante modifica della direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana.

• 2011/0216 – Ambiente – Mancato recepimento della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni.

• 2011/0217 – Energia – Mancato recepimento della direttiva 2009/125/CE relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia.

• 2011/0218 – Libera circolazione delle merci – Mancato recepimento della direttiva 2009/137/CE relativa agli strumenti di misura per quanto riguarda lo sfruttamento degli errori massimi tollerati di cui agli allegati specifici relativi agli strumenti da MI-001 a MI-005.

• 2011/0219 – Agricoltura – Mancato recepimento della direttiva 2009/145/CE che prevede talune deroghe per l’ammissione di ecotipi e varietà vegetali tradizionalmente coltivati in particolari località e regioni e minacciati dall’erosione genetica.

• 2011/0220 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/14/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l’iscrizione della sostanza attiva heptamaloxyloglucan.

• 2011/0221 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/15/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione della sostanza attiva fluopicolide.

• 2011/0222 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/27/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione della sostanza attiva triflumizolo.

• 2011/0223 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/28/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio con l'iscrizione della sostanza attiva metalaxi.

• 2011/0224 – Salute – Mancato recepimento della Direttiva 2010/39/UE che modifica l’allegato I della direttiva 91/414/CEE per quanto riguarda le disposizioni specifiche relative alle sostanze attive clofentezina, diflubenzurone, lenacil, ossadiazone, picloram e piriprossifen.

• 2011/0225 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/58/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda l’estensione dell’utilizzo della sostanza attiva iprodione.

• 2011/0226 – Fiscalità e dogane – Mancato recepimento della direttiva 2010/66/UE recante modifica della direttiva 2008/9/CE che stabilisce norme per il rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso, ma in un altro Stato membro

• 2011/0227 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/70/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda la data di scadenza dell’iscrizione della sostanza attiva carbendazim nell’allegato I.

• 2011/0228 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/81/UE che modifica la direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda l’estensione dell’utilizzo della sostanza attiva 2-Fenilfenol.

 
 

Seduta del 27.01.2011

 

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2010/2185 – Affari esteri – Mancata conformità alla legislazione europea degli Accordi bilaterali in materia di servizi aerei tra la Repubblica Italiana e la Federazione Russa.

 
 

Ricorso alla Corte di giustizia ex art. 258 TFUE

• 2006/2550 – Fiscalità e dogane – Regime speciale IVA per le operazioni effettuate dalle agenzie di viaggio a soggetti diversi dal viaggiatore.

 
 

Seduta del 24.11.2010

 

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2006/2378 – Energia – Non corretta trasposizione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico nell'edilizia.

• 2010/0526 – Salute – Mancato recepimento della direttiva 2010/34/UE che modifica l’allegato I della direttiva 91/414/CEE del Consiglio per quanto riguarda l’estensione dell’utilizzo della sostanza attiva penconazolo.

 

Pareri motivati supplementari ex art. 258 TFUE

• 2008/2097 – Trasporti – Non corretta attuazione delle direttive del primo pacchetto ferroviario (direttive 2001/14/CE, 91/440/CEE e 95/18 CE.

 
 

Messe in mora ex art. 260 TFUE

• 2000/5152 – Ambiente – Trattamento delle acque reflue urbane - Agglomerato Comuni della provincia di Varese - bacino fiume Olona – Violazione del diritto UE (direttiva 1991/271/CEE).

 
 

Ricorso alla Corte ex art. 258 TFUE

• 2004/2034 – Ambiente – Non corretta trasposizione degli articoli 3 e 4 della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.

• 2008/2194 – Ambiente – Qualità dell'aria:valori limite PM10 – Violazione del diritto UE (direttive 1996/62/CE, 1999/30/CE e 2008/50/CE).

 
 

Seduta del 28.10.2010

 

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2007/4764 – Libera circolazione delle merci – Normativa interna che ostacola l’importazione di ricevitori radio in Italia – Violazione del diritto UE (Art. 34 TFUE, già art. 28 TCE)

• 2010/0366 – Ambiente – Mancato recepimento delle modifiche apportate alle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE e 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al Regolamento 1272/2008 relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele.

 

 

Ricorso alla Corte ex art. 260 TFUE

• 2006/2456 – Concorrenza e aiuti di stato – Mancato recupero dell'aiuto di Stato relativo alle esenzioni fiscali e prestiti agevolati concessi in favore di imprese e servizi pubblici a prevalente capitale pubblico – Violazione del diritto UE.

• 1999/4797 – Ambiente – Bonifica della discarica di Nerofumo a Rodano (MI)– Violazione del diritto UE (direttive 1975/442/CEE e 1991/156/CEE).

 

 

 

Sentenze della Corte di giustizia in procedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia, emesse nel periodo considerato

 

° Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Prima Sezione) del 22 dicembre 2010, Commissione europea contro Repubblica italiana, causa C- 304/09.

Oggetto: recupero di aiuti a favore di società recentemente quotate in borsa.

Con la decisione 2006/261, la Commissione ha dichiarato incompatibile con il mercato comune un regime di aiuti di Stato a cui l’Italia ha dato esecuzione sotto forma di agevolazioni tributarie a favore di società ammesse alla quotazione in una borsa valori regolamentata europea. Il regime in questione conferiva due tipi di vantaggi economici: da un lato, introduceva a favore delle società ammesse alla quotazione in una Borsa valori regolamentata un’aliquota ridotta del 20% relativa all’imposta sul reddito delle società, aumentando così per un triennio l’utile netto realizzato dalle medesime nell’ambito di qualsiasi attività economica; dall’altro, il regime aveva l’effetto di ridurre il reddito imponibile nell’esercizio fiscale nel quale aveva avuto luogo l’operazione di ammissione alla quotazione in borsa. Queste riduzioni si traducevano inoltre nell’applicazione di un’aliquota fiscale effettiva più bassa sui redditi del 2004. Con la stessa decisione, quindi, la Commissione prevedeva la soppressione del regime d’aiuti con effetto dall’esercizio fiscale in corso alla data della notifica del provvedimento, ed imponeva all’Italia di provvedere al recupero di tutti gli aiuti già posti illegittimamente a disposizione. L’Italia ha, da un lato, proposto ricorso di annullamento della decisione – senza chiederne la sospensione – dinanzi al Tribunale (che lo ha respinto; l’impugnazione è attualmente pendente davanti alla Corte); dall’altro, le autorità italiane hanno adottato un certo numero di provvedimenti per dare esecuzione alla decisione. In particolare, si è stabilito di procedere al recupero in via amministrativa. Una delle società interessate ha proposto ricorso contro l’atto di recupero dinanzi alla Commissione tributaria provinciale competente, che l’ha accolto; statuendo in appello contro la decisione di primo grado che annullava tale atto di ingiunzione, la Commissione tributaria regionale di Bologna ha ordinato la sospensione del procedimento, affermando in particolare che dinanzi al Tribunale era pendente il ricorso di annullamento della decisione 2006/261. La Commissione, tuttavia, ha ritenuto insufficienti le misure adottate dall’Italia: alla scadenza dei termini dalla stessa fissati, una parte considerevole degli aiuti illegittimamente concessi no era ancora stata recuperata. Per tali motivi, la Commissione proponeva ricorso alla Corte di giustizia.

La Corte ha ribadito la propria costante giurisprudenza secondo cui lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto ad adottare in modo tempestivo ogni misura idonea ad assicurare l’effettivo recupero delle somme dovute (par. 31 e 32). Il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione in un caso di aiuti di Stato è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di recupero. Questa condizione, tuttavia, non è soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limita a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalità di esecuzione della decisione che avrebbero consentito di superare le difficoltà (par. 36). Nel caso di specie, l’Italia si era limitata a comunicare alla Commissione alcune difficoltà giuridiche, politiche e pratiche nella attuazione della decisione di recupero, senza tuttavia lamentare di trovarsi in una situazione di impossibilità di procedere alla corretta esecuzione della decisione. Nonostante la Corte abbia riconosciuto la serietà dell’iniziativa intrapresa dal legislatore italiano, la stessa è stata comunque giudicata, in definitiva, non tempestiva e comunque inefficacie. Riguardo ai provvedimenti provvisori di sospensione La Corte di giustizia, dopo aver ribadito che i giudici nazionali sono tenuti a garantire la piena effettività della decisione di recupero della Commissione, ha ricordato la propria giurisprudenza in materia di presupposti per la concessione di tali provvedimenti (par. 45). Questi presupposti si applicano anche ad un’azione intesa ad ottenere la sospensione del procedimento in appello, nell’ambito della quale viene contestato l’annullamento in primo grado dell’atto nazionale mirante a recuperare l’aiuto illegittimo (par. 47). La Corte di giustizia ha, dunque, ritenuto che nel caso di specie i provvedimenti di sospensione sono stati adottati dai giudici italiani in manifesta inosservanza dei requisiti previsti dal diritto dell’Unione.

Per tutti questi motivi, la Corte ha ritenuto che, non avendo adottato entro i termini stabiliti tutti i provvedimenti necessari al fine di sopprimere il regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 2006/261/CE, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 2 e 3 di tale decisione.

 

° Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Prima Sezione) del 25 novembre 2010, Commissione europea contro Repubblica italiana, causa C- 47/09.

Oggetto: Ravvicinamento delle legislazioni - Prodotti di cacao e di cioccolato - Etichettatura - Aggiunta della parola "puro" o della dicitura "cioccolato puro" all’etichettatura di taluni prodotti.

L’art. 3 della direttiva 2000/36 ha realizzato un’armonizzazione completa delle denominazioni di vendita relative ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana, allo scopo di garantire l’unicità del mercato interno. Nel caso del cioccolato, la direttiva prevede tre denominazioni di vendita: ‘cioccolato’, ‘cioccolato al latte’ e ‘cioccolato di copertura’. A queste denominazioni possono essere aggiunte diciture o aggettivi relativi a qualità, ma solo in presenza dei requisiti stabiliti dalla direttiva. La direttiva prevede, inoltre, la possibilità di consentire l’aggiunta, all’interno dei prodotti di cioccolato, di alcuni grassi vegetali diversi dal burro, ma solo fino ad un massimo del 5%; in tal caso, l’etichettatura deve recare la menzione - ben visibile e chiaramente leggibile - “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”. Parallelamente, pur non essendo obbligatorio, l’etichettatura può indicare che non sono stati aggiunti grassi vegetali diversi dal burro di cacao, purché l’informazione sia corretta, imparziale, obiettiva e tale da non indurre in errore il consumatore.

Il carattere obbligatorio e tassativo delle denominazioni contenute dalla direttiva si evince dall’art. 4 della stessa, in base al quale gli Stati membri non devono adottare disposizioni nazionali non previste dalla direttiva. L’art. 28, primo comma, della legge 1° marzo 2002, n. 39, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001 (Supplemento ordinario alla GURI del 26 marzo 2002, n. 72) ha previsto l’utilizzo della denominazione ‘cioccolato puro’, in contrapposizione a ‘cioccolato’, per i prodotti che contengono esclusivamente burro di cacao. La Commissione ha ritenuto tale disposizione incompatibile con la direttiva, ed ha pertanto aperto una procedura di infrazione.

La Corte di giustizia ha ritenuto che, introducendo una denominazione non prevista dalla direttiva, l’art. 6 del decreto legislativo n. 178/2003 si pone in contrasto col sistema obbligatorio e tassativo delle denominazioni di vendita disciplinato dai suoi artt. 3 e 4. Per questi motivi, la Corte ha accolto il ricorso della Commissione.

 

° Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Quarta Sezione) del 11 novembre 2010, Commissione europea contro Repubblica italiana, causa C- 164/09.

Oggetto: Inadempimento di uno Stato - Conservazione degli uccelli selvatici - Direttiva 79/409/CEE - Deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici - Caccia.

L’art. 5 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, vieta in maniera generale di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri cui si applica il Trattato CE (ora, TFUE). Tuttavia, l’art. 7 aggiunge che ‘[i]n funzione del loro livello di popolazione, della distribuzione geografica e del tasso di riproduzione in tutta la Comunità, le specie elencate nell’allegato II alla direttiva possono essere oggetto di atti di caccia nel quadro della legislazione nazionale’. L’art. 9, che elenca una serie tassativa di motivi per i quali, ‘sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti’, gli Stati membri possono derogare al divieto. In tal caso, la deroga deve menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzati, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser fatte, l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone, i controlli che saranno effettuati.

La Commissione ha ritenuto che la normativa adottata dalla Regione Veneto per disciplinare il prelievo venatorio in deroga autorizzasse deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispettavano le condizioni di cui all’art. 9 della direttiva. In particolare, la Commissione ha ravvisato delle difformità con riferimento alle specie di volatili oggetto di deroga, il limite massimo abbattibile e la previa verifica della esistenza di diverse soluzioni. Ritenendo inadatte una serie di modifiche al testo della normativa italiana proposte dall’Italia, la Commissione ha aperto un procedimento di infrazione. La Corte di giustizia ha ricordato che il regime previsto dalla direttiva è un ‘regime eccezionale, che deve essere di stretta interpretazione e far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione, [pertanto] gli Stati membri sono tenuti a garantire che qualsiasi intervento riguardante le specie protette sia autorizzato solo in base a decisioni contenenti una motivazione precisa e adeguata riferentesi ai motivi, alle condizioni e alle prescrizioni di cui all’art. 9, nn. 1 e 2, della direttiva’. La Corte ha ritenuto fondate tutte le censure proposte dalla Commissione, ed ha pertanto ritenuto che, avendo la Regione Veneto adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite dalla direttiva 79/409/CEE, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 9 di tale direttiva.