Limiti all’utilizzo dello strumento del decreto-legge per introdurre nuovi assetti ordinamentali negli enti locali (3/2013)

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Sentenza n. 220/2013 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 19 luglio 2013 - Pubblicazione in G. U. del 24 luglio 2013

Motivi della segnalazione

Nella sentenza n. 221/2013 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011 19 e 20, del d.l. n. 201 del 2011.

I motivi d’interesse della decisione risiedono nel fatto che essa consente alla Corte di precisare in merito l’incompatibilità logica e giuridica – che va al di là dello specifico oggetto di scrutinio di costituzionalità – tra lo strumento il decreto-legge e il progetto di modifica dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale.

La Corte, richiamando l’ l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost, ricorda che la citata norma costituzionale indica le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali, le quali devono essere disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo. È il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza».

Da quanto detto si ricava che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d’urgenza».

L’inadeguatezza dello strumento del decreto-legge a realizzare una riforma organica e di sistema risulta essere avvalorata anche dalla formula utilizzata dallo stesso legislatore nell’art. 1, comma 115, della legge n. 228 del 2012: «Al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché quelli derivanti dal processo di riorganizzazione dell’Amministrazione periferica dello Stato, fino al 31 dicembre 2013 è sospesa l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 18 e 19 dell’art. 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214». Dalla disposizione non appare chiaro se l’urgenza del provvedere sia meglio soddisfatta dall’immediata applicazione delle norme dello stesso decreto oppure, al contrario, dal differimento nel tempo della loro efficacia operativa: una riforma di sistema richiede processi attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni progressive, che mal si conciliano con l’immediatezza di effetti connaturata al decreto-legge, secondo il disegno costituzionale. 

Sempre al fine di avvalorare la tesi dell’inadeguatezza del decreto-legge per introdurre nuovi assetti ordinamentali che superino i limiti di misure meramente organizzative la Corte si richiama al procedimento previsto dall’art. 133 primo comma, Cost. per la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali.

Emerge una incompatibilità tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni, che certamente non può identificarsi con le suddette situazioni di fatto, se non altro perché l’iniziativa non può che essere frutto di una maturazione e di una concertazione tra enti non suscettibile di assumere la veste della straordinarietà, ma piuttosto quella dell’esercizio ordinario di una facoltà prevista dalla Costituzione, in relazione a bisogni e interessi già manifestatisi nelle popolazioni locali.

La Corte ha però ammesso che l’istituzione di una nuova Provincia possa essere effettuata mediante lo strumento della delega legislativa, purché «gli adempimenti procedurali destinati a “rinforzare” il procedimento (e consistenti nell’iniziativa dei Comuni e nel parere della Regione) possano intervenire, oltre che in relazione alla fase di formazione della legge di delegazione, anche successivamente alla stessa, con riferimento alla fase di formazione della legge delegata» (sentenza n. 347 del 1994).

In sostanza, secondo la pronuncia citata, l’iniziativa dei Comuni ed il parere della Regione si pongono, in caso di delega legislativa, come presupposti necessari perché possa essere emanato da parte del Governo il decreto di adempimento della delega. La stessa inversione cronologica non è possibile nel caso di un decreto-legge, giacché, a norma dell’art. 77, secondo comma, Cost., il Governo deve presentare alle Camere «il giorno stesso» dell’emanazione il disegno di legge di conversione. Non vi è spazio quindi perché si possa inserire l’iniziativa dei Comuni. Né quest’ultima potrebbe intervenire nel corso dell’iter parlamentare di conversione; non si tratterebbe più di una iniziativa, ma di un parere, mentre la norma costituzionale ben distingue il ruolo dei Comuni e della Regione nel prescritto procedimento “rinforzato”.