Strasburgo condanna l’Italia per la mancante legislazione sulle unioni civili: nuovi scenari nel delicato rapporto tra Corte Europea e istituzioni nazionali? (3/2015)

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This comment deals with the recent ECtHR judgement in the case Oriali and Others v. Italy concerning three homosexual couples who complained the violation of Articles 8,12 and 14 of the ECHR. This judgement is noteworthy for the reasoning used by the Court to reach its conclusions as well as for the impact on the increasing dialogue between national and supranational Courts. After an overview on the status of homosexuals unions at European level, the paper will focus on the jurisprudence of the Italian Courts with particular attention to the decisions of the Supreme Court and the Constitutional Court. Then, it will analyse the content of the Oriali judgment, by emphasising the novelties concerning the interpretation of the doctrine of the margin of appreciation in the light of positive obligations of States. Indeed, the Court has recognised that Italian Government has overstepped its margin of appreciation by failing to provide for the core rights to same-sex couples. Moreover, the Strasbourg Court has strengthened the content of the ECHR passing through the Italian Constitution and national jurisprudence. This choice may represent a step forward in the construction of a dialogue between ECtHR and national legal orders.

1. Introduzione

“Il momento di svolta deve individuarsi nel passaggio dei diritti umani dal piano naturale a quello statuale”, così Zambrano commenta la necessità di prestare maggiore attenzione ai bisogni delle coppie omosessuali garantendo il rispetto del principio di parità di trattamento[1].

In realtà, il panorama europeo è stato da sempre particolarmente aperto a cambiamenti di natura culturale, politica e sociale, anche per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti degli omosessuali e, conseguentemente, delle coppie formate da individui dello stesso sesso. Infatti, istituzioni come il Parlamento Europeo si sono mosse verso tale direzione attraverso, ad esempio, l’adozione di atti normativi ad hoc come la Risoluzione in tema di pari dignità delle coppie omosessuali ed eterosessuali[2]. Tramite questo atto il Parlamento ha suggerito alla Commissione di proporre al Consiglio una direttiva per eliminare gli ostacoli posti dagli Stati membri in materia di matrimoni ed adozioni da parte di coppie omosessuali. Pochi anni dopo, con la Risoluzione datata 16 marzo 2000 è stato chiesto «agli Stati di garantire alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali», e di nuovo «di adeguare le proprie legislazioni per introdurre la convivenza registrata tra persone dello stesso sesso riconoscendo loro pari diritti e doveri previsti dalla convivenza registrata tra uomini e donne”.

Negli ultimi anni, la Corte europea dei diritti dell’uomo con le proprie pronunce ha interpretato e ampliato significantemente le garanzie in tema di diritti familiari contenute nella Convenzione del 1950, andando chiaramente oltre il tradizionale modello di famiglia. Continuando su tale linea, con la sentenza del 21 luglio 2015, nel caso Oliari e altri c. Italia, la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito CEDU) da parte dell’Italia per aver omesso di adottare una legislazione diretta al riconoscimento e alla protezione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Tale pronuncia si inserisce all’interno di un lungo, e non ancora completato, percorso di acquisizione di pari diritti e opportunità per tutti i tipi di coppie e per questo ha suscitato un clamore mediatico senza precedenti, soprattutto in Italia. Essa pone però anche diversi interrogativi quanto al ragionamento effettuato dalla Corte per giungere a tale conclusione, nonché quanto all’impatto della stessa sull’ordinamento italiano e su quello degli altri Stati del Consiglio d’Europa che presentano una situazione analoga. Inoltre, in questa sede risulta ancora più rilevante comprendere l’influenza di tale sentenza nella costruzione di un dialogo tra Corti nazionali e sovranazionali. Nei paragrafi successivi, dopo una breve panoramica a livello europeo sullo status degli omosessuali e delle loro unioni, ci si soffermerà sulla giurisprudenza delle Corti italiane in materia per poi analizzare il contenuto della sentenza della Corte Europea, sottolineandone i punti controversi. Difatti, come sarà indicato, ciò che più colpisce non è tanto che la Corte abbia richiamato l’Italia ad adeguare la propria normativa in tema di unioni omosessuali, quanto più di aver limitato il margine di apprezzamento nazionale e di aver richiamato il governo a rispettare la sua stessa Costituzione nazionale e i pronunciamenti delle Corti interne.

2. Premesse

Nell’ordinamento italiano, il requisito della eterosessualità è stato spesso qualificato alla stregua di un “presupposto indispensabile” del matrimonio. In realtà, nel nostro codice civile gli articoli relativi a diritti e doveri dei coniugi non menzionano esplicitamente la diversità di sesso tra i contraenti, cosicché per giustificare l’esistenza del suddetto presupposto si è fatto più volte ricorso all’argomento letterale. È infatti possibile osservare che in diverse disposizioni del codice civile ci si riferisce al “marito” e alla “moglie” come attori della celebrazione (artt. 107 e 108) e protagonisti del rapporto coniugale (art. 143), con la conseguenza che “per il chiaro tenore delle norme sopra indicate non sia possibile operare un’estensione dell’istituto del matrimonio anche a persone dello stesso sesso”[3]. Accanto poi a questa argomentazione, che è più volte apparsa fragile ai giudici, il ragionamento viene spesso rafforzato richiamando alla consolidata e millenaria tradizione nazionale.

Questa impostazione è però stata messa in discussione dalla circostanza che la nozione di matrimonio è stata estesa a tutti i tipi di coppia da quattordici Stati europei ( da ultimo dall l’Irlanda che lo ha riconosciuto per via referendaria nel maggio scorso). In altri paesi quali Germania, Svizzera, Austria, Croazia e Ungheria esistono poi regimi ad hoc, le cosiddette unioni civili o registered partnership, dove, nella quasi totalità dei casi, gli effetti sono equiparabili al matrimonio. Al contrario, in Italia, così come in Polonia, Grecia, Cipro, Lituania, Romania, Lettonia, Slovacchia e Bulgaria, non è prevista alcuna forma di tutela per le coppie omosessuali. Va poi ricordato che in alcuni Paesi, come la Russia, le persone LGBT affrontano grandi difficoltà, non essendo prevista alcuna legge che si pronunci contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sulla identità di genere, né tanto meno che garantisca un certo livello di protezione legale per le  coppie dello stesso sesso.

Nel corso degli anni, questa disomogeneità ha generato una tale spaccatura nel panorama europeo che lo stesso Consiglio d’Europa ha considerato la lotta alle discriminazioni per l’orientamento sessuale e il riconoscimento delle nuove realtà familiari uno dei suoi obiettivi principali sin dal 1981. Dal canto suo, la Corte di Strasburgo, ha progressivamente costruito una serie di principi intorno alle relazioni omosessuali basati su norme presenti nella CEDU, quali l’articolo 8 sul diritto al rispetto della vita e familiare, l’articolo 14 sul divieto di discriminazione e l’articolo 12 sul diritto al matrimonio.

In primo luogo, riprendendo quanto articolato per la prima volta nel 1976 dalla Commissione europea per i diritti umani e riconosciuto in termini simili da diverse Corti nazionali e internazionali[4], la Corte ha più volte affermato che le persone omosessuali godono del diritto fondamentale di stabilire relazioni con persone dello stesso sesso. Il diritto di instaurare e sviluppare relazioni come “part of the concept of private life”[5] ai sensi dell’articolo 8 è stato progressivamente ed esplicitamente legato alla tematica dell’orientamento omosessuale, ritenendo così illecite la repressione penale dell’omosessualità e qualsiasi altra forma di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali[6]. Sebbene la sfera della vita privata sia stata richiamata più volte, inizialmente la Corte non ha ritenuto possibile includere nella definizione di vita familiare le coppie omosessuali, non riconoscendo l’obbligo per gli Stati di garantire ai partner dello stesso sesso benefici previdenziali o assistenziali.

In questo ambito, il caso Schalk e Kopf c. Austria, deciso il 24 giugno 2010 (n. ric. 30141/04), ha rappresentato un momento di svolta in quanto la Corte si è pronunciata in senso evolutivo in riferimento al contenuto dell’articolo 8. Infatti, la sentenza , tramite un vero e proprio mutamento giurisprudenziale, ha sancito per la prima volta che le relazioni sentimentali e sessuali omosessuali che presentano carattere di stabilità possono essere annoverate tra le formazioni sociali che ricadono sotto il concetto di “vita familiare”. A conferma di ciò, nel paragrafo 94 della sentenza, i giudici hanno affermato che “a cohabiting same-sex couple living in a stable de facto partnership, falls within the notion of “family life”, just as the relationship of a different-sex couple in the same situation would”[7]. Quindi, secondo le indicazioni della Corte, una coppia omosessuale può essere equiparata del tutto ad una coppia eterosessuale ed  può rientrare nella sfera di tutela dell’articolo 14 CEDU.

Tale pronuncia è certamente risultata capace di rispondere alle evoluzioni compiute in materia e, sebbene non abbia riconosciuto una violazione dell’articolo 8, ha rappresentato un ulteriore passo in avanti[8]. Nel medesimo pronunciamento, i giudici hanno poi tentato di andare al cuore del problema del matrimonio chiarendo ulteriormente il contenuto dell’articolo 12 che “non deve essere più limitato in tutte le circostanze al matrimonio tra due persone di sesso opposto”[9]. Tuttavia, il nodo del diritto al matrimonio non è stato finora sciolto in quanto la prima sezione della Corte ha deciso di astenersi dal giudicare incompatibile la normativa nazionale austriaca (il cui codice civile riservava il matrimonio alle sole persone di sesso opposto) con la CEDU. Nonostante infatti i numerosi mutamenti sociali, le legislazioni degli Stati contraenti della Convenzione sono ancora troppo diverse tra loro per consentire l’emersione di uno standard di tutela comune.

La Corte ha dunque utilizzato la dottrina del “margine di apprezzamento”, che com’è noto, pur non essendo citata nel testo della Convenzione, è stata elaborata dalla Corte come strumento di self-restraint giudiziario. In ossequio al principio di sussidiarietà, esso rappresenta infatti una “misura della discrezionalità concessa agli Stati membri di modo che questi possano rendere effettivi gli standard della Convenzione, tenendo in considerazione le proprie circostanze e condizioni nazionali”[10]. In materie sensibili come il diritto di famiglia il margine di discrezionalità degli Stati prevale[11] e per questo dovrebbero essere le Corti nazionali, avvicinandosi maggiormente alla realtà locale, ad interpretare meglio i sentimenti comuni della società e quindi le legislazioni nazionali. Così facendo, nel caso in questione la Corte ha deciso di non imporre il proprio orientamento quanto più di lasciare ai singoli paesi un ampio margine di apprezzamento in materia, vista la sua rilevanza sociale e culturale. Sebbene i giudici di Strasburgo abbiano scelto di non ricorrere a una valutazione netta, la loro decisione è comunque risultata imprevista giacché, da una parte, l’articolo 12 della CEDU accorda in via esclusiva all’uomo e alla donna il diritto di sposarsi e, dall’altra, si era sempre rimandato all’articolo 8 in riferimento al diritto alla vita privata ma non a quella familiare nel valutare la natura delle convivenze tra persone dello stesso sesso.

Adottando tale sentenza, la Corte ha quindi iniziato ad aprire le porte verso una più ampia interpretazione del concetto di “famiglia”, non intaccando la nozione di matrimonio, ma favorendo una progressiva convergenza dei modelli nazionali familiari. Certo, il significato dell’articolo 12 è chiaro, come chiara è l’intenzione di coloro che hanno redatto la Convenzione, ma essa stessa si è dimostrata più volte uno strumento sottoponibile ad evoluzioni e quindi a una reinterpretazione alla luce dei cambiamenti sociali. Proprio alla luce di tali considerazioni, la Corte si è riservata di occuparsi in futuro dei casi relativi allo status delle coppie omosessuali privi di qualunque tipo di regolamentazione[12]. Dopo il caso Vallianatos e altri c. Grecia del 2013, quello di Oliari e altri c. Italia rappresenta un caso particolarmente rilevante al riguardo, ma prima di esaminarlo nel dettaglio occorre effettuare un breve excursus dell’approccio politico e giurisprudenziale italiano in materia.

3. La giurisprudenza italiana in materia di coppie omosessuali

 Sebbene il Parlamento ne stia discutendo proprio in questi giorni, l’Italia, ad oggi, non ha una legge che regolamenti lo status delle coppie omosessuali. Questo perché la realtà italiana è profondamente influenzata dal tradizionale concetto di matrimonio, inteso come unione religiosa e civile fondata sull’eterosessualità dei coniugi. Tuttavia, nel corso del tempo si sono andate affermando altre due posizioni che vorrebbero garantire tutela anche alle coppie omosessuali.

La prima impostazione rigetta nettamente il paradigma basato sull’eterosessualità e sulla potenzialità procreativa della famiglia. L’idea centrale è quella di rimuovere la procreazione come fine ultimo, permettendo così di considerare una coppia formata da due uomini o due donne come una famiglia meritevole di riconoscimento e tutela.

La seconda proposta prevede, invece, che non sia obbligatorio estendere l’istituto del matrimonio anche alle coppie omosessuali ma che possa coesistere una differenziazione tutelata dalla Costituzione italiana. Infatti, nel giustificare tale posizione vengono spesso citati gli articoli 2 e 3 che rispettivamente sanciscono  il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali in cui esercita la sua personalità, e il principio di eguaglianza  formale e sostanziale.

Nonostante il dibattito  duri ormai da molti anni, il mondo politico italiano non ha ancora fornito una risposta alle plurime istanze che invocavano una disciplina sulle unioni omosessuali. Tale inerzia è stata giustificata con motivazioni di carattere morale e sociale che, tuttavia, male si motivano in una società in continua evoluzione. Di conseguenza di tale aspettativa è stata investita la dimensione giurisdizionale, chiamata a pronunciarsi ad ogni livello, sino a quello più elevato della giurisdizione di garanzia costituzionale.

Negli ultimi cinque anni, con una serie di pronunce la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione hanno riconosciuto espressamente la dignità costituzionale delle unioni omosessuali in qualità di “formazioni sociali” in base all’articolo 2 della Costituzione. La Corte Costituzionale ha affermato che la persona omosessuale gode “del diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”[13]. I giudici hanno così riconosciuto il diritto per gli omosessuali di vivere liberamente la propria condizione e la propria vita, senza discriminazioni e con la garanzia di una tutela posta dallo Stato. Alla luce di questo hanno richiamato il legislatore ad assumersi le proprie responsabilità e ad adoperarsi per adottare una solida disciplina in materia. D’altro canto, è stata negata la possibilità di applicare in via analogica il regime matrimoniale alle coppie del medesimo sesso. Infatti, secondo la sentenza n. 138/2010 il matrimonio incorpora il paradigma eterosessuale in quanto ha assunto e fatto proprio il riferimento del codice civile ad una tradizione che solo il legislatore potrebbe modificare. In questo modo il concetto di matrimonio è stato cristallizzato[14].

Nella sentenza 4185/2012, la Corte di Cassazione ha sancito con forza che il rispetto alla vita familiare deve essere considerato come un diritto fondamentale e universale a prescindere dallo status di coniuge o meno e della diversità o uguaglianza di sesso. Ancora più rilevante è il superamento dell’eterosessualità come elemento caratterizzante del matrimonio: la Cassazione infatti ha deciso di non permettere la trascrizione dell’atto del matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso all’interno dei registri civili italiani, non perché privo di uno dei requisiti minimi previsti, quanto più perché “inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”, poiché non esiste una legge che riconosca tale tipo di unione. In questo modo, la Corte ha riconosciuto che la diversità di sesso non è più “indispensabile” per contrarre matrimonio.

La recente pronuncia 2400/2015 della Corte di Cassazione se, da un lato, ha palesato l’ennesimo rifiuto dei giudici nazionali di riconoscere le unioni omosessuali, dall’altro ha rappresentato un importante passo nella costruzione giurisprudenziale volta all’accoglimento nell’ordinamento italiano di una species di matrimonio tra persone di uguale sesso. La Cassazione ha infatti affermato che “nel nostro sistema giuridico il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti poiché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Può, tuttavia, acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello relativo al matrimonio in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione”[15]. Così facendo, pur richiamando al margine di apprezzamento dello Stato nella scelta delle forme e della disciplina giuridica dell’unione matrimoniale, la stessa Cassazione ha riconosciuto la necessità di un tempestivo intervento legislativo.

Accanto alla sempre più intesa attività delle Corti superiori, anche i giudici comuni si sono dimostrati decisamente aperti rispetto a tali tematiche, arrivando a ordinare la trascrizione di un matrimonio same-sex contratto a New York[16], a garantire il risarcimento da perdita del partner dello stesso sesso[17] e infine a riconoscere il diritto di soggiorno allo straniero coniugato con un cittadino italiano dello stesso sesso[18].

Nonostante tale attivismo e malgrado da trent’anni si presentino d.d.l. in materia, persiste ancora questo vuoto normativo che il legislatore italiano avrebbe dovuto colmare. La lacuna ha determinato la condanna del nostro paese nel caso che analizzeremo di seguito.

4. La sentenza Oriali e altri c. Italia 

La pronuncia della quarta sezione della Corte europea trae origine da due ricorsi riuniti (n. 18766/11 e 36030/11), presentati da tre coppie di persone dello stesso sesso, i signori Oliari e A., Felicetti e Zappa, Zaccheo e Perelli Cippo, che lamentavano il respingimento ex articolo 98 cc delle istanze rivolte all’ufficiale di stato civile per la compilazione dei moduli per le pubblicazioni di matrimonio. I signori Oliari e A. (quest’ultimo rimasto anonimo) avevano impugnato presso il Tribunale di Trento, senza successo, il diniego opposto dall’ufficiale dello stato civile di procedere con le pubblicazioni. Nell’ambito del giudizio di appello successivamente instaurato, era stato anche sollevata una questione di legittimità costituzionale dichiarata però infondata nella già citata sentenza 138/2010. Allo stesso modo, la seconda coppia convivente aveva richiesto all’ufficiale di stato civile di procedere alle pubblicazioni, ma al rifiuto non avevano attivato alcuna azione per opporsi al diniego, decidendo invece di inviare una richiesta al Presidente della Repubblica affinché fosse promulgata una legge che riconoscesse le unioni civili. La medesima istanza era stata presentata dai signori Zaccheo e Perelli Cippo, i quali avevano poi impugnato il diniego dell’ufficiale di stato civile solo in primo grado, senza però ricorrere in appello. Le tre coppie si sono dunque rivolte alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione degli articoli 8, 12 e 14 della CEDU con il sostegno di diverse associazioni tra cui la Fédération Internationale des ligues de Droit de l’Homme (FIDH), l’Advice on Individual Rights in Europe (AIRE Centre), l’European Region of the International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA-Europe), l’European Commission on Sexual Orientation Law (ECSOL), l’Unione forense per la tutela dei diritti umani (UFTDU), la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU) e, congiuntamente, l’Associazione Radicale Certi Diritti e l’European Centre for Law and Justice (ECLJ)[19].

4.1 Obiezioni preliminari

In via preliminare, il Governo italiano ha presentato una serie di obiezioni riguardanti da una parte la qualifica di “vittime” dei ricorrenti, affermando che queste non avessero subito alcun danno specifico, e dall’altra il requisito del previo esaurimento dei ricorsi interni, in quanto i ricorrenti si erano rivolti a Strasburgo senza passare per la Cassazione[20]. Per quanto concerne questo ultimo punto, è interessante notare l’elevato grado di discrezionalità dimostrato dai giudici di Strasburgo che, grazie ad un’ampia interpretazione del concetto di ricorso “effettivo”, hanno rigettato le istanze del governo. La Corte ha ritenuto infatti che tale requisito non potesse essere applicato nel caso concreto in quanto l’eventuale azione intentata presso le autorità italiane non sarebbe stata assimilabile ad un “ricorso effettivo” tale da consentire agli stessi di ottenere la riparazione del pregiudizio subito. Nel caso di specie, “esisteva una giurisprudenza consolidata delle più alte corti nazionali che indicava che le doglianze dei ricorrenti, consistenti nella richiesta di contrarre matrimonio, non avrebbero avuto alcuna possibilità di successo”[21]. Infine, per quanto riguarda i termini temporali del ricorso, il Governo italiano ha sostenuto che i ricorrenti avevano depositato il proprio ricorso solo un anno dopo le sentenze impugnate e non entro i sei mesi previsti dall’articolo 35§1 della CEDU. La Corte, tuttavia, ha considerato che, trattandosi di una continuing situation, , sussistesse una violazione continua e, dunque, il termine di sei mesi non potesse considerarsi decorso[22].

4.2. La Corte nel merito: misure esistenti in Italia e loro limiti

Nel merito, la Corte ha richiamato la giurisprudenza precedente concentrandosi sull’analisi dell’articolo 8 CEDU e ricordando che tale norma, diretta a proteggere gli individui dalle ingerenze arbitrarie dello Stato nella loro vita privata e familiare, in talune circostanze può imporre a quest’ultimo l’adozione di misure positive per assicurare il rispetto effettivo dei diritti da essa tutelati[23].

La Corte effettivamente ha preso atto dell’esistenza, nel diritto italiano, dei contratti di convivenza e dei registri delle unioni civili, ma ha ritenuto che tali strumenti non siano sufficienti a garantire un riconoscimento e una protezione effettivi alle coppie dello stesso sesso. In primo luogo, i contratti di convivenza, pur disciplinando alcuni aspetti della convivenza, “fail to provide for some basic needs which are fundamental to the regulation of a relationship between a couple in a stable and committed relationship, such as inter alia, mutual rights and obligations they have towards each other, including moral and material support, maintenance obligations and inheritance rights”[24].Inoltre, come già ricordato nel caso Vallianatos[25], la convivenza non è elemento caratterizzante di un’unione o di un matrimonio, visto che in taluni casi i coniugi o i partner non risiedono nella medesima abitazione. Con riferimento poi ai registri delle unioni civili, che esistono peraltro solo nel 2% dei comuni, la Corte ha ritenuto che il loro carattere simbolico non sia sufficiente a consentire protezione e riconoscimento giuridico e sociale alle coppie dello stesso sesso. Inoltre, la Corte ha sottolineato che, da una parte, non è possibile ottenere un riconoscimento delle unioni per via giudiziale e, dall’altra, secondo quanto riportato dall’Associazione Radicale Certi Diritti, risulta che solo in casi limitati la legge riconosce diritti ed bisogni delle coppie di persone same sex. In questo modo, sono costretti a rivolgersi frequentemente alle autorità giudiziarie e amministrative, in una situazione di totale incertezza e senza sicuro successo. È parso dunque chiaro ai giudici di Strasburgo che tali strumenti non sono in grado di supplire al necessario quadro giuridico ad hoc richiesto all’Italia.

4.3 La Corte nel merito: il margine di apprezzamento dello Stato

Un’ulteriore questione su cui la Corte ha deciso di soffermarsi e che interessa ancora più direttamente la nostra analisi è quella relativa alla portata del margine di apprezzamento dello Stato, che di norma risulta più ampio laddove gli interessi in gioco sollevino questioni di particolare sensibilità morale o etica. Pur consapevoli di questo, i giudici hanno ridimensionato tale principio alla luce del caso concreto attraverso due tecniche argomentative.

In primo luogo, non potendo rilevare la violazione di certain specific supplementary rights, hanno sostenuto che, a differenza delle situazioni precedenti, il caso di specie riguardasse “the general need for legal recognition and the core protection of the applicants as same-sex couple”. Tradizionalmente, le modalità di tutela del diritto sancito dall’articolo 8 sono state rinviate a scelte discrezionali dello Stato, ma questa volta la Corte ha modificato l’interpretazione, condannando lo Stato non per una palese e specifica violazione del diritto alla vita privata e familiare ma per non aver creato le basi per il godimento di questo diritto. Si tratta dunque di una chiara violazione di un obbligo positivo da parte dello Stato italiano.

In secondo luogo, la Corte ha svolto un ragionamento stringente sulla situazione italiana, precisando che il margine di apprezzamento può essere fatto valere dallo Stato solo in presenza di un corretto bilanciamento tra gli interessi dei ricorrenti e quelli della società nel suo complesso. Tuttavia, nel caso in questione, l’Italia ha omesso/trascurato di operare il di bilanciamento tra gli interessi in gioco, ignorando le indicazioni provenienti dalla comunità nazionale[26] e violando l’obbligo di affidamento e buona fede nei confronti dei propri cittadini. In particolare, continua la Corte, il fatto che siano state lasciate cadere le “repetitive calls by the highest courts”non può essere spiegato in termini di interesse pubblico o di interessi della comunità nel suo complesso, anche perché ciò tende a minare l’effettività e la credibilità del potere giudiziario. Infine, essa ha aggiunto che “to find otherwise today, the Court would have to be unwilling to take note of the changing conditions in Italy and be reluctant to apply the Convention in a way which is practical and effective”[27]. Proponendo tale soluzione, la Corte Europea ha legato l’applicazione della dottrina del margine di apprezzamento e conseguentemente la libertà dello Stato di legiferare in materia alla presenza di due elementi finora taciuti: il grado di accettazione espresso dalla società nazionale e accertatoin base a indagini statistiche ufficiali) e i ripetuti richiami della giurisprudenza interna di livello superiore. La Corte ha dunque basato le proprie motivazioni sulla giurisprudenza e sulla realtà sociale italiana e non sull’esistenza di un trend favorevole tra gli Stati del Consiglio d’Europa per l’introduzione di forme di riconoscimento giuridico delle coppie same-sex s.

Infine, la Corte di Strasburgo ha in sostanza differenziato il margine di apprezzamento di cui lo Stato gode nel legiferare, rispettivamente, in tema di matrimonio, unioni civili e riconoscimento e protezione delle coppie dello stesso sesso. Questa duplice posizione della Corte risulta però poco lineare e coerente. Essa afferma, da un lato, che  la materia delle unioni civili è legata a questioni sensibili e morali che giustificherebbero il riconoscimento di un ampio margine di apprezzamento e, dall’altro,che la previsione legislativa dell’unione stessa attenga ad una “core protection” che richiede una limitazione del margine.

4.4 Violazioni accertate e risarcimento delle vittime

In linea con le suddette ragioni, la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione di un obbligo positivo derivante dall’articolo 8 CEDU, senza però riconoscere quella dell’articolo 14. L’Italia dovrà dunque implementare misure generali o individuali appropriate ai sensi dell’articolo 46 della CEDU “to fulfil its obligations to secure the right of the applicants and other persons in their position to respect for their private and family life ”[28].

Con riferimento poi all’articolo 12 CEDU, il giudizio della Corte è stato, invece, maggiormente rispettoso del margine di apprezzamento dello Stato, in coerenza con la propria giurisprudenza ed in particolare con la citata sentenza Schalk and Kopf. A questo proposito, la Corte ha ricordato che l’articolo 12 CEDU non deve più essere interpretato come limitato al matrimonio tra persone di sesso opposto. Tuttavia, non essendoci un consenso sul punto, la questione sul come dare garanzia alle coppie dello stesso sesso è rimessa alla valutazione degli Stati. La Corte ha, quindi, dichiarato irricevibile il ricorso con riferimento alla violazione dell’articolo 12 CEDU, autonomamente o in combinato disposto con l’articolo 14 CEDU. Infine, la Corte ha riconosciuto un risarcimento di € 5.000,00 ad ogni ricorrente, per i danni non patrimoniali sofferti, oltre alle spese legali, quantificate complessivamente in € 4.000,00 per Oliari/A. e Felicetti/Perelli Cippo e in € 10.000,00 per i ricorrenti Zaccheo/Zappa.

5. Osservazioni conclusive

I giudici di Strasburgo sono stati certamente ispirati della recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che il 26 giugno scorso nel caso Obergefell v. Hodges ha legalizzato e reso costituzionalmente fondato il same sex marriage, in quanto declinazione della più ampia nozione di libertà intesa come realizzazione della persona sia a livello privato che sociale. In merito, è interessante riportare che ultimamente negli Stati Uniti è emerso un dibattito molto inteso sul rapporto tra Corti nazionali e governo, e in particolare su quale istituzione debba avere il diritto di istituire nuovi diritti. La questione può risultare ancora più complessa nel caso in cui la Corte che si pronuncia non sia nazionale ma sovranazionale. Infatti, l’aspetto più rilevante della sentenza in esame non sono le conclusioni a cui la Corte è giunta, ma piuttosto gli argomenti valorizzati per raggiungerle. Tale pronunciamento risulta considerevole sotto altri profili, ovvero quello relativo all’interpretazione restrittiva della dottrina del margine di apprezzamento dello Stato e a un interessante evoluzione del rapporto tra Corti nazionali e Corte EDU.

L’approccio adottato dalla Corte potrebbe però essere motivato da una posizione più attenta alle peculiarità nazionali, che l’ha condotta a dare un’impostazione categorica, lasciando però spazio allo Stato di definire i dettagli del regime giuridico applicabile in accordo con la sensibilità interna. In effetti, per molto tempo il judicial activism della Corte è stato sottoposto a critiche, soprattutto da parte di coloro che ritenevano che il metodo case-by-case adottato da Strasburgo mancasse di un dialogo tra Corte e Stati e che, addirittura, la Corte di Strasburgo non si impegnasse in una conversazione costruttiva con le controparti nazionali[29]. Queste valutazioni emergevano perché le decisioni della Corte europea erano percepite come obblighi imposti dall’alto senza possibilità di replica, soprattutto in materie strettamente connesse alle tradizioni, alla storia ed alla cultura di ciascun paese. Infatti, come più volte sostenuto da taluni giudici nazionali, “a livello astratto, i diritti umani possono essere universali, ma a livello applicativo, i problemi concreti e i diritti umani che queste astrazioni hanno generato sono nazionali”[30]. Vista dunque l’astrattezza di cui è stata accusata, negli ultimi anni la Corte ha progressivamente modificato la sua giurisprudenza per integrarsi più saldamente negli ordinamenti giuridici e politici statali. Nel fare questo, essa ha notevolmente ampliato i suoi remedial powers nei confronti dei governi, richiedendo loro di fornire specifiche forme di protezione in caso di violazioni sistematiche in base alla realtà nazionale di ciascuno Stato.

La sentenza Oriali dimostra che i giudici di Strasburgo si stanno sempre più impegnando in questo dialogo costruttivo con gli ordinamenti nazionali, cercando di far percepire il proprio lavoro come più vicino alle istanze di ciascuno Stato. La Corte di Strasburgo ha infatti rafforzato il contenuto della CEDU passando attraverso la nostra Carta fondamentale e la giurisprudenza costituzionale, parlando quindi come una Corte interna più che come una Corte sovranazionale. Questo può rappresentare certamente un aspetto positivo del suo operato, ma dall’altra parte bisogna chiederci se tale impostazione non sia motivata da unulteriore elemento. Alcuni infatti ritengono che la dottrina del margine di apprezzamento possa effettivamente compromettere il ruolo della Corte come custode dei diritti umani visto che generalmente lascia alle autorità nazionali il compito di fornire i rimedi. Essa dunque potrebbe restare inascoltata dal momento che i casi più gravi di violazione sorgono perché sono in gioco i diritti di alcune categorie che difficilmente possono contare su un rimedio chiaro ed effettivo. È dunque probabile che i giudici di Strasburgo abbiano deciso di ancorare la propria posizione alla giurisprudenza e all’opinione pubblica italiana anche per garantirsi un certo margine di successo nella tutela dei diritti di un categoria altamente discriminata come quella degli omosessuali. Premesso questo, lo Stato italiano dovrà ora fare i conti con la sentenza di Strasburgo e in linea di principio lo Stato potrebbe presentare una richiesta di rinvio alla Grande Camera ai sensi dell’art. 43 CEDU, rivendicando il proprio margine di apprezzamento su una questione così delicata. Tuttavia, per motivi di carattere puramente politico, sembra improbabile che il governo italiano decida di porsi palesemente contro una tale decisione che, grazie all’ancoraggio alla realtà nazionale, si è assicurata un elevato livello di credibilità.

Un’ultima valutazione può riguardare direttamente il rapporto tra Corti nazionali e Corte di Strasburgo. Alla luce del forte attivismo della Corte EDU, potrebbe infatti emergere una certa competizione con le Corti superiori a livello nazionale. Anche se non sottolineato da molti, pare interessante mettere in risalto che in tale pronunciamento la Corte ha determinato un’interpretazione particolarmente estensiva del concetto di “rimedio effettivo”, dando così la possibilità alle coppie Felicetti/Perelli Cippo e Zaccheo/Zappa di ricorrervi, pur non avendo esaurito tutti i ricorsi interni disponibili. Giustamente la motivazione addotta è stata che non sarebbe stato comunque possibile sperare in un successo, vista la mancanza di una legislazione interna in materia.

Una considerazione sorge però spontanea. Attualmente, stiamo assistendo a una fase in cui agli Stati non è richiesto di tutelare solo diritti supplementari a quelli già esistenti, ma di creare un sistema di protezione di alcuni core rights nascenti. È dunque evidente che, qualora a livello interno non esistesse un quadro giuridico di tutela, le Corti nazionali poco potrebbero fare per garantire il rispetto dei diritti. Come sottolineato infatti dal giudice Mahoney nella sua concurring opinion alla sentenza, in caso di lacuna normativa, la Corte Costituzionale può affermare l’esistenza di un dovere costituzionale e sollecitare il Parlamento ad adottare la necessaria azione legislativa, senza necessariamente raggiungere il risultato sperato[31]. In questi casi la Corte EDU diventerebbe l’unico organo ad avere gli strumenti necessari per imporre allo Stato di conformarsi a obblighi di carattere positivo, potendo peraltro prevedere delle sanzioni pecuniarie a suo carico.

In tale contesto, sembra dunque che, nonostante la Corte di Strasburgo operi in base al principio di sussidiarietà, essa stia progressivamente assolvendo un ruolo di grande rilievo non solo nel panorama europeo ma anche a livello nazionale, andando a integrare in modo sempre più significativo gli ordinamenti giuridici dei singoli Stati e divenendo un giudice di “ultima istanza”. Nel caso Oriali le Corti hanno adottato la medesima prospettiva giuridica, ma potrebbe non essere sempre così. Resta dunque da capire se, alla luce dei cambiamenti futuri, le Corti nazionali che da sempre sono state garanti dei diritti a livello nazionale entreranno in competizione con la Corte EDU o se il rapporto tra queste migliorerà sensibilmente, mettendo al primo posto gli interessi e diritti dei singoli. 

 


[1] Cfr. V. ZAMBRANO, La famiglia e l’insostenibile leggerezza dell’essere. Un itinerario tra diritto privato e Chaos naturale delle relazioni umane, in G. Cerrina Feroni e T.E. Frosini (a cura di), La tutela della famiglia nelle democrazie contemporanee: tra pluralismo dei modelli e multiculturalismo, Sezione monografica in Dir. pubbl. comp. eur., Vol. II, 2010, p. 399.

[2] Risoluzione sulla parità dei diritti degli omosessuali nella comunità, 8 febbraio 1994, (A3-0028/94). Il Parlamento europeo ha affrontato il tema della convivenza omosessuale anche con le risoluzioni dell’8 aprile 1997 (“Rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione europea”) e del 17 settembre 1997 (“Parità di diritti degli omosessuali nell’Unione europea”). 

[3] Trib. Venezia, Ord. 177, 3.04.2009 su giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

[4] Si veda per esempio, la Corte Suprema americana nel caso Roberts v. United States Jaycees (1984), la Corte Europea dei diritti umani in Niemietz c. Germania (1994), la Corte Costituzionale sudafricana in National Coalition for Gay and Lesbian Equality v. Minister of Justice (1999) e la Corte interamericana dei diritti umani Fernández Ortega c. Messico (2002).

[5] Corte e.d.u., Beldjoudi c. Francia, Concurring Opinion of Judge Martens, 26 marzo 1992.

[6] Nella sentenza Dudgeon del 1981, prendendo in esame le norme penali che in Gran Bretagna punivano i rapporti omosessuali, la Corte europea affermò che il turbamento che gli atti omosessuali possono provocare a taluno non è in grado di legittimare una incriminazione che violerebbe il diritto alla vita privata, garantito dall’art. 8 CEDU, Corte e.d.u.,, 22 ottobre 1981, Dudgeon c. Regno Unito, in Foro italiano, 1982. Si veda, K. WAALDJIK, The right to relate: a lecture on the importance of ‘orientation’ in comparative sexual orientation law, in Duke J. Comp. & Int’l L., Vol. 24, 2013, pp. 161 e ss.

[7] Corte e.d.u., Schalk e Kopf c. Austria, 24 giugno2010, § 94. Inoltre, C. RAGNI, La tutela delle coppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani: il caso Schalk e Kopf, in Dir. um. dir. int., 2010, p. 639 ss.

[8] La violazione del diritto alla vita familiare di una coppia omosessuale è stata per la prima volta riconosciuta nella sentenza P. B. e J. S. c. Austria, 22 luglio 2010, n. 18984/02. 

[9] Corte e.d.u., Schalk e Kopf c. Austria, §61.

[10] Cfr. Y. ARAI-TAKAHASHI, The defensibility of the margin of appreciation doctrine in the ECHR: value-pluralism in the European integration, in Revue Européenne de Droit public (REDP), 2001, p. 1162 e ss. 

[11] Cfr. E. CRIVELLI, Il matrimonio e le coppie omosessuali, in M. Cartabia (a cura di), Dieci casi sui diritti in Europa, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 64. 

[12] Corte e.d.u., Schalk e Kopf c. Austria, § 103.

[13] C. Cost., 14.04.2010, n. 138, Considerato in diritto, § 8.

[14] Cfr. G. BRUNELLI, Le unioni omosessuali nella sentenza n. 138/2010: un riconoscimento senza garanzia?, in B. Pezzini e A.Lorenzetti (a cura di), Unioni e matrimoni same-sex dopo la sentenza n. 138 del 2010: quali prospettive?, Napoli, Jovene, 2011, 144 ss. e 152 ss; R. ROMBOLI, La sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale sul matrimonio tra omosessuali e le sue interpretazioni, Relazione al Convegno su “La pronuncia della Corte costituzionale sui matrimoni same sex: quali effetti, quali prospettive?”, Bergamo, 4 febbraio 2011.

[15] Cass.., sez. I, 9.02.2015, n. 2400.

[16] Trib. Grosseto, 03.04.2014 e 25.03.2015. Entrambe le ordinanze sono state però annullate in appello in virtù della pronuncia della Corte Costituzionale. Per approfondimenti si veda, E. BERGAMINI, Riconoscimento ed effetti in Italia di un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero: la recente evoluzione della giurisprudenza italiana, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2012, pp. 461-474.

[17] App. Milano, 20.11.2012, n. 6836.

[18] Trib. Verona, 5.12.2014, RG. n. 2480/2014, Trib. Pescara, 15.01.2013, Trib. Reggio Emilia, 9/13.02.2012.

[19] In sede di contraddittorio, il Governo italiano ha eccepito la tardività del deposito delle osservazioni di FIDH, AIRE Centre, ILGA-Europe, ECSOL, UFTDU e UDU, essendo state presentate dopo la scadenza del termine assegnato. Tuttavia, la Corte ha deciso di ammetterle, nonostante il decorso di detto termine (cfr. § 7 della sentenza).

[20] In merito, il Governo aveva affermato che “se i ricorrenti avessero portato le poro doglianze dinanzi ai giudici nazionali, ne avrebbero almeno ottenuto un riconoscimento giuridico delle loro unioni”, § 74.

[21] Corte e.d.u., Oriali e altri c. Italia, 21 luglio 2015, §81.

[22] Ibid., § 97.

[23] Ibid., §159.

[24] Ibid., § 169.

[25] Corte e.d.u., Vallianatos e altri c. Grecia, § 73.

[26] La Corte ha fatto riferimento alle sentenze 138/2010 della Corte Costituzionale e la 2400/15 della Corte di Cassazione. Inoltre, ha analizzato approfonditamente i dati statistici forniti dall’ISTAT e dall’interveniente Associazione Radicale Certi Diritti, che illustrano una società che da una parte è ancora succube di una mentalità discriminatoria ma che dall’altra è pronta a superarla. Se infatti il 40% dei gay intervistati dichiara di averla subita, il 66% degli italiani sostiene che è possibile amare sia una persona di sesso opposto o dello stesso sesso perché ciò che importa è l’amore. Si veda, Corte e.d.u., Oriali e altri c. Italia, § 144; 173-174. 

[27] Corte e.d.u., Oriali e altri c. Italia, §186.

[28] Ibid., §200.

[29] Cfr. R. SPANO, Universality or Diversity of Human Rights? Strasbourg in the Age of Subsidiarity, in Human Rights Law, Vol. 14, n. 3, 2014, pp. 487-502.

[30] Cfr. R. SPANO, The European Court of Human Rights And National Courts: A Constructive Conversation or A Dialogue of Disrespect?, in The Torkel Opsahl Memorial Lecture 2014 Norwegian Center for Human Rights, Domus Media Vest, 28 Novembre 2014, p. 3, § 10.

[31] Corte e.d.u., Oriali e altri c. Italia, Concurring opinion of Judge Mahoney Joined by Judges Tsotsoria and Vehabović, § 3.