Notizia 2: La modifiche della legislazione nazionale in materia di immunità giurisdizionale degli Stati stranieri in seguito alla sentenza emessa dalla Corte internazionale di Giustizia nella controversia tra Germania e Italia (1/2013)

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1. Brevi cenni sulla immunità nel diritto internazionale e applicazione della norma internazionale in Italia.

Il diritto internazionale tutela l’uguaglianza e l’indipendenza degli Stati sovrani. Esiste pertanto una norma consuetudinaria che sancisce l’immunità dalla giurisdizione dello Stato estero.
La norma opera nell’ordinamento giuridico italiano in virtù dell’adeguamento automatico al diritto internazionale consuetudinario previsto dall’articolo 10 della Costituzione.
Tuttavia, i confini della norma internazionale non sono certi. Nel diritto internazionale tradizionale prevaleva la tesi dell’esistenza di una tutela assoluta. Nel diritto internazionale moderno l’immunità è relativa e occorre distinguere tra attività sovrane dello Stato (non sottoponibili a giurisdizione) e attività privatistiche (sottoponibili invece a giurisdizione). E’ la distinzione che corre tra i c.d. atti iure imperii e atti iure gestionis.

 

Tuttavia, anche per gli atti iure imperii possono configurarsi eccezioni al principio di immunità. In particolare, si discute se esista una norma che esclude l’immunità dello Stato straniero nel caso di crimini internazionali. 

Nel 2004 in seno alle Nazioni Unite è stata approvata la convenzione sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni. La Convenzione pone la regola generale dell'immunità dalla giurisdizione civile, ma al contempo fissa alcune eccezioni per le quali si applica una immunità ridotta (per le transazioni commerciali, per i danni causati a persone o cose, per la proprietà e i diritti reali, per la determinazione dei diritti di proprietà intellettuale e industriale, per la partecipazione statale a società, per operazioni di navi utilizzate a fini commerciali).

Sino però alla recente approvazione della legge n. 5/2013 l’Italia non aveva ratificato la convenzione internazionale, né vi era stato un adeguamento espresso dell’ordinamento interno alla norma consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione.

 

      2. La giurisprudenza italiana in materia di immunità.

Varie pronunce dei giudici italiani avevano escluso l’immunità dalla giurisdizione per lo Stato estero in caso di commissione di crimini internazionali.

Già nel 2004 la Corte di Cassazione nel caso Ferrini aveva rifiutato di riconoscere alla Germania l’immunità dinanzi ai tribunali italiani in presenza di crimini internazionali e gravissime violazioni di beni e valori universalmente riconosciuti. In tale caso, sostenevano i giudici italiani, non sussiste alcuna immunità.

In altra circostanza la Corte di cassazione aveva confermato una decisione della Corte d’Appello di Firenze che aveva riconosciuto una sentenza emessa da giudici greci di condanna della Germania in relazione a crimini commessi durante la Seconda guerra mondiale nel villaggio di Distomo. Le corti greche non avevano dato esecuzione alla sentenza. Gli aventi diritto al risarcimento avevano pertanto chiesto che l’esecuzione della sentenza fosse concessa in Italia. E la Cassazione aveva riconosciuto il diritto dei sopravvissuti greci della strage a rivalersi su beni tedeschi posti in Italia.

Inoltre, con una sentenza dell’ottobre del 2008 la Corte di Cassazione aveva respinto il ricorso della Germania contro una sentenza della Corte d’appello militare di Roma che aveva condannato la Germania al risarcimento dei danni per l’uccisione nel giugno del 1944 di oltre duecento persone nelle provincia di Arezzo. La sentenza sanciva il diritto per le vittime delle stragi naziste ad essere risarcite nell’ambito di un procedimento penale. L’eccezione della immunità giurisdizionale dello Stato estero era stata nuovamente disattesa.

 

      3. La controversia internazionale tra Italia e Germania e la sentenza della Corte internazionale di giustizia.

Per contrastare la prassi degli organi giudiziari italiani, che avevano riconosciuto la propria giurisdizione sui ricorsi presentati dalle vittime di crimini internazionali e nel merito avevano condannato la Germania al risarcimento dei danni, nel 2008 la Germania ha depositato un ricorso contro l’Italia dinanzi alla Corte internazionale di Giustizia assumendo che l’Italia violasse le norme internazionali in materia di immunità degli Stati.

In particolare, la Germania sosteneva che l’Italia violasse il principio dell’immunità degli stati esteri dalla giurisdizione in quanto uno Stato non può essere chiamato in giudizio dinanzi ai giudici di un altro stato per le attività che rientrano nella sua sfera sovrana, come le attività belliche. Sosteneva inoltre che con il Trattato di Pace del 1947 l’Italia avrebbe rinunciato a tutte le domande di risarcimento contro la Germania pendenti alla data dell’8 maggio 1945. Sosteneva, infine, che l’accordo italo-tedesco del 2 giugno 1961 dichiarava risolte tutte le rivendicazioni per danni provocati durante la Seconda guerra mondiale pendenti a tale data.

La Corte internazionale di giustizia con sentenza del 3 febbraio 2012 ha accertato la responsabilità internazionale dell’Italia per violazione delle norme sull’immunità giurisdizionale nei confronti della Repubblica Federale tedesca. Con tale sentenza la Corte internazionale di Giustizia ha obbligato lo Stato italiano a privare di effetti le sentenze già emesse dai giudici nazionali.

In particolare, la Corte ha stabilito che 'Italia "must, by enacting appropriate legislation, or by resorting to other methods of its choosing, ensure that the decisions of its courts and those of other judicial authorities infringing the immunity which the Federal Republic of Germany enjoys under international law cease to have effect".

 

      4. Le prime conseguenze sull’ordinamento interno prodotte dalla sentenza internazionale.

I giudici interni avevano immediatamente cercato di adeguarsi a quanto stabilito dalla Corte. E in alcuni procedimenti promossi da persone fisiche contro la Germania per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa di crimini internazionali commessi nel corso della seconda guerra mondiale i giudici italiani avevano riconosciuto l’immunità dello Stato tedesco (in proposito, si vedano la sentenza del Tribunale di Firenze del 28 marzo 2012 e la sentenza della Corte d’appello di Torino del 3 maggio 2012 in Rivista di diritto internazionale, 2012, p. 583 ss, p. 916 ss e la sentenza della Corte di Cassazione, sezione I penale, 9 agosto 2012 n. 32139, in Rivista di diritto internazionale, 2012, p. 1196 ss.).[1] 
 
Tuttavia, nonostante l’impegno della giurisprudenza a rispettare il dettato della Corte internazionale, mancava ancora un intervento del Legislatore che si è verificato con l’approvazione della legge 5/2013.

  

      5. La legge italiana di ratifica e di esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni.

L’articolo 1 della Legge 5/2013 autorizza alla adesione e dà esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni. L’articolo 30 della Convenzione prevede che la convenzione entrerà in vigore trenta giorni dopo la data del deposito del trentesimo strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione.

La legge contiene però anche una disposizione specifica relativa all’esecuzione delle sentenze emesse dalla Corte internazionale di giustizia.

L’articolo 3 stabilisce infatti che ai fini di cui all’articolo 94, paragrafo 1, della Carta delle Nazioni Unite, quando la Corte internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo”. 

La disposizione ha in parte funzione ricognitiva del quadro normativo esistente. Sulla base delle norme processuali italiane, infatti, il giudice ha il potere-dovere di dichiarare in ogni momento, anche d'ufficio, il difetto di giurisdizione (articolo 37 del codice di procedura civile). [2]  

Tuttavia, anche in presenza di sentenza non definitiva che abbia riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione del giudice italiano che deriva da una pronuncia della Corte internazionale di giustizia può essere ora affermato sulla base dell’articolo 3 della legge 5/2013.

La soluzione è invece diversa per i giudizi definiti con sentenza passata in giudicato e per i procedimenti pendenti nei quali la questione relativa alla giurisdizione è stata risolta con pronuncia definitiva della Corte di cassazione emessa a titolo di regolamento di giurisdizione.

In proposito, l’articolo 3 della Legge così dispone al secondo comma: “Le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’art. 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tal caso non si applica l’art. 396 del citato codice di procedura civile”.

Il legislatore ha dunque aggiunto un nuovo motivo di revocazione delle sentenze civili passate in giudicato che abbiano precedentemente affermato la sussistenza della giurisdizione. Si tratta del caso in cui tali sentenze contrastino con una pronuncia della Corte internazionale di giustizia anche se intervenuta successivamente alla formazione del giudicato.

La soluzione è per certi versi analoga a quella stabilita dalla Corte costituzionale con sentenza n. 113 del 4 aprile 2011 con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede un diverso motivo di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di consentire la riapertura del processo quando ciò sia necessario per conformarsi ad una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. [3]

L'intervento del legislatore con l'articolo 3 della legge 5/2013 si rivela necessario in quanto nell'ordinamento italiano è possibile fare ricorso allo strumento della revocazione solo nei casi tassativamente previsti dalla legge.

Tale intervento normativo favorisce il rispetto degli obblighi internazionali ed è coerente con l'articolo 117 della Costituzione e con l'articolo 11 della Costituzione che consente limitazioni di sovranità necessarie alla partecipazione dell'Italia ad organizzazioni internazionali che assicurano la pace e la giustizia fra le Nazioni.

In virtù di ciò è forse accettabile una visione più restrittiva degli articoli 3 e 24 della Costituzione che sanciscono il principio di eguaglianza di fronte alla legge e il diritto di accesso alla giustizia. [4]

Tuttavia, la disposizione attiene esclusivamente ai giudizi civili e non anche alle sentenze definitive rese nell'ambito di un giudizio penale nel quale lo Stato estero sia stato convenuto quale responsabile civile. E tale limite potrebbe creare problemi circa il rispetto degli obblighi internazionali cui l'Italia è tenuta.



[1] A. CIAMPI, L’Italia Attua la Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel Caso Germania c. Italia, in Rivista di Diritto Internazionale, 2013, p. 146 ss.

[2] A. CIAMPI, L’Italia Attua la Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel Caso Germania c. Italia, cit.

[3] A. CIAMPI, L’Italia Attua la Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel Caso Germania c. Italia, cit..

[4] A. CIAMPI, L’Italia Attua la Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel Caso Germania c. Italia, cit.