La sentenza della Corte di giustizia nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11, Valenza ed altri c. AGCOM (3/2012)

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Stabilizzazione di dipendenti pubblici, anzianità di servizio e principio di non discriminazione

«Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE − Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 4 − Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico – Autorità nazionale della concorrenza – Procedura di stabilizzazione – Assunzione in ruolo, senza concorso pubblico, di lavoratori già in servizio a tempo determinato – Determinazione dell’anzianità – Difetto assoluto di considerazione dei periodi di servizio compiuti nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato – Principio di non discriminazione»

Su richiesta del Consiglio di Stato, la Corte di giustizia è tornata a chiarire la portata della clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, e allegato alla direttiva 1999/70/CE.[1] Tale clausola, rubricata «Principio di non discriminazione», stabilisce che «[p]er quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive». In particolare, il suo punto 4 precisa che «[i] criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive». Nella sentenza in esame, la Corte di giustizia, dirimendo il contrasto interpretativo emerso tra giudice amministrativo e giudice del lavoro, ha affermato che la suddetta clausola può applicarsi anche al trattamento deteriore subito dal dipendente di una pubblica amministrazione che è divenuto di ruolo tramite procedura di stabilizzazione rispetto ai dipendenti di ruolo che hanno superato il concorso pubblico, laddove il trattamento deteriore trae origine dal precedente rapporto di lavoro a tempo determinato. 

Il rinvio pregiudiziale è stato sollevato nell’ambito del procedimento che vedeva opposti alcuni dipendenti dell’AGCOM a quest’ultima. I primi, dopo aver lavorato sulla base di contratti a tempo determinato, erano stati assunti a tempo indeterminato attraverso una procedura di stabilizzazione, in deroga, quindi, alla regola del concorso pubblico. I ricorrenti lamentavano la mancata considerazione, ai fini del calcolo dell’anzianità maturata al momento della assunzione a tempo indeterminato, dei periodi di servizio già svolti alla dipendenze dell’AGCOM sulla base di contratti a tempo determinato. In particolare, l’azzeramento dell’anzianità pregressa maturata durante l’attività a tempo determinato era prevista dall’art.  articolo 75, comma 2, del decreto legge n. 112/2008, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria (in Supplemento ordinario alla G.U.R.I. n. 147, del 25 giugno 2008). Nell’ordinanza di rinvio alla Corte di giustizia, il Consiglio di Stato dava conto dell’esistenza di un contrasto interpretativo circa l’interpretazione della clausola 4, punto 4, dell’accordo quadro da parte del giudice amministrativo e di quello del lavoro. Secondo il Consiglio di Stato (sentenza 1138/2011), l’accordo quadro non sarebbe applicabile alla fattispecie, poichè si limiterebbe a vietare un trattamento deteriore del lavoratore a tempo determinato in costanza del rapporto di lavoro a termine, mentre nel caso di specie la discriminazione è lamentata da lavoratori (ormai) a tempo indeterminato nei confronti di altri lavoratori a tempo indeterminato.  Ad ogni modo, l’utilizzo di criteri diversi per il calcolo dell’anzianità dei lavoratori a tempo determinato ed indeterminato sarebbe oggettivamente giustificato ai sensi dell’art. 4, punto 4, dell’accordo quadro: ciò in quanto, senza l’azzeramento, i lavoratori che avevano precedentemente un contratto a tempo determinato scavalcherebbero i lavoratori già di ruolo con minore anzianità. Viceversa, il Tribunale del lavoro di Torino (sentenza 4148/2009) ha interpretato l’art. 4, punto 4, dell’accordo quadro nel senso che esso esige il mantenimento dell’anzianità maturata dai lavoratori a tempo indeterminato. 

Con le sue questioni pregiudiziali, che la Corte di giustizia ha esaminato congiuntamente, il Consiglio di Stato chiedeva essenzialmente se la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale in base alla quale i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica non devono essere presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, che avvenga tramite una procedura di stabilizzazione. In primo luogo, la Corte ha ribadito che «la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro» e che il semplice fatto di aver acquisito la qualità di lavoratore a tempo indeterminato «non esclude la possibilità per loro di avvalersi, in determinate circostanze, del principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro» (par. 33; nello stesso senso, già le sentenze rese nelle cause C-177/10, Rosado Santana, non ancora pubblicata in Raccolta, par. 40, e C-307/05, Del Cerro Alonso [2007], Raccolta , p. I‑7109, par. 28). Dunque, la Corte ha rigettato l’argomento del Governo italiano secondo cui i ricorrenti, essendo ormai divenuti lavoratori a tempo indeterminato, non potevano invocare la clausola 4 dell’accordo: ciò in quanto la discriminazione contraria alla clausola 4 di cui asserivano di essere vittime riguardava i periodi di lavoro compiuti in qualità di lavoratori a tempo determinato (par. 35). Difatti, escludere una tale situazione dall’ambito di applicazione dell’accordo «significherebbe limitare – in spregio all’obiettivo assegnato a detta clausola 4 – l’ambito della protezione concessa ai lavoratori interessati contro le discriminazioni e porterebbe ad un’interpretazione indebitamente restrittiva di tale clausola, contraria alla giurisprudenza della Corte» (par. 37).

Dopo aver ricondotto la situazione dei ricorrenti nell’ambito della clausola 4 dell’accordo quadro, la Corte ha ricordato che il divieto dalla stessa previsto opera quando il lavoratore a tempo determinato, esclusivamente a motivo di questa qualità, è trattato in modo meno favorevole ad un lavoratore a tempo indeterminato comparabile, senza che sussista una giustificazione obiettiva (paragrafi 39 e 40). La Corte ha dunque affermato che spetta al giudice nazionale verificare la comparabilità delle situazioni in esame, avendo riguardo a fattori quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e quelle di impiego e la qualità dell’esperienza (paragrafi da 42 a 44). Tuttavia, la Corte ha precisato che la circostanza che i ricorrenti non avevano superato il concorso pubblico per l’accesso alla pubblica amministrazione «non può implicare che dette ricorrenti si trovino in una situazione differente, dal momento che le condizioni per la stabilizzazione fissate dal legislatore nazionale nella normativa controversa nei procedimenti principali (..) mirano appunto a consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione può essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo» (par. 45).

La Corte ha poi precisato che, nell’ipotesi in cui il giudice nazionale addivenga ad un giudizio di comparabilità delle situazioni, si dovrà verificare la sussistenza di «ragioni oggettive» idonee a giustificare il diverso trattamento. A tal proposito, la Corte di giustizia ha ricordato che non è valida la giustificazione che la distinzione è prevista da una norma nazionale generale od astratta, quale una legge od un contratto collettivo. Al contrario, è necessario che «la disparità di trattamento constatata sia giustificata dall’esistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono la condizione di lavoro in questione, nel particolare contesto in cui essa si colloca e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se detta disparità risponda ad un reale bisogno, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessaria a tal fine» (par.  51). Dunque, non soddisfa questi requisiti il richiamo alla mera natura temporanea del lavoro dei ricorrenti (par. 52). Inoltre, sebbene gli Stati membri possano in linea di principio stabilire le condizioni per l’accesso alla qualifica di dipendente di ruolo e le relative condizioni di impiego, tuttavia «l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento deteriore dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale» (par. 59). Ad avviso della Corte, l’obiettivo perseguito tramite la previsione dell’azzeramento dell’anzianità maturata dai lavoratori a tempo determinato - ossia, evitare di creare una discriminazione alla rovescia ai danni dei dipendenti di ruoli assunti previo concorso pubblico - costituisce, in linea di principio, una giustificazione oggettiva ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro: ciò nonostante, la Corte ha ritenuto sproporzionata la normativa nazionale, in quanto l’esclusione di qualsiasi rilevanza di tutti i periodi di servizio pregressi «è intrinsecamente fondata sulla premessa generale secondo cui la durata indeterminata del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti pubblici giustifica di per sé stessa una diversità di trattamento rispetto ai dipendenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando così di sostanza gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro» (par. 62). 

La Corte ha poi precisato che neanche la circostanza che, in base al diritto nazionale, il rapporto di lavoro che si instaura a seguito della procedura di stabilizzazione è nuovo può essere invocata come giustificazione oggettiva: se è vero che l’accordo quadro non fissa le condizioni per ricorrere al contratto a tempo indeterminato né mira ad armonizzare la disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, tuttavia «il potere riconosciuto agli Stati membri per definire il contenuto delle loro norme nazionali riguardanti i contratti di lavoro non può spingersi fino a consentire loro di rimettere in discussione l’obiettivo o l’effetto utile dell’accordo quadro» (paragrafi 63 e 64); ora, è evidente che «il principio di non discriminazione enunciato nella clausola 4 dell’accordo quadro sarebbe privato di qualsiasi contenuto se il semplice fatto che un rapporto di lavoro sia nuovo in base al diritto nazionale fosse idoneo a configurare una «ragione oggettiva» ai sensi della clausola [4]» (par. 65). Dunque, non è sufficiente affermare che il rapporto di lavoro è formalmente nuovo, ma si deve piuttosto guardare alla natura delle mansioni svolte sulla base del nuovo contratto (a tempo indeterminato) e, laddove queste risultino sostanzialmente identiche alle mansioni svolte in veste di dipendenti a tempo determinato, allora non sarà possibile affermare che il diverso trattamento è oggettivamente giustificato ai sensi dell’accordo quadro (paragrafi 66 e 67). 

Da ultimo, dopo aver ribadito che spetta al giudice nazionale verificare la comparabilità della situazione dei ricorrenti con quella dei dipendenti di ruolo, la Corte di giustizia ha ricordato che  «la clausola 4 dell’accordo quadro è incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata dai singoli nei confronti dello Stato dinanzi ad un giudice nazionale a partire dalla data di scadenza del termine concesso agli Stati membri per realizzare la trasposizione della direttiva 1999/70» (par. 70; nello stesso senso, già le sentenze rese nelle cause C‑444/09 e C‑456/09, Gavieiro Gavieiro e Iglesias Torres [2010], Raccolta, p. I‑14031, par. 54 , e Rosado Santana, cit., par. 56). 

 

                                                                                                                                                                                                                         N.L.



[1] G.U. 1999 L 175, p. 43 ss.