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La sentenza Kadi II della Corte di giustizia (3/2013)

La decisione della Commissione di mantenere il signor Kadi nella lista delle elenco delle persone, dei gruppi e delle entità collegate ad Al-Qaeda a cui si applicano misure restrittive viola i diritti fondamentali UE.

Con la nota sentenza Kadi I,[1] la Corte di giustizia annullava il regolamento n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani,[2] nella parte relativa all’iscrizione nel suo allegato I del sig. Kadi; questi, infatti, non essendo stato informato circa gli elementi assunti a suo carico per fondare le misure restrittive adottate nei suoi confronti, era stato privato del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva. A seguito di tale pronuncia, il presidente del comitato per le sanzioni trasmetteva l’esposizione dei motivi dell’iscrizione del sig. Kadi nell’elenco riassuntivo di tale comitato al rappresentante permanente della Francia presso l’ONU, autorizzandone la comunicazione al sig. Kadi, che veniva effettuata dalla Commissione. Contestualmente, la Commissione informava il sig. Kadi che essa intendeva mantenere l’iscrizione del suo nominativo nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento n. 881/2002, e concedeva un termine all’interessato per far valere le sue osservazioni su tale motivazione e fornirle ogni informazione che egli ritenesse pertinente, prima che essa adottasse una decisione definitiva. Successivamente, la Commissione confermava l’iscrizione del sig. Kadi nell’allegato I del Regolamento n. 881/2002. L’interessato proponeva dunque un ricorso dinanzi al Tribunale per ottenere l’annullamento del Regolamento nella parte che lo riguardava. Con sentenza del 30 settembre 2010[3] il Tribunale accoglieva il ricorso.

La nuova sentenza (cd. Kadi II) della Corte di giustizia trae appunto origine dall’impugnazione della sentenza del 2010 del Tribunale da parte della Commissione europea, del Consiglio dell’Unione europea e del Regno Unito.[4] Senza ripercorrere nel dettaglio gli argomenti presentati dalle parti in relazione ai tre principali motivi dedotti,[5] merita evidenziare, in primo luogo, che nel rispondere al primo motivo di ricorso - relativo ad un preteso errore di diritto per il mancato riconoscimento dell’immunità giurisdizionale del regolamento controverso - la Corte di giustizia ha confermato la soluzione accolta nella sentenza circa l’assetto dei rapporti tra l’ordinamento UE ed il sistema basato sulla Carta delle Nazioni Unite, e secondo cui i regolamenti UE che danno attuazione a risoluzioni del Consiglio di sicurezza non possono beneficiare di una qualsivoglia immunità giurisdizionale. Ad avviso della Corte «[n]on hanno subito alcuna evoluzione che giustifichi che detta soluzione sia rimessa in discussione i diversi elementi che, ai punti da 291 a 327 della sentenza Kadi, corroborano tale soluzione accolta dalla Corte, elementi attinenti in sostanza al valore di garanzia costituzionale attribuito, in un’Unione di diritto (...), al controllo giurisdizionale della legittimità di qualsiasi atto dell’Unione – compresi quelli che, come qui, danno applicazione ad un atto di diritto internazionale – alla luce dei diritti fondamentali garantiti dall’Unione» (par. 66). 

Con riferimento ai motivi secondo e terzo - esaminati congiuntamente dalla Corte e vertenti, rispettivamente, su errori di diritto in merito al grado di intensità del controllo giurisdizionale definito nella sentenza impugnata e su errori commessi dal Tribunale nell’esame dei motivi di annullamento fondati sulla violazione dei diritti della difesa, del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva e del principio di proporzionalità -, la Corte ha ritenuto che effettivamente il Tribunale è incorso in errori di diritto; ciononostante, ha confermato il dispositivo della sentenza impugnata.

In primo luogo, la Corte di giustizia ha ricordato che, come già dalla stessa affermato nella sentenza Kadi I, «i giudici dell’Unione, in conformità alle competenze di cui sono investiti in forza del Trattato, devono garantire un controllo, in linea di principio completo, della legittimità di tutti gli atti dell’Unione con riferimento ai diritti fondamentali che costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione, anche quando tali atti mirano ad attuare risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite» (par. 97). La Corte ha quindi spiegato come tale controllo di legittimità - che richiede un bilanciamento tra i diritti fondamentali di cui agli artt. 41(2) e 47 della Carta dei diritti fondamentali UE e «le condizioni che risultano, segnatamente, dagli articoli 3, paragrafi 1 e 5, TUE e 21, paragrafi 1 e 2, lettere a) e c), TUE, relative alla preservazione della pace e della sicurezza internazionali nel rispetto del diritto internazionale, in particolare, dei principi della Carta delle Nazioni Unite» (paragrafi 98-103) - deve sostanziarsi nel caso specifico degli atti di diritto UE volti a dare attuazione alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che impongono misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche nell’ambito della lotta al terrorismo (paragrafi da 117 a 129). La Corte ha dunque osservato che, «[c]onsiderata la natura preventiva delle misure restrittive in oggetto, qualora, nel contesto del suo controllo sulla legittimità della decisione impugnata, (...) il giudice dell’Unione concluda che almeno uno dei motivi menzionati nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni è sufficientemente preciso e concreto, che è dimostrato e che di per sé costituisce un fondamento adeguato di tale decisione, la circostanza che altri di questi motivi non lo siano non basterà per giustificare l’annullamento di detta decisione[; i]n caso contrario, egli procederà all’annullamento della decisione impugnata» (par. 130). Ad avviso della Corte, «[u]n siffatto controllo giurisdizionale risulta indispensabile per garantire il giusto equilibrio tra la preservazione della pace e della sicurezza internazionali e la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali della persona interessata, che costituiscono valori comuni all’ONU e all’Unione» (par. 131); inoltre, «tale controllo si rivela a maggior ragione indispensabile poiché, nonostante i miglioramenti apportati, in particolare, dopo l’adozione del regolamento controverso, le procedure di radiazione e di revisione d’ufficio istituite a livello dell’ONU non offrono alla persona il cui nominativo è inserito nell’elenco riassuntivo del comitato per le sanzioni e, di riflesso, nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento n. 881/2002, le garanzie di una tutela giurisdizionale effettiva, come ha recentemente sottolineato la Corte europea dei diritti dell’uomo – condividendo la valutazione del Tribunale federale svizzero – al punto 211 della sua sentenza del 12 settembre 2012, Nada c. Svizzera (non ancora pubblicata nel Recueil des arrêts et décisions)» (par. 133).

Il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto laddove ha fondato la propria constatazione di una violazione dei diritti della difesa, del diritto ad una tutela giurisdizionale e del principio di proporzionalità sull’omessa comunicazione, da parte della Commissione, al sig. Kadi e al Tribunale stesso delle informazioni e degli elementi probatori relativi ai motivi per cui il nominativo dell’interessato era stato mantenuto nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento n. 881/2002; ciò in quanto, ad avviso della Corte, dalla sentenza Kadi I «non si evince che il mancato accesso dell’interessato e del giudice dell’Unione a informazioni o a elementi probatori che non siano in possesso dell’autorità competente dell’Unione integri, di per sé, una violazione dei diritti della difesa o del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva» (paragrafi 138  139). Il Tribunale sarebbe altresì incorso in un errore di diritto laddove ha fondato la propria valutazione circa l’esistenza di una violazione dei diritti fondamentali del sig. Kadi «sul carattere a suo giudizio vago ed impreciso delle asserzioni contenute nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni, quando invece un esame separato di ciascuno di tali motivi non autorizza a trarre una tale conclusione generale» (par. 140).

Da ultimo, la Corte di giustizia ha analizzato i motivi addotti dal comitato delle sanzioni a supporto dell’adozione di misure restrittive nei confronti del sig. Kadi, e ha concluso che «nessuna delle accuse formulate a carico [di quest’ultimo] è idonea a giustificare l’adozione, a livello dell’Unione, di misure restrittive nei suoi confronti, e ciò vuoi per insufficienza di motivazione, vuoi per assenza di elementi d’informazione o di prova atti a suffragare il motivo di cui trattasi a fronte delle circostanziate contestazioni opposte dall’interessato» (par. 163). Pertanto, la Corte ha ritenuto che gli errori di diritto ravvisati nella sentenza del Tribunale non sono tali da invalidarne il dispositivo.[6

 



[1] Sent. della Corte (grande sezione) del 3 settembre 2008, cause riunite C-402/05 P e C-415/05 P, Yassin Abdullah Kadi e Al Barakaat International Foundation contro Consiglio dell'Unione europea e Commissione delle Comunità europee, Raccolta I-6351.

[2]  G.U.U.E. 2008 L 322, p. 25 ss.

[3] Sent. della Corte (grande sezione) del 18 luglio 2013, Cause riunite C-584/10 P, C-593/10 P e C-595/10 P, Commissione europea e altri contro Yassin Abdullah Kadi, non ancora pubblicata nella Raccolta.

[4] I ricorsi, presentati separatamente (cause C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P), sono stati successivamente riuniti  con ordinanza del presidente della Corte del 9 febbraio 2011, ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza.

[5] Che, nella riorganizzazione dei diversi motivi proposti dalla parti effettuata dalla Corte (par. 59), sono i seguenti: «[i]l primo motivo, sollevato dal Consiglio, verte su un errore di diritto per il mancato riconoscimento al regolamento controverso di un’immunità giurisdizionale. Il secondo motivo, sollevato dalla Commissione, dal Consiglio e dal Regno Unito, verte su errori di diritto relativi al grado di intensità del controllo giurisdizionale definito nella sentenza impugnata. Il terzo motivo, sollevato dai medesimi ricorrenti, si fonda su errori commessi dal Tribunale nell’esame dei motivi di annullamento in virtù dei quali il sig. Kadi ha lamentato dinanzi a quest’ultimo una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nonché una violazione del principio di proporzionalità».

[6] Tra i primi commenti alla sentenza, si vedano: A.Tzanakopoulos, ‘Kadi Showdown: Substantive Review of (UN) Sanctions by the ECJ’, EJIL: Talk!, 2013, http://www.ejiltalk.org/kadi-showdown/, F. Fontanelli, ‘Kadi II, or the happy ending of K’s trial – Court of Justice of the European Union, 18 July 2013’, Diritti comparati, 29 luglio 2013, http://www.diritticomparati.it/2013/07/kadi-ii-or-the-happy-ending-of-ks-trial-court-of-justice-of-the-european-union-18-july-2013.html, e N.N. Shuibhne, ‘Being bound’, European Law Review, 2013 p.435-436.

 

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