UE - La Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (1/2013)

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La Direttiva 2012/29/UE,[1] recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, si colloca nel solco della tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime (cd. tabella di marcia di Budapest) elaborata dalla risoluzione del Consiglio del 10 giugno 2011. Secondo quanto previsto dal suo quarto considerando, la direttiva «mira a rivedere e a integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI e a realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali». La sua base giuridica è l’art. 82, par. 2, TFUE, e per questo motivo, come già la decisione quadro citata, anche la nuova direttiva contiene esclusivamente delle prescrizioni minime, con la conseguenza che è lasciata la possibilità agli Stati membri di ampliare i diritti dalla stessa previsti, al fine di assicurare un livello di protezione delle vittime più elevato.[2]

Senza volere in questa sede affrontare un esame dettagliato del contenuto della direttiva, si devono tuttavia segnalare alcune significative novità rispetto alla decisione quadro 2001/220/GAI.[3] Mentre quest’ultima si apriva con una disposizione recante le definizioni di alcune nozioni chiave utilizzate nella decisione quadro, l’art. 1 della direttiva è rubricato ‘Obiettivi’ e precisa che lo scopo della direttiva è quello di «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali». La stessa disposizione poi aggiunge che «[g]li Stati membri assicurano che le vittime siano riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile, personalizzata, professionale e non discriminatoria, in tutti i contatti con i servizi di assistenza alle vittime o di giustizia riparativa o con un’autorità competente operante nell’ambito di un procedimento penale». Si precisa, inoltre, che i diritti previsti dalla direttiva devono trovare applicazione nei confronti delle vittime in modo non discriminatorio, «anche in relazione al loro status in materia di soggiorno». Al secondo paragrafo, si afferma che «[g]li Stati membri assicurano che nell’applicazione della presente direttiva [..] sia innanzitutto considerato l’interesse superiore del minore e si proceda ad una valutazione individuale». La stessa disposizione aggiunge che «[s]i privilegia un approccio rispettoso delle esigenze del minore, che ne tenga in considerazione età, maturità, opinioni, necessità e preoccupazioni». Queste disposizioni, che per larga parte non trovavano corrispondenza nella decisione quadro,[4] si atteggiano, anche per la loro collocazione nel primo articolo della direttiva, a strumenti di interpretazione di tutte le altre disposizioni della stessa. Allo stesso modo in sede di interpretazione e applicazione della direttiva, si dovrà tenere conto, secondo quanto stabilito dal suo sessantaseiesimo considerando, che essa «è volta a promuovere il diritto alla dignità, alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla libertà e alla sicurezza, il rispetto della vita privata e della vita familiare, il diritto di proprietà, il principio di non discriminazione, il principio della parità tra donne e uomini, i diritti dei minori, degli anziani e delle persone con disabilità e il diritto ad un giudice imparziale».

Si deve poi evidenziare l’ampliamento della nozione di «vittima». Nell’ambito della decisione quadro 2001/220/GAI, per «vittima» si intendeva «la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro». Invece, l’art. 2, par. 1, della nuova direttiva definisce «vittima» sia «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato», che «un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona».

Per quanto riguarda il novero dei diritti garantiti alle vittime così definite, questo non solo è stato ampliato dal punto di vista quantitativo, ma è soprattutto qualitativamente diverso. Più precisamente, la direttiva individua in modo puntuale i diritti che devono essere garantiti alle vittime, nonché il contenuto minimo degli stessi. In questo modo, agli Stati membri è lasciato un margine di discrezionalità notevolmente minore rispetto a quello ad essi riservato dalla decisione quadro, che conteneva delle indicazioni molto più ampie ed elastiche.

Il termine entro il quale gli Stati membri devono provvedere all’attuazione della direttiva è il 16 novembre 2015. La direttiva si applica anche al Regno Unito e all’Irlanda, che hanno esercitato la facoltà di opting-in prevista dal Protocollo n. 21. La Danimarca, invece, non ha partecipato all’adozione della direttiva, e pertanto non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione.

 

N.L. 



   

[1] http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:315:0057:01:IT:HTML G.U. 2012 L 315, p. 57 ss. 

[2] L’art. 82, par. 2, TFUE, recita infatti: «Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Esse riguardano: a)  l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; b)  i diritti della persona nella procedura penale; c)  i diritti delle vittime della criminalità; d)  altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione; per adottare tale decisione il Consiglio delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo. L'adozione delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone. 

[3] G.U. 2001 L 82, p. 1 ss. 

[4] L’art. 1 della direttiva può forse essere visto come un sostanziale ampliamento dell’art. 2 della decisione quadro, rubricato ‘Rispetto e riconoscimento’, il quale recitava che «1. Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale. 2. Ciascuno Stato membro assicura che le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione».