UE - PANORAMICA SULLO STADIO RAGGIUNTO DALLE PROCEDURE DI INFRAZIONE APERTE NEI CONFRONTI DELL’ITALIA (2/2011)

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A seguito della recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona si rende necessario procedere ad un aggiornamento della consueta informazione relativa al funzionamento della procedura di infrazione: oltre ai cambiamenti relativi alla numerazione delle disposizioni del Trattato rilevanti, si deve dare conto anche di una novità di ordine sostanziale.

 
La procedura d'infrazione è volta a rilevare eventuali inadempimenti da parte degli Stati di obblighi ad essi imposti dal diritto dell’Unione europea; essa è disciplinata dagli artt. 258 -260 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE). I ricorsi possono essere proposti dalla Commissione (art. 258 TFUE) oppure da un altro Stato membro (art. 259 TFUE); tuttavia, ad oggi questa seconda ipotesi si è verificata in pochissimi casi. Nell’ipotesi più frequente, è la Commissione che dà avvio alla procedura, spesso sulla base di segnalazioni provenienti da persone fisiche o giuridiche; la Commissione non ha tuttavia un obbligo di dare seguito ad ogni segnalazione e, infatti, nella prassi essa procede solo nel caso di violazioni ritenute sostanziali. La prima fase – definita «precontenziosa» – della procedura si apre con l’invio allo Stato membro ritenuto inadempiente di una lettera detta di «intimazione» o di «addebito»;  lo Stato interessato ha due mesi di tempo per presentare delle osservazioni (art. 258.1 TFUE).  Valutate tali osservazioni ovvero decorso vanamente il termine per la loro presentazione, la Commissione può inviare un parere motivato allo Stato in questione, indicando le misure che lo stesso dovrebbe adottare per porre fine all’inadempimento e assegnando un termine entro il quale provvedere (art. 258.1 TFUE). Ove il parere sia emesso, se lo Stato non si conforma ad esso nel termine fissato dalla Commissione, quest’ultima può deferire il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, avviando in tal modo la fase contenziosa della procedura (art. 258.2 TFUE). Se la Corte di Giustizia riconosce che lo Stato membro in questione ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte di giustizia comporta (art. 260.1 TFUE).

Qualora, a seguito della sentenza, la Commissione constati che lo Stato membro in questione non abbia preso detti provvedimenti, la stessa, dopo aver dato a tale Stato la possibilità di presentare le sue osservazioni, può formulare un parere motivato che precisa i punti sui quali lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza (art. 260.2 TFUE). Il Trattato di Lisbona ha tuttavia previsto la possibilità per la Commissione di adire in tal caso direttamente la Corte di giustizia dopo aver messo lo Stato membro nelle condizioni di presentare le proprie osservazioni, senza necessità di emettere previamente il parere motivato (260.2 TFUE). In questa azione la Commissione precisa l'importo della somma forfetaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che consideri adeguato alle circostanze. Un’ulteriore novità prevista dal Trattato di Lisbona consiste nella possibilità di comminare la sanzione pecuniaria già nel caso del ricorso per inadempimento qualora tale inadempimento consista nell’omessa comunicazione, da parte di uno Stato membro, delle «misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa» (art. 260.3 TFUE).

I provvedimenti della Commissione sono di seguito ordinati in base alla seduta di adozione e suddivisi per tipo. Si segnala, in riferimento alla seduta del 03.06.2010, la messa in mora supplementare (ex art. 260 TFUE) nel procedimento 2005/2114, in materia di parità di trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego. Con sentenza del 13 novembre 2008, C-46/07 (in questa Rubrica, n. 1/2009, scheda n. 26), la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, mantenendo in vigore una normativa in base alla quale i dipendenti pubblici maturano il diritto alla percezione della pensione di vecchiaia ad età diverse in base al sesso, è venuta meno all’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra uomini e donne nel pubblico impiego di cui all’art. 141 TCE, ora art. 157 TFUE. L’avvio della seconda procedura di infrazione fa seguito al mancato adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti da tale sentenza.

Di  seguito, si riporta una sintetica panoramica delle procedure d’infrazione pendenti nei confronti dell’Italia, suddivise per stadio e per oggetto, con aggiornamento alla seduta del 19.05.2011. Chiudono la sezione le pronuncia della Corte di giustizia nei procedimento di infrazione nei confronti dell’Italia nel periodo considerato. Si segnala, in particolare, la sentenza resa nella causa C-565/08, con la quale la Corte di giustizia ha ritenuto che le disposizioni in materia di tariffe massime obbligatorie vigenti nell'ordinamento giuridico italiano in materia di prestazioni degli avvocati non costituiscono una restrizione ai sensi degli artt. 43 e 49 CE (ora, artt. 49 e 56 TFUE).

 

Seduta del 19.05.2011

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2009/2034 – Ambiente – Non corretta applicazione della Direttiva 1991/271/CE relativa al trattamento delle acque reflue urbane.

• 2011/0488 – Affari economici e finanziari – Mancata attuazione della direttiva 2010/76/UE che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda i requisiti patrimoniali per il portafoglio di negoziazione e le ricartolarizzazioni.

• 2008/4219 – Fiscalità e dogane – Non corretta applicazione della direttiva IVA 2006/112/CE per gli aeromobili e le navi.

 

Seduta del 06.04.2011

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2010/0812 – Trasporti – Mancato recepimento della direttiva 2009/113/CE che modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida.

 
 

Messe in mora ex art. 258 TFUE

•  2011/4030 – Libera circolazione delle merci –Commercializzazione dei sacchetti di plastica – Violazione del diritto UE.

•  2009/2001 – Affari interni – Compatibilità con le disposizioni della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo delle norme adottate dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dal Comune di Verona – Violazione del diritto UE (direttiva 2003/109/CE).

•  2010/4212 – Salute – Non corretta applicazione alla direttiva 2001/20/CE (direttiva sulla "sperimentazione clinica")per quanto riguarda il concetto del cosiddetto "parere unico".

 

Ricorsi alla Corte di giustizia ex art. 258 TFUE

• 2008/2097 – Trasporti – Non corretta attuazione delle direttive del primo pacchetto ferroviario (Direttive 2001/14/CE, 91/440/CEE e 95/18/CE).

• 2006/2441 – Lavoro e affari sociali – Non corretta trasposizione della direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

 

Pareri motivati supplementari ex art. 258 TFUE

• 2006/2057 – Energia – Non corretta trasposizione della direttiva 2003/54/CE sul mercato interno dell'elettricità.

• 2010/0366 – Libera circolazione delle merci – Modifica delle direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE e 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al Regolamento 1272/2008/CE relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele – Mancato recepimento.

 

Seduta del 14.03.2011

Pareri motivati ex art. 258 TFUE

• 2009/4426 – Ambiente – Valutazione d'impatto ambientale di progetti pubblici e privati. Progetto di bonifica di un sito industriale nel Comune di Cengio (Savona) – Violazione del diritto UE.

 

Messe in mora ex art. 258 TFUE

•  2010/2124 – Lavoro e affari sociali – Non corretto recepimento della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato con riferimento agli ausiliari tecnici amministrativi impiegati nella scuola pubblica.

•  2010/4148 – Libera circolazione delle merci – Patent linkage - autorizzazione all'immissione in commercio di prodotti medici – Violazione del diritto UE.

•  2011/2006 – Ambiente – Non corretto recepimento della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE.

•  2011/4009 – Ambiente – Non corretta applicazione della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Progetto "Variante SS. 1 Aurelia bis" (Liguria-Savona).

•  2011/2023 – Appalti – Discriminazione degli operatori svizzeri negli appalti pubblici in Italia – Violazione del diritto UE.

•  2011/4003 – Appalti – Affidamento del servizio di gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (Comuni di Reggio Emilia, Parma e Piacenza) – Violazione del diritto UE.

•  2011/2026 – Appalti – Normativa italiana in materia di concessioni idroelettriche – Violazione del diritto UE.

 
 

Sentenze della Corte di giustizia in procedimenti di infrazione nei confronti dell’Italia, emesse nel periodo considerato

 

1) Sentenza del 5 maggio 2011, C-305/09, Commissione c. Repubblica Italiana

Oggetto: Inadempimento di uno Stato – Aiuti di Stato – Incentivi fiscali diretti a favore di società partecipanti ad esposizioni all’estero – Recupero.

Con sentenza del 5 maggio 2011, nella causa C-305/09, la Corte di giustizia ha ritenuto che la Repubblica italiana, non avendo adottato entro i termini stabiliti i provvedimenti necessari per recuperare integralmente presso i beneficiari gli aiuti concessi in base al regime di aiuti dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune dalla decisione della Commissione 14 dicembre 2004, 2005/919/CE, relativa agli incentivi fiscali diretti a favore di società partecipanti ad esposizioni all’estero, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 2 di detta decisione.

Con decisione n. 2005/919, la Commissione ha dichiarato illegittimo ed incompatibile con il mercato comune il regime di aiuti previsto dal decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, recante “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici” (in Gazzetta Ufficiale, n. 229 del 2 ottobre 2003), consistente nella possibilità, per le imprese soggette all’imposta sul reddito d’impresa in Italia, in attività alla data del 2 ottobre 2003, di dedurre dal loro reddito imponibile l’importo delle spese direttamente sostenute per la partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero. La Commissione ha, pertanto, imposto all'Italia di procedere senza indugio al recupero presso i beneficiari dell'aiuto dichiarato illegittimo, fissando anche i termini entro i quali detto recupero doveva eseguirsi, nonché l'obbligo di notificare alla Commissione tutte le misure adottate per conformarsi alla decisione. Ritenendo non sufficienti le misure a tal fine adottate dall'Italia, la Commissione, esaurita senza esito la fase preconteziosa, ha proposto ricorso davanti alla Corte di giustizia.

La Corte di giustizia ha ribadito la propria giurisprudenza secondo cui «il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre al ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione sulla base dell’art. 88, n. 2, CE è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi» (para 32; cfr., in particolare, sentenze 20 settembre 2007, causa C‑177/06, Commissione/Spagna, in Raccolta, p. I‑7689, para 46; 13 novembre 2008, causa C‑214/07, Commissione/Francia, in Raccolta, p. I‑8357, para 44, nonché 22 dicembre 2010, causa C‑304/09, Commissione/Italia, non ancora pubblicata in Raccolta, para 35). La condizione dell’impossibilità assoluta di esecuzione non è soddisfatta quando lo Stato membro convenuto si limita a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presentava l’esecuzione della decisione, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso le imprese interessate al fine di recuperare l’aiuto e senza proporre alla Commissione altre modalità di esecuzione della decisione che avrebbero consentito di superare le difficoltà (para 33; cfr., in particolare, sentenze 14 dicembre 2006, cause riunite da C‑485/03 a C‑490/03, Commissione/Spagna, in Raccolta, p. I‑11887, para 74; 13 novembre 2008, Commissione/Francia, cit., par. 46, e Commissione/Italia, cit., punto 36). Lo  Al contrario, discende dal principio di leale cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni dell'Unione che Stato membro il quale, in occasione dell’esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato, incontra difficoltà impreviste e imprevedibili o si rende conto di conseguenze non considerate dalla Commissione, deve sottoporre tali problemi alla valutazione di quest’ultima, proponendo appropriate modifiche della decisione di cui trattasi. Lo Stato membro interessato e la Commissione devono, quindi, collaborare in buona fede per superare le difficoltà nel pieno rispetto delle disposizioni del Trattato e, in particolare, di quelle relative agli aiuti (para 34, cfr. sentenza Commissione/Italia, cit., punto 37). Nel caso di specie, la Corte di giustizia ha ritenuto non integrato il requisito dell'impossibilità assoluta dell'esecuzione: esso non è stato invocato nel corso della procedura dall'Italia, che si è invece limitata a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che presenta l’esecuzione di detta decisione (par. 36). Per tali motivi, la Corte ha accolto il ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione.

 

2) Sentenza del 31 marzo 2011, C-50/10, Commissione c. Repubblica Italiana

Oggetto: Ambiente – Direttiva 2008/1/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Condizioni di autorizzazione degli impianti esistenti.

Con la sentenza del 31 marzo 2011, la Corte di giustizia ha ritenuto che  la Repubblica italiana, non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli artt. 6 e 8 della direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008 (cd. «direttiva IPPC)», in Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 24, p. 8) sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle prescrizioni, che gli impianti esistenti ai sensi dell’art. 2, punto 4, di tale direttiva funzionino secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, lett. a) e b), e 15, n. 2, della medesima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della citata direttiva.

La direttiva IPCC ha ad oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività industriali elencate nel suo allegato I ed è diretta a «conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso». Ai sensi del suo art. 5, n. 1, di quest’ultima, gli Stati membri dovevano adottare le misure necessarie affinché le autorità competenti vigilassero, mediante autorizzazioni rilasciate a norma dei suoi artt. 6 e 8, ovvero, in modo opportuno, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle condizioni, che entro un massimo di otto anni successivi alla messa in applicazione di tale direttiva, e cioè entro il 30 ottobre 2007, gli impianti esistenti funzionassero secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, primo e secondo trattino, nonché all’art. 15, n. 2, della medesima direttiva. Ritenendo che la Repubblica italiana non avesse soddisfatto gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 5, n. 1, della direttiva IPPC, la Commissione, dopo aver esaurito la fase precontenziosa, ha proposto ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia.

La Corte ha ritenuto sussistente l'inadempimento contestato dalla Commissione, poiché alla scadenza del termine anzidetto solo una parte delle autorizzazioni relative agli impianti esistenti era stata verificata. In alcuni casi, inoltre, la verifica era stata limitata al solo controllo della insussistenza di un evidente contrasto con la direttiva IPCC. Ad avviso della Corte, «la mera verifica delle autorizzazioni preesistenti, diretta esclusivamente a valutare l’assenza di un evidente contrasto con i requisiti della direttiva IPPC, non appare adeguata al fine di garantire il rispetto degli obblighi previsti dall’art. 5, n. 1, di tale direttiva» (para 36). Per tali motivi, il ricorso della Commissione è stato accolto.

 

3) Sentenza del 29 marzo 2011, C-565/08, Commissione c. Repubblica Italiana

Oggetto: Artt. 43 CE e 49 CE – Avvocati – Obbligo di rispettare tariffe massime in materia di onorari – Ostacolo all’accesso al mercato – Insussistenza.

Con la sentenza del 29 marzo 2011, la Corte di giustizia (Grande Sezione) ha ritenuto che le disposizioni in materia di tariffe massime obbligatorie vigenti nell'ordinamento giuridico italiano in materia di prestazioni degli avvocati non ostacolano l'accesso al mercato italiano da parte degli avvocati di altri Stati membri, e pertanto esse non costituiscono una restrizione ai sensi degli artt. 43 e 49 CE (ora, artt. 49 e 56 TFUE).

A norma dell’art. 2233 del codice civile italiano, il compenso per un contratto di prestazione di servizi, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi in vigore, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene. La professione di avvocato è disciplinata in Italia dal regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore legale (in Gazzetta Ufficiale n. 281, del 5 dicembre 1933, pag. 5521), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 (in Gazzetta Ufficiale n. 24, del 30 gennaio 1934), come successivamente modificato. L'art. 60 del decreto legge prevede che la liquidazione dell'onorario dell'avvocato è fatta dal giudice, nel rispetto dei limiti minimi e massimi previamente prefissati dal Consiglio nazionale forense e approvati dal Ministero della giustizia. Il «decreto Bersani» (decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, in Gazzetta Ufficiale n. 153, del 4 luglio 2006, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, in Gazzetta Ufficiale n. 186, dell’11 agosto 2006) è intervenuto sulle disposizioni in materia di onorari d’avvocato disponendo, a partire dalla data della sua entrata in vigore, l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti (art. 1, lit. a). Al contempo, il medesimo decreto ha fatto salve fatte le disposizioni riguardanti le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti.

La Commissione, ravvisando una possibile incompatibilità delle disposizioni sulle tariffe massime obbligatorie con gli artt. 43 e 49 CE, ha avviato un procedimento di infrazione nei confronti dell'Italia. Ritenendo non soddisfacenti le spiegazioni fornite dall'Italia, la Commissione ha proposto ricorso alla Corte di giustizia. Dinanzi alla Corte, la Commissione ha sostenuto che le disposizioni in materia di tariffe obbligatorie producono l’effetto di disincentivare gli avvocati stabiliti in altri Stati membri a stabilirsi in Italia o a prestarvi temporaneamente i propri servizi e, di conseguenza, configurano restrizioni alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE nonché alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE (par. 27). In difesa della Repubblica Italiana, si è affermato che dette tariffe massime non hanno, in realtà, carattere vincolante, dal momento che esistono numerose deroghe che consentono di superare tali limiti, o per volontà degli avvocati e dei loro clienti, o tramite l’intervento del giudice. Si è sottolineato, inoltre, che il criterio principale per la determinazione degli onorari degli avvocati risiede, a norma dell’art. 2233 del codice civile italiano, nel contratto concluso tra l’avvocato e il suo cliente; il ricorso alle tariffe predeterminate, invece, costituisce soltanto un criterio sussidiario, utilizzabile in mancanza di compenso liberamente fissato dalle parti contrattuali nell’esercizio della loro autonomia contrattuale (par. 33).

La Corte di giustizia, respingendo l'argomento in tal senso formulato dalla difesa italiana, ha osservato che le tariffe massime applicabili agli onorari degli avvocati costituiscono norme giuridicamente vincolanti in quanto sono previste da un testo di legge (par. 41). Dopo aver ricordato che «la nozione di restrizione comprende le misure adottate da uno Stato membro che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri» (para 42; cfr., in particolare, sentenze 5 ottobre 2004, causa C‑442/02, CaixaBank France, in Raccolta,  p. I‑8961, par. 12, e 28 aprile 2009, causa C‑518/06, Commissione/Italia, in Raccolta,  p. I‑3491, par. 64), la Corte ha osservato che, nel caso di specie, si tratta pacificamente di disposizioni che si applicano indistintamente a tutti gli avvocati che forniscono servizi sul territorio italiano (par. 47). Tuttavia, deriva da una giurisprudenza costante che «una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio» (para 49; cfr. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/Italia, cit., para 63). Affinché la normativa nazionale si atteggi come una restrizione, occorre che gli avvocati stabiliti in altri St6ati membri avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci» par. 51; cfr., in tal senso, sentenza CaixaBank France, cit., par. 13 e 14; 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a., in Raccolta, p. I‑11421, par. 59, nonché 11 marzo 2010, causa C‑384/08, Attanasio Group, non ancora pubblicata nella Raccolta, par. 45). Nel caso di specie, ad avviso della Corte, la Commissione non ha dimostrato che la normativa italiana in questione è concepita in modo da pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano dei servizi di cui trattasi (par. 53). In particolare, la Corte ha osservato che «la normativa italiana sugli onorari è caratterizzata da una flessibilità che sembra permettere un corretto compenso per qualsiasi tipo di prestazione fornita dagli avvocati. Così, è possibile aumentare gli onorari fino al doppio delle tariffe massime altrimenti applicabili, per cause di particolare importanza, complessità o difficoltà, o fino al quadruplo di dette tariffe per quelle che rivestono una straordinaria importanza, o anche oltre in caso di sproporzione manifesta, alla luce delle circostanze nel caso di specie, tra le prestazioni dell’avvocato e le tariffe massime previste. In diverse situazioni, inoltre, è consentito agli avvocati concludere un accordo speciale con il loro cliente al fine di fissare l’importo degli onorari» (ibidem). Per questi motivi, la Corte di giustizia ha respinto il ricorso, confermando, in tal modo, la compatibilità della normativa italiana in materia di tariffe massime per le prestazioni degli avvocati con la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento all'interno dell'Unione.

 
 

3) Sentenza del 3 marzo 2011, C-508/09, Commissione c. Repubblica Italiana

Oggetto: Conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva 79/409/CEE – Deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici

Con la sentenza del 3 marzo 2011 nella causa C-508/09, la Corte di giustizia ha ritenuto che, poiché la Regione Sardegna ha adottato e applica una normativa relativa all’autorizzazione delle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispetta le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 (in Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea L 103, p. 1), concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le derivano dall’art. 9 di detta direttiva.