NOVITÀ - La discrezionalità del potere legislativo nazionale nella “interpretazione autentica” delle norme pensionistiche per i procedimenti giudiziali pendenti non viola le norme sul “giusto processo” (1/2011)

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 Sent. n. 1/2011 – giudizio di costituzionalità in via incidentale

Deposito del 05/01/2011 – Pubblicazione in G.U. del 12/01/2011

 

Motivi della segnalazione

La decisione riguarda una questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale centrale d’appello, dei commi 774, 775 e 776 dell’articolo 1 della legge 29 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) «nella parte in cui – interpretando l’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nel senso che per le pensioni di reversibilità sorte decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, e abrogando il comma 5 dell’art. 15 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 – fanno salvi, con riassorbimento sui futuri miglioramenti, soltanto i trattamenti pensionistici più favorevoli già definiti, e non anche quelli in corso di definizione, in sede di contenzioso».

La questione dunque riguarderebbe la violazione degli artt. 111 e 117 Cost. in quanto l’interpretazione censurata, nel suo essere estesa ai procedimenti in corso, avrebbe effetti favorevoli all’erario pubblico e sfavorevoli a pensionato.

Cosicché risulterebbero violate le norme sul “giusto processo”, l’art. 6 della Cedu, e dunque l’art. 117 Cost. nella misura in cui impone alla legge nazionale il rispetto degli obblighi internazionali. La Corte non ritiene fondate le questioni, ma riafferma comunque che le norme Cedu sono scrutinabili dalla Corte costituzionale medesima quali “norme interposte”, in un giudizio volto a verificare che il conflitto «sia effettivamente insanabile attraverso una interpretazione plausibile, anche sistematica, della norma interna rispetto alla norma convenzionale, nella lettura datane dalla Corte di Strasburgo» (così già sent 311/2009), e dunque che la norma interna sia illegittima per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

Sul merito, la Corte richiamando la propria giurisprudenza in materia (sent. 74/2008; sent. 228/2010), e rileva che l’intervento legislativo in sede di interpretazione autentica può «modificare in modo sfavorevole, in vista del raggiungimento di finalità perequative, la disciplina di determinati trattamenti economici con esiti privilegiati senza per questo violare l’affidamento nella sicurezza giuridica (sent. n. 6 del 1994 e sent. n. 282 del 2005), là dove, ovviamente, l’intervento possa dirsi non irragionevole». Nel caso in esame una ulteriore prova della legittimità dell’intervento legislativo riposerebbe sul rispetto, da parte della normativa impugnata, dell’intangibilità del giudicato relativo ai trattamenti più favorevoli eventualmente ottenuti da taluni soggetti in sede giudiziale.

Richiamando altresì la giurisprudenza restrittiva sull’art. 6 Cedu della stessa Corte di Strasburgo, la Corte afferma infine che la norma censurata non appare ledere la parità delle armi nel processo, la ragionevolezza, la tutela del legittimo affidamento e della certezza delle situazioni giuridiche. Al contrario, rileva la Corte costituzionale, è la stessa Corte di Strasburgo, a riconoscere l’opportunità che, in questa materia, idonei strumenti interpretativi legislativi siano in parte lasciati agli stessi Stati contraenti, «trattandosi, tra l’altro, degli interessi che sono alla base dell’esercizio del potere legislativo», considerato che «le decisioni in questo campo implicano, infatti, una valutazione sistematica di profili costituzionali, politici, economici, amministrativi e sociali».