Segnalazioni (1/2015)

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Scheda n. 1

Gli statuti degli enti locali nel sistema delle fonti.

Cass. civ., sez. lavoro, 21.01.2015, n. 1028

Il Comune ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 110 da parte della sentenza impugnata per avere ritenuto che la norma consentisse di instaurare con il M. validi rapporti contrattuali a tempo determinato sulla scorta di una mera previsione regolamentare.

L'art. 110 TUEL sotto la rubrica "Incarichi a contratto", nella parte che qui interessa stabilisce:

"Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente e con deliberazione motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire".

 

"Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti, il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell'ente, o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità".

Dal tenore letterale delle disposizioni contenute nei due commi citati risulta che esse prevedono due fattispecie di "incarichi a contratto" che possono essere conferiti dall'ente locale e che hanno in comune il solo fatto di essere a tempo determinato.

In particolare, l'art. 110, comma 1 prevede una ipotesi di copertura di posti "di ruolo" di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione.

Il comma 2, invece, consente la stipulazione di contratti a tempo determinato per tali figure professionali, espressamente, "al di fuori della dotazione organica".

La disciplina contenuta nel comma 2 risulta, dunque, riferibile ad una fattispecie diversa da quella regolata dal comma precedente, volta a sopperire ad esigenze gestionali straordinarie che giustifichino la necessità di affidare temporaneamente funzioni, anche dirigenziali, oltre le previsioni della pianta organica che determinano il fabbisogno ordinario di risorse umane.

Alla diversità di presupposti - posto in pianta organica o al di fuori di essa - corrisponde una diversità di profili disciplinatori, quali l'imposizione di una percentuale massima prevista per legge o l'assenza di professionalità presenti all'interno dell'ente, in relazione agli incarichi extra dotationem.

Per espressa disposizione di legge, poi, deve essere lo "statuto" a prevedere la copertura dei posti in pianta organica con contratti a tempo determinato.

Essendo incontroverso nel giudizio che ci occupa che il M., con il contratto del 1 novembre 2003, è stato assunto con funzioni di responsabile di servizi per "un posto previsto nella vigente dotazione organica" (come ribadito dal medesimo sia nel controricorso sia nella memoria ex art. 378 c.p.c.), ha errato la Corte territoriale a ritenere sufficiente ai fini della instaurazione di un valido contratto a termine la previsione del regolamento del Comune di Raddusa.

Né la previsione regolamentare può considerarsi equipollente a quella dello statuto comunale, che è atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare (v. sul punto Cass. 2004 n. 16984; conforme: Cass. n. 12270 del 2010).

Al riguardo è stato osservato che, se è certamente vero che l'esercizio della potestà regolamentare costituisce anch'esso espressione della autonomia dell'ente locale, in quanto attua la capacità dell'ente di porre autonomamente le regole della propria organizzazione e del funzionamento delle istituzioni, degli organi, degli uffici e degli organismi di partecipazione, ed ha trovato anch'esso riconoscimento costituzionale nel nuovo testo dell'art. 117 Cost., è tuttavia altrettanto vero che la disciplina delle materie che l'art. 7 del testo unico delle autonomie locali affida al regolamento deve avvenire nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto: ciò vale a dire che il potere di autorganizzazione attraverso lo strumento regolamentare deve svolgersi all'interno delle previsioni legislative e statutarie, così ponendosi un rapporto di subordinazione, pur se non disgiunto da un criterio di separazione delle competenze, tra statuto e regolamento (Cass. SS.UU. n. 12868 del 2005).


Scheda n. 2

Statuto e rappresentanza processuale dell’ente.

Cass. civ., sez. I, 12.12.2004, n. 26220

È conforme a diritto la decisione della corte territoriale che ha escluso l'incapacità della Provincia di stare in giudizio, stante la valida delibera autorizzativa della Giunta che era stata attuata dal Presidente della Provincia cui apparteneva il potere di rappresentanza in giudizio dell'ente, tenuto conto che lo statuto non affidava il potere di agire o resistere in giudizio ai dirigenti ai quali spettava solo l'espressione di un parere al riguardo (che era stato dato).

Questa Corte, a sezioni unite (n. 12868/2005), ha enunciato il principio secondo cui, nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio degli enti locali, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta (comunale o provinciale) non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio (testo unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ex art. 6, comma 2) - di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia); ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata, l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza. Nella specie, i giudici del merito hanno accertato l'insussistenza di una previsione statutaria in tal senso che sia tale da condizionare la legittimazione processuale dell'ente alla preventiva determinazione del dirigente amministrativo sulla opportunità di resistere in giudizio. Da tale accertamento di fatto - non specificamente censurato in questa sede - non può prescindersi, nè il potere del dirigente di rappresentare l'ente pubblico in giudizio ovvero di esprimere un parere vincolante sulla opportunità di promuovere o di resistere in una lite può essere ricavata dalla previsione normativa di carattere generale (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107) sulle funzioni di direzione degli uffici spettanti ai dirigenti, il cui potere di adottare atti di gestione ed attuazione degli obiettivi definiti con gli indirizzi dell'organo politico va coordinato con le competenze del Sindaco e del Presidente della Provincia, organi responsabili dell'amministrazione e titolari del potere rappresentativo (v. D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, commi 1 - 3, art. 54 e art. 107, comma 5). Inoltre, se è vero che l'autorizzazione alla lite da parte della Giunta non costituisce più atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, ciò non significa che tale autorizzazione, laddove comunque esistente (come nella specie), sia causa di invalidità della procura rilasciata dal Presidente della Provincia, il quale, mancando una specifica previsione statutaria che affidi ai dirigenti la rappresentanza a stare in giudizio, conserva l'esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale dell'ente (v. Cass. n. 7402/2014).


Scheda n. 3

Statuto comunale e principio iura novit curia

Cass. civ., sez. lavoro, 20.01.2015, n. 849

La Corte ha, in più occasioni, ritenuto che in relazione ai regolamenti locali il problema della scienza ufficiale del giudice si ponga negli stessi termini di quello della conoscenza delle norme di legge vigenti, così che il giudice, compreso quello di legittimità, deve acquisirne diretta e completa conoscenza, indipendentemente da una attività assertiva e probatoria delle parti (v. in tal senso Cass. n. 2135 del 1975; Cass. n. 777 del 1987; Cass. n. 11095 del 1992; Cass. n. 4372 del 2002; Cass. n. 12561 del 2002;Cass. n. 6012 del 2003; Cass. n. 6837 del 2003).

Secondo le Sezioni unite (sent. n. 12868 del 2005) "ad una siffatta soluzione deve a più forte ragione pervenirsi con riferimento agli statuti comunali, tenuto conto della loro richiamata natura di atti a contenuto normativo, di rango certamente superiore a quello dei regolamenti, e considerata anche la triplice forma di pubblicità cui essi sono soggetti: a livello locale, con l'affissione all'albo pretorio per trenta giorni consecutivi, a livello regionale, con la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, a livello nazionale, con l'inserzione nella raccolta ufficiale degli statuti curata dal Ministero dell'Interno, che ne cura anche adeguate forme di ulteriore pubblicità (art. 6, commi 5 e 6 del testo unico). Né può omettersi di considerare che un immediato e agevole strumento di conoscenza, accessibile da ogni cittadino, è fornito dal loro inserimento in rete. Va pertanto affermato che la conoscenza dello statuto appartiene alla scienza ufficiale del giudice, tenuto a disporne l'acquisizione anche di ufficio".

Di talchè "la definizione dello statuto quale atto a contenuto normativo ... soggetto al principio iura novit curia di cui all'art. 113 c.p.c." (ancora Cass. SS.UU. n. 12868/2005 cit.) esclude che per esso, come per ogni norma di legge, operino le condizioni di ammissibilità e di procedibilità di cui all'art. 366, comma 1, n. 6 e dell'art. 369, comma 2, n. 4.


Scheda n. 4

Mancanza del previo parere del Consiglio circoscrizionale previsto dallo statuto.

Sent. TAR Lazio, Latina, 10.02.2015, n. 120

È fondata la doglianza di illegittimità degli atti impugnati (in specie della deliberazione consiliare n. 2/2009) per la mancata acquisizione del parere del Consiglio circoscrizionale previsto dall’art. 49, comma 2, lett. b), dello Statuto del Comune di Frosinone, nonché dall’art. 13, comma 2, lett. b), del Regolamento per il funzionamento delle Circoscrizioni, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Frosinone n. 26 del 28 marzo 2002.

In proposito si evidenzia come la Sezione abbia già dichiarato in fattispecie analoga, avente ad oggetto anch’essa il Comune di Frosinone, l’illegittimità delle deliberazioni adottate senza la previa acquisizione di tale parere, ove previsto dalle norme statutarie e/o del richiamato regolamento (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 24 maggio 2013, n. 492). In detta pronuncia si è esclusa l’applicabilità, al riguardo, dell’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990, stante il contenuto discrezionale degli atti di pianificazione.


Scheda n. 5

Interpretazione dell’art. 6, comma 2, legge n 127/1997 e sua applicabilità in riferimento agli enti locali della Regione Siciliana.

TAR Sicilia, Palermo, 13.02.2015, n. 444

L’art. 6, comma 2 della l. n. 127 del 1997, come modificato dalla l. n. 191 del 1998, ha previsto l’attribuzione agli organi dirigenziali della competenza, tra le altre, su tutti «i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale».

Tale disposizione ha costituito oggetto di rinvio contenuto nell’art. 2, comma 3, della l.r. n. 23 del 1998, con conseguente efficacia in ambito regionale siciliano, quantunque in assenza di specifiche modificazioni statutarie da parte dei comuni.

Sul punto, all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 127 del 1997, è stato condivisibilmente affermato che la disposizione in esame (il citato art. 6, comma 2 nella sua interezza), relativa all'attribuzione dei poteri agli organi burocratici dell'ente locale, nell'ambito degli indirizzi dettati dagli organi di governo, «debba essere ritenuta immediatamente operativa, non necessitando di esplicita previsione statutaria o regolamentare, in quanto rinvia allo statuto o al regolamento dell’ente le modalità di esercizio dei poteri, ma non l'attribuzione degli stessi, che risultano già “attribuiti”» (Ministero dell’interno, circolare 15 luglio 1997, n. 1, «problematiche interpretative della legge 15 maggio 1997, n. 127, in tema di gestione del personale degli enti locali»).


Scheda n. 6

Norme statutarie e rispetto della parità di genere nella formazione della Giunta comunale.

Sent. TAR Calabria, Catanzaro, 12.02.2015, n. 278

L’art. 1, comma 137, della legge 7 aprile 2014 n. 56 (recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”) stabilisce che “nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico”.

La norma, in assenza di ulteriori precisazioni, va intesa nel senso che, nel computo della percentuale, devesi tenere conto anche del Sindaco, in quanto componente della giunta (così ritenuto anche dalla circolare del Ministero dell’Interno del 24 aprile 2014, §. 3).

Invero, la scelta del legislatore di collocare la disposizione al di fuori del tuel denota la volontà di attribuire alla norma la finalità non solo di assicurare la corretta composizione delle giunte, ma anche il loro riequilibrio, in coerenza con i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza 14 gennaio 2010 n. 4, secondo cui gli artt. 51, comma 1 e 117, comma 7, Cost. hanno la finalità di ottenere “un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi”, con conseguente carattere permanente e finalistico della disposizione dell’art.1, comma 137, della legge 7 aprile 2014 n. 56, che costituisce la trasposizione normativa dei precitati principi.

Ora, da una mera interpretazione letterale e sistematica del precitato comma 137 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di attribuire valore cogente e precettivo alla percentuale indicata (“nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento”), come è pure rimarcato dall’endiadi “arrotondamento aritmetico”, che denota la scelta di voler ancorare la percentuale minima di rappresentanza ad un valore numerico oggettivo, preciso e puntuale.

In proposito, la circolare del Ministero dell’Interno del 24 aprile 2014, al § 3, “rappresentanza di genere”, così si esprime: “per completezza, si soggiunge che occorre lo svolgimento da parte del sindaco di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi. Laddove non sia possibile occorre un’adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità, il provvedimento avversato non risulta supportato da adeguata attività istruttoria né da congrua motivazioni per il mancato adeguamento alla legge”.

Invero, la detta circolare sembra compendiare i principi elaborati dalla giurisprudenza in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014 (nel medesimo solco, specifica ed approfondisce le modalità di svolgimento dell’istruttoria la successiva circolare 18/EL del 30.5.2014 della Direzione centrale delle autonomie locali del Friuli-Venezia Giulia), ma, a fronte del chiaro ed inequivocabile testo normativo, non può ammettersi alcuna deroga generale all’obbligo normativo.

Nella specie il Comune di Oriolo, con 2.291 abitanti, non ricade nella sfera di applicazione dell’art. 1, comma 137.

Deve quindi farsi applicazione della disposizione contenuta all’art. 46, comma 2, T.U. 18 agosto 2000 n. 267, nel testo novellato dalla L. 23 novembre 2012 n. 215, che, con riferimento alla composizione della giunta comunale, è applicabile senza alcuna necessità del previo recepimento nello statuto comunale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 2013 n. 6073).

Alla stregua di questa, pertanto, “il sindaco e il presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della Giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione”.

Alla luce delle esposte coordinate normative, va preso atto che l’impugnato decreto di nomina degli assessori non reca effettiva prova di un’adeguata istruttoria volta a reperire, per la nomina di assessori di sesso femminile, idonee personalità di sesso femminile nella società civile, nell’ambito del bacino territoriale di riferimento.


Scheda n. 7

Norme statutarie e nomina dei componenti della Giunta

Sent. TAR Calabria, Catanzaro, 12.02.2015, n. 277.

In via generale, occorre osservare che la nomina ad assessore comunale, in quanto atto sindacale connotato dalla più ampia discrezionalità, non abbisogna di una particolare motivazione.

Non di meno, nella fattispecie concreta, l’art. 39 dello statuto comunale, ai primi due commi, prescrive determinati requisiti che il nominato deve necessariamente possedere e che gli istanti denunciano non essere ravvisabili in capo al controinteressato, senza che sul punto sia stato obiettato alcunché da parte dell’amministrazione costituita.

Va, pertanto, applicato il principio secondo cui l’atto di nomina di un assessore se, da un lato, non ha natura politica, perché non è libero nella scelta dei fini, essendo sostanzialmente rivolto al miglioramento della compagine di ausilio del sindaco, dall’altro è sottoposto ai “criteri strettamente giuridici” eventualmente previsti nello statuto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 luglio 2011 n. 4502) .

Ed essendo indubbia la natura strettamente giuridica dei criteri prescritti dall’art. 39 dello statuto comunale di Cutro, ne deriva che l’atto di nomina dell’Arabia avrebbe dovuto essere corredato da un’adeguata motivazione in proposito.


Scheda n. 8

Legittimazione ad agire in giudizio dei consiglieri comunali nei confronti di una violazione dello Statuto.

TAR Campania, Salerno, 4.02.2015, n. 230

I ricorrenti, consiglieri comunali, deducevano la violazione dell’art. 15, comma 7, dello Statuto comunale, laddove testualmente prevede che “In seconda convocazione, che ha luogo in giorno diverso da quello stabilito per la prima convocazione, le deliberazioni del Consiglio sono valide, purché intervengano almeno quattro membri”, rilevando che l’assemblea consiliare del 18.12.2013 è avvenuta lo stesso giorno (ore 18,00) della prima convocazione (ore 16,00) in tal modo violando la riprodotta statuizione statutaria.

Il Tribunale si richiama al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui “I consiglieri comunali, in quanto tali, non sono legittimati ad agire contro l'Amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi dello stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive; pertanto, l'impugnativa di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto allorché vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all'ufficio dei medesimi e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere, dovendosi escludere che ogni violazione di forma o di sostanza nell'adozione di una deliberazione, che di per sé può produrre un atto illegittimo impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo, si traduca in una automatica lesione dello jus ad officium; pertanto la legittimazione al ricorso può essere riconosciuta al consigliere solo quando i vizi dedotti attengano ai seguenti profili: a) erronee modalità di convocazione dell'organo consiliare; b) violazione dell'ordine del giorno; c) inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare; d) più in generale, preclusione in tutto o in parte dell'esercizio delle funzioni relative all'incarico rivestito” (cfr. T.A.R. Lecce, sez. II, 28 novembre 2013, n. 2388).

Nel caso il Tribunale ha ritenuto che dalla violazione della norma dello Statuto comunale non sia derivata la lamentata lesione delle prerogative connesse alla carica rivestita dai ricorrenti.


Scheda n. 9

Legittimazione ad agire in giudizio dei consiglieri comunali nei confronti di una violazione dello Statuto.

Parere CGA, Regione Siciliana, 30.01.2015, n. 87

In linea di principio i consiglieri comunali non sono legittimati, in quanto tali, ad impugnare le deliberazioni assunte dall’organo collegiale di cui fanno parte se non per violazione dei principi e delle norme che disciplinano le modalità di partecipazione e garantiscono la libera espressione del diritto di voto da parte dei componenti. Tale azione, infatti, si può configurare solo se vengono in rilievo atti incidenti in via diretta sullo ius ad officium di costoro (C.G.A., Sezioni Riunite, 26 aprile 2006, n. 40/06).

“In sostanza, il componente di un Consiglio comunale può impugnare in sede giurisdizionale la deliberazione collegiale, solo per denunciare vizi propri del procedimento di formazione dell’atto deliberativo che si siano concretati in violazioni procedurali direttamente lesive del munus rivestito, in quanto interferenti sul corretto esercizio del mandato (ad. es. irritualità della convocazione dell’organo, violazione dell’ordine del giorno, difetto di costituzione del collegio. ecc), oltre che, ovviamente, nei casi in cui gli atti approvati riguardino direttamente e personalmente il consigliere comunale.” (C.G.A., Sezioni riunite, 5 aprile 2011, n.1426/10).

Di conseguenza, la legittimazione ad impugnare l’atto dell’organo collegiale da parte di un consigliere comunale sussiste soltanto qualora al medesimo fosse impedito l’esercizio del suo diritto all’ufficio.

Nel caso di specie, le censure formulate dai ricorrenti nella qualità di Consiglieri comunali, afferiscono a ipotizzate violazioni di norme dello Statuto comunale in relazione a presunte violazioni procedimentali, e non ad una concreta violazione dello jus ad officium con incidenza anche potenziale sugli interessi e sulla posizione dagli stessi vantata in seno all’Ente (cfr. C.G.A., Sezioni Riunite, 5 settembre 2006, n. 517/06).

I ricorrenti, pertanto, non potendo assumere iniziative a nome dell’intero Consiglio, non possono agire in giudizio a tutela delle prerogative del Consiglio comunale nel suo complesso, bensì esclusivamente a tutela dell’integrità del proprio diritto d’ufficio che, per quanto riferito, non può ritenersi violato nella fattispecie in esame, né potrebbero agire per la tutela dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa perché in tal caso, l’impugnativa verrebbe degradata al rango di azione popolare, con conseguente ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (cfr. Consiglio di Sta-to, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2548; C.G.A., Sezioni riunite, 26 aprile 2006, n. 40/06; 27 maggio 2014, n. 636/13).


Scheda n. 10

Statuto comunale e deliberazioni sulla surroga dei consiglieri dimissionari.

Ord. TAR Puglia, Lecce, 22.01.2015, n. 33

Lo Statuto comunale nel prevedere che di norma il consiglio debba deliberare nelle sedute di prima convocazione (caratterizzate dalla presenza di un maggior numero di consiglieri e quindi tali da garantire una maggiore condivisione sulle singole delibere da parte dei rappresentanti degli eletti) e solo in subordine nella composizione più ristretta di seconda convocazione, non pone alcuna distinzione in ordine all’oggetto delle decisioni da assumere in seno all’organo, sicché non si vede ragione per la quale le determinazioni attinenti alla surroga dei consiglieri dimissionari dovrebbero seguire regole diverse; peraltro, ad avviso del collegio, rientra nella stessa ratio della previsione che distingue tra sedute di prima e seconda convocazione attribuendo preferenza alle prime (per le ragioni di maggior rappresentatività sopra evidenziate) che deve ritenersi insita nel sistema la necessità che, affinché il consiglio possa continuare ad operare senza essere sciolto, esso debba garantire quantomeno in astratto (con la presenza del relativo numero minimo legale) la valida costituzione dell’assemblea in prima convocazione.


Scheda n. 11

Condizioni per l’impugnazione degli atti regolamentari.

TAR Sicilia, Palermo, 9.02.2015, n. 387.

Deve dichiararsi l’ammissibilità del ricorso avverso il “Regolamento Comunale per l’insediamento urbanistico e territoriale degli impianti di telefonia mobile e per la minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici” approvato con delibera di C.C. n.88 del 30/07/2013 e ciò avuto riguardo ai principi consolidati in punto di onere di impugnazione degli atti regolamentari, come da ultimo sanciti da recenti pronunce condivise dal Collegio, secondo cui "le norme regolamentari possono essere immediatamente impugnate in sede giurisdizionale soltanto se munite di immediata capacità lesiva della sfera giuridica di terzi, ovvero quando la lesione si consuma a prescindere dall'emanazione di un atto attuativo da parte dell'amministrazione. Tale circostanza deve essere accertata in concreto, tenuto conto del contenuto della norma regolamentare e della natura nonché dell'entità delle conseguenze prodotte sotto la sua vigenza. Il principio tiene conto della natura normalmente generale ed astratta delle previsioni regolamentari, le quali, sebbene vigenti, manifestano capacità lesiva per gli interessi degli ipotetici destinatari soltanto allorquando ricevano attuazione da parte della competente amministrazione e si traducano in specifici provvedimenti amministrativi. In tale evenienza, una volta concretizzatasi la lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata, il suo titolare potrà impugnare congiuntamente provvedimento attuativo e norma regolamentare, chiedendone l'annullamento.

In sintesi, per gli atti regolamentari la possibilità dell'immediata impugnazione è un'eccezione, mentre la regola è quella dell'impugnazione congiunta" (Tar Lazio, Roma, Sez. II ter, 25 febbraio 2008 n° 1685; analogamente, Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2009 n° 4056; Cons. di Stato, VI, n. 5286 del 2007; n. 4159 del 2005).


Scheda n. 12

Disapplicazione e annullamento di regolamento illegittimo.

CONS. STATO, Sez. V, 3.02.2015, n. 515

Il giudice amministrativo può disporre la disapplicazione di un regolamento, in applicazione delle regole sulla gerarchia delle fonti, quando si tratti di dare tutela ad un diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva, ovvero nei peculiari casi in cui il ricorso - in sede di giurisdizione di legittimità - vada respinto perché l'atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con una invocata norma regolamentare, risulti conforme alla legge, rispetto alla quale risulti cioè illegittimo il regolamento (in tal senso, Sez. V, 26 febbraio 1992, n. 154).

Quando invece il ricorrente contesta per un vizio proprio la norma regolamentare e il conseguente atto applicativo per illegittimità derivata, il giudice amministrativo non può che verificare la fondatezza della censure proposte contro la norma regolamentare e, nel caso di loro fondamento, deve disporre l'annullamento della disposizione risultata illegittima e dell'atto applicativo.

Nella specie, dunque, non sussistevano i presupposti processuali per disporre la disapplicazione della disposizione posta a base dell'atto impugnato in primo grado.


Scheda n. 13

Ambiti di normazione comunale relativi all’installazione di stazioni radio-base

CONS. STATO, sezione III, 23.01.2015, n. 306

La Corte costituzionale, nell’esaminare la legittimità costituzionale di disposizioni dettate (con legge) dalla Regione Lombardia che prevedevano distanze minime da una serie di siti sensibili, ha affermato, con le sentenze n. 331 del 7 novembre 2003 e n. 307 del 2003, il principio che tali disposizioni sono illegittime se pongono limiti generali che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i «criteri di localizzazione» si trasformerebbero in «limitazioni alla localizzazione». Mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se comunque consentono «una sempre possibile localizzazione alternativa» e non «l'impossibilità della localizzazione».

Si ritiene quindi consentito ai Comuni, nell’esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell’ultimo inciso del comma 6 dell’art. 8 della legge n. 36 del 2001.

Nel regolamento comunale possono essere, quindi, ammessi anche limiti di carattere generale all’installazione degli impianti purché sia comunque garantita una possibile localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale.

In conseguenza possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono (in generale) la localizzazione degli impianti nell’area del centro storico (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole ed ospedali) purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree.


  Scheda n. 14

Ambiti di normazione comunale relativi all’installazione di stazioni radio-base

TAR Sicilia, Palermo, 9.02.2015, n. 387

TAR Sicilia, Palermo, 2.02.2015, n. 326

Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6994; TAR Sicilia – PA – Sez. I, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 06 aprile 2009 , n. 661).

Pertanto è illegittimo l’art.8, comma 1, del regolamento il quale, in combinato con l’art.6 – nel limitare l’installazione delle SRB lontano da aree di particolare densità abitativa ovvero intensamente frequentate – è funzionale non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasforma in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534).


Scheda n. 15

Ambiti di normazione comunale relativi all’installazione di stazioni radio-base

TAR Toscana, 19.01.2015, n. 106

Costituisce un approdo oramai assodato l’affermazione secondo cui l’ordinamento – segnatamente, l’art. 4 della legge quadro n. 36/2001 – riserva in via esclusiva allo Stato la competenza relativa alla determinazione dei limiti di esposizione ai campi elettromagnetici e dei connessi livelli di attenzione, in base a parametri uniformi da applicarsi su tutto il territorio nazionale, mentre attribuisce alla competenza delle Regioni, coerentemente con il ruolo a queste riconosciuto dalla Costituzione in materia di governo e uso del territorio, l’indicazione degli obiettivi di qualità consistenti in criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni (cfr. Corte Cost., 7 ottobre 2003, n. 307). Se ne ha che, a fortiori, il potere regolamentare dei Comuni in materia di localizzazione degli impianti di telecomunicazione non può mai spingersi fino al punto di introdurre, con finalità di tutela della salute, limiti generalizzati di esposizione ai campi magnetici diversi da quelli previsti dallo Stato, ovvero di costituire deroghe a tali limiti statali per il tramite di indiscriminate interdizioni localizzative, essendo al più consentita l'individuazione di specifiche e diverse misure precauzionali, la cui idoneità al fine della "minimizzazione" emerga dallo svolgimento di compiuti ed approfonditi rilievi istruttori sulla base di risultanze di carattere scientifico (così, fra le altre, Cons. Stato, VI, 27 dicembre 2010, n. 9414; id., 16 dicembre 2009, n. 8103).

Alla stregua di tali principi, al Piano territoriale oggetto di causa, nella parte in cui contiene ipotesi di modifiche tecniche degli impianti esistenti in modo da realizzare un contenimento dei campi elettromagnetici al di sotto dei limiti di esposizione e dei livelli di attenzione stabiliti dal noto D.P.C.M. 8 luglio 2003, non può attribuirsi valore cogente, ma, al più, di direttiva e indirizzo dell’azione amministrativa, dovendosi preferire un’interpretazione che faccia salvo un qualche significato della previsione, piuttosto che quella in virtù della quale la previsione medesima risulterebbe illegittima per violazione dell’art. 4 della legge n. 36/2001, cit. (si pensi, ad esempio, ai casi in cui un’adeguata copertura del servizio possa essere garantita senza dover necessariamente raggiungere i livelli massimi di campo elettromagnetico consentiti dalla normativa statale).

La generalizzata riduzione dell’inquinamento elettromagnetico costituisce, del resto, un obiettivo fatto proprio anche dal legislatore regionale, ma che va perseguito nel rispetto delle scelte riservate, a monte, allo Stato, cui è affidato il bilanciamento fra i principi di precauzione e minimizzazione dell’inquinamento elettromagnetico e le altrettanto rilevanti esigenze di sviluppo e aggiornamento della rete di TLC (secondo i dettami sanciti a livello comunitario: cfr. Corte Cost., 6 luglio 2006, n. 265; id., 27 luglio 2005, n. 336; id., 7 ottobre 2003, n. 307, cit.).

Le conclusioni esposte circa il carattere meramente programmatico delle previsioni di Piano si attagliano e sono coerenti con il dato testuale dei paragrafi 5.2.9 e 5.3.41 del documento, che, lungi dal prescrivere, si limitano a ipotizzare – e a proporre – il depotenziamento elettromagnetico dell’impianto “Indicatore”, insieme a quello di numerosi altri, al fine di ricondurne i valori di campo al di sotto dei 3 V/m, valore ben inferiore al livello di attenzione di 6 V/m previsto dal D.P.C.M. 8 luglio 2003 per le aree intensamente frequentate; ed è proprio l’ampiezza delle modifiche ipotizzate dal Piano, riguardanti una molteplicità di impianti dislocati sull’intero territorio comunale, a conferire alla previsione quel carattere di generalità che impone di escluderne la prescrittività, esorbitandosi altrimenti dalle attribuzioni e prerogative comunali…

Se così è, non può invece dubitarsi della illegittimità dell’impugnata declaratoria di inefficacia della S.C.I.A. presentata dalla società ricorrente, la cui motivazione riposa – erroneamente, per le ragioni che si sono esposte – sulla cogenza delle previsioni di Piano riguardanti l’impianto “Indicatore”, con l’aggiunta, a fronte dell’attestata conformità dell’impianto ai valori massimi consentiti dal D.P.C.M. 8 luglio 2003 (si veda il parere ARPAT, in atti), dell’affermazione, indimostrata, secondo cui il mantenimento delle emissioni di campo magnetico entro il valore di 3 V/m garantirebbe comunque la copertura territoriale del servizio di telefonia.


Scheda n. 16

Ambiti di normazione comunale relativi all’installazione di stazioni radio-base

TAR Friuli-Venezia Giulia, 9.02.2015, n. 55; TAR Friuli-Venezia Giulia, 13.02.2015, n. 82; TAR Friuli-Venezia Giulia, 13.02.2015, n. 83; TAR Friuli-Venezia Giulia, 13.02.2015, n. 84

Va, dunque, riaffermato che la riconfigurazione tecnologica delle stazioni radio base per la telefonia mobile già esistenti non è disciplinata dal Regolamento del Comune di Udine approvato con deliberazione consiliare n. 74/2013. Il suddetto atto normativo si occupa, invero, esclusivamente della pianificazione, della localizzazione, e delle caratteristiche dei nuovi impianti. Nulla statuisce a proposito delle riconfigurazioni: prova ne è che anche ove tratta delle modifiche, si interessa di quelle di carattere fisico.

Il che, del resto, è perfettamente in linea con i limiti di intervento fissati dalle fonti sovraordinate all’atto normativo in esame. Il Comune può, infatti, disciplinare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, tendendo a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, ma non può vietare l’ammodernamento delle reti esistenti. D’altro canto, l’adeguamento tecnologico degli impianti esistenti, in luogo della costruzione di nuovi impianti dotati delle più recenti tecnologie, si conforma maggiormente ai principi di mitigazione e precauzione che informano la materia.

Va, inoltre, riconfermato che in tema di riconfigurazione degli impianti di telefonia mobile, la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia è dotata di potestà legislativa concorrente, rientrando la problematica nella materia della tutela della salute dei cittadini, con conseguente obbligo di rispettare i limiti di emissione elettromagnetica fissati dal legislatore nazionale.

Sicché deve concludersi, da un lato, che la riconfigurazione per cui è causa non comporta una nuova localizzazione dell’impianto medesimo, e, dall’altro lato, che sulla idoneità del sito prescelto nel caso di specie dal gestore l’Amministrazione comunale di Udine ha già espresso la propria positiva valutazione in sede di prima autorizzazione.


Scheda n. 17

Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco

TAR Lazio, Roma, 16.01.2015, n. 756

Il Sindaco, in qualità di Ufficiale di Governo, è chiamato a fronteggiare problemi di pubblica incolumità. Su di esso grava il compito di individuare le misure idonee a rimuovere situazioni di pericolo presenti sul territorio, potendo questi, nell’esercizio dei propri poteri contingibili ed urgenti, ordinare ai privati di porre in essere specifici adempimenti solo in presenza di determinati presupposti e di uno specifico collegamento tra i privati onerati e la situazione di pericolo, come avviene nei casi in cui i privati abbiano originato tale situazione o siano in una posizione privilegiata per potervi fare fronte.

Situazioni, queste, che non ricorrono nella fattispecie in esame, in cui la ricorrente non risulta essere proprietaria dell’area interessata dallo smottamento né vi ha dato causa, con conseguente illegittimità dell’ordine, alla stessa rivolto, di provvedere a porre in essere le verifiche ed i lavori di stabilizzazione, consolidamento e ripristino necessari, trattandosi di adempimenti che gravano sull’Amministrazione Comunale, a meno che non siano individuati – contrariamente a quanto avviene nella fattispecie in esame - soggetti privati cui, in ragione del collegamento con la situazione causativa del pericolo per la pubblica e privata incolumità, intimare la predisposizione delle misure necessarie per eliminarlo.

 


 

Scheda n. 18

Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco

CONS. STATO, sez. V, 4.02.2015, n. 533

La sentenza chiarisce la disciplina e i presupposti per l'adozione delle ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267/2000:

a) la capacità delle ordinanza extra ordinem di derogare a norme legislative vigenti è consentita solo se temporalmente delimitata e comunque nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare (Corte cost., 7 aprile 2011, n. 115).

b) l'assoluta imprevedibilità della situazione da affrontare non è un presupposto indefettibile per l'adozione delle ordinanze sindacali extra ordinem (Cons. St., Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3024);

c) l'ordinanza può essere adottata solo ove non sia possibile fronteggiare la situazione con i provvedimenti tipici già previsti dall'ordinamento (Cons. St., Sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3007; Id., Sez. V, 20 febbraio 2012, n. 904; Id., Sez. Vi, 9 febbraio 2010, n. 642);

d) la circostanza che la situazione di pericolo sia protratta nel tempo non rende illegittima l'ordinanza dal momento che in determinate situazioni il trascorrere del tempo non elimina da se il pericolo, ma può, invece, aggravarlo (Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2012, n. 3077; Id.,12 ottobre 2010, n. 7411);

e) la situazione di pericolo deve essere attuale rispetto al momento dell'adozione del provvedimento (Cons. St., Sez. V, 19 settembre 2012, n. 4968);

f) le ordinanze contingibili ed urgenti devono essere adeguatamente motivate ed istruite anche in ragione del carattere extra ordinem che le caratterizza (Cons. St., Sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490); g) le misure di messa in sicurezza d'emergenza ed i relativi poteri della Pubblica amministrazione (da quelli ministeriali a quelli del Sindaco ai sensi dell'art. 54 T.U. 18 agosto 2000 n. 267) possono essere esercitati, anche prescindendo dall'accertamento della responsabilità dell'inquinamento) accertamento i cui tempi sarebbero in molti casi incompatibili con l'urgenza di garantire la sicurezza del sito (Cons. St., Sez. II, 30 aprile 2012, n. 566; Id., Sez. I, 22 dicembre 2011, n. 452; Id., Sez. V, 15 febbraio 2010, n. 820).

L'ordinanza sindacale impugnata deve essere qualificata come ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54, comma 4, d.lgs. 267/2000 e non come ordinanza adottata ex art. 240 d.lgs. 152/2006.

Pertanto, tutte le censure che utilizzano come parametro le norme contenute negli artt. 239, 240, 242, 244, d.lgs. 152/2006, sono destituite di fondamento per non essere le nome in questione parametri rilevanti ai fini della verifica di legittimità dell'ordinanza impugnata.

Non si registra alcun difetto motivazionale o istruttorio del provvedimento gravato, dal momento che l'ordinanza sindacale rinvia a procedimenti ed atti adottati precedentemente, sulla scorta dei quali veniva individuata la presenza di un pericolo per la pubblica incolumità cagionato dall'attività della discarica. Inoltre, l'impossibilità di utilizzare strumenti alternativi risulta dimostrata dall'assenza di risultati congrui rispetto alla situazione di pericolo in atto anche all'indomani dell'adozione del piano di caratterizzazione della discarica e degli inviti ad osservarlo rivolti all'odierna appellata. Quanto alla temporaneità degli interventi gli stessi devono essere parametrati alla natura del pericolo creato, che evidentemente non può essere superato da atti istantanei, in considerazione della gravità e pervasività dell'inquinamento prodotto.


Scheda n. 19

Dei presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza da parte del sindaco

CONS. STATO, sez. V, 5.12.2014, n. 5996

Premesso che ratione temporis la norma cui fare riferimento per l'esercizio del potere sindacale extra ordinem è l'art. 38, comma 2, L. 142/90, il Collegio, in adesione ai rilievi svolti dal Primo Giudice, osserva che il provvedimento sindacale trova piena giustificazione nelle risultanze ricavabili dalla segnalazione della A.U.L.S.S. n. 17.

Infatti, da detta segnalazione, in una con gli esiti di tre sopralluoghi successivi, si ricava l'incontrovertibile accertamento del reale stato dei luoghi e del conseguente grave pregiudizio per l'igiene e la salute pubblica. Il rilevante rischio di un effettivo vulnus a tali valori sensibili è infatti evinto, in modo coerente e logico, dalla circostanza che un alloggio privato, peraltro vicino ad altre abitazioni, sia stato adibito a ricovero di un vero e proprio allevamento composto da un numero assai elevato di animali (oltre 65, all'esito dell'ultimo sopralluogo avvenuto in data 23 novembre 2000), oltretutto non sterilizzati e sprovvisti di appositi segni di identificazione. Di qui la concretizzazione del presupposto normativo del potere straordinario di ordinanza, dato appunto dall'esigenza di scongiurare un nocumento per la salute e l'igiene collettiva.


Scheda n. 20

Soggetto competente all’adozione di provvedimenti contingibili e urgenti

Sent. TAR Campania, Napoli, 16.01.2015, n. 359

Secondo il chiaro disposto dell’art. 54 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000, rientra nella competenza esclusiva del sindaco,

quale ufficiale del Governo, l’adozione con atto motivato dei provvedimenti, anche contingibili e urgenti, finalizzati a prevenire e ad eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana.

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato è stato adottato da un dirigente comunale, esorbitando dalle funzioni a questi attribuite dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000 e dall’art. 70 dello Statuto comunale.

 


 

Scheda n. 21

Esercizio del potere di ordinanza e omessa comunicazione di avvio del procedimento.

Sent. TAR Lazio, Roma, 9.02.2015, n. 2322

L’ordinanza contingibile ed urgente, in quanto tale, non richiede alcun preavviso procedimentale. Inoltre, nella specie, l’ordinanza impugnata ha espressamente richiamato l’art. 7, comma 2, della legge n. 241/90, disposizione in base alla quale “resta salva la facoltà dell'amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni” di avvio del procedimento, “provvedimenti cautelari” (il provvedimento in questione riguarda in effetti la mera sospensione dei lavori di installazione);

 


 

Scheda n. 22

Esercizio del potere di ordinanza e omessa comunicazione di avvio del procedimento.

CONS. STATO, sez. V, 29.12.2014, n. 6402

Non si può ritenere applicabile l'art. 7 della legge n. 241 del 1990, quando sussistono i presupposti per emanare un provvedimento contingibile ed urgente: tranne il caso in cui le circostanze del caso evidenzino l'opportunità di inviare comunque una comunicazione di avvio del procedimento, l'urgenza in sé della situazione da affrontare comporta che non occorre in linea di principio l'invio di tale comunicazione.

A maggior ragione, tale principio si applica quando, come nella specie, risulti una situazione di inquinamento: l'Amministrazione può immediatamente imporre le misure necessarie, senza ulteriori differimenti che comporterebbero l'ulteriore compromissione dell'ambiente.

Peraltro, nella specie si deve rilevare che la società ricorrente era nella piena conoscenza del procedimento dal quale è scaturita l'ordinanza del 14 gennaio 2004, con la quale il Sindaco di Comacchio aveva disposto la sospensione immediata della produzione del fertilizzante denominato "pellicino integrato" e lo smaltimento dei relativi fanghi, poiché il verbale del 30 settembre 2003 (che ha dato luogo al parere tecnico dell'ARPA in data 20 novembre 2003 sulle operazioni di trasporto e recupero del rifiuto costituito da fanghi proteici da parte della Irma) è stato redatto in contraddittorio con il rappresentante della società ed a seguito di sopralluogo nel medesimo stabilimento.

Dunque la necessità di una specifica comunicazione ai dell'art. 7 L. 241 del 1990 era da intendersi del tutto superflua poiché, come sottolineato da pacifica giurisprudenza, tale passaggio procedimentale in ogni caso non può rivestire un ruolo meccanicamente formale ed obbligatorio, ma ha lo scopo di rendere partecipi gli interessati ai futuri provvedimenti da emanare a seguito della correlativa istruttoria.

 


 

Scheda n. 23

Ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati e ordinanze contingibili e urgenti.

TAR Puglia, Lecce, 4.11.2014, n. 2637

Il Tribunale affronta la questione della natura giuridica dell'ordinanza di rimozione dei rifiuti abbandonati, emessa ai sensi dell'art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006, condividendosi sul punto l'orientamento secondo cui non è configurabile nei provvedimenti in esame la natura contingibile e urgente propria delle ordinanze emesse ex artt. 50 o 54 Testo Unico degli enti locali.

Invero, il potere sotteso a tali ultimi provvedimenti ha necessariamente contenuto atipico e residuale e può essere esercitato, pertanto (sempre che via sia l'urgenza di intervenire con immediatezza su situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente, non fronteggiabili con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva), solo quando specifiche norme di settore non conferiscano il potere di emanare atti tipici per risolvere la situazione emergenziale.

Ne consegue che l'art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo un ordinario potere d'intervento attribuito all'autorità amministrativa in caso di accertato abbandono o deposito incontrollato di rifiuti e rappresentando, quindi, una di dette specifiche norme di settore, esclude a priori la possibilità per l'ente di far uso, per garantire la rimozione dei rifiuti, del potere extra ordinem, proprio delle ordinanze contingibili ed urgenti.

Una volta esclusa la riconducibilità dei provvedimenti ex art. 192 d.lgs. 152 del 2006 nell'ambito delle ordinanze contingibili ed urgenti, va tuttavia comunque affermata la competenza sindacale e non dirigenziale ad emettere tali atti e ciò nonostante quanto previsto dall'art. 107, comma 5, t.u. enti locali: "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54".

Invero, lo stesso art. 107, al comma 4 precisa: "le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative", condizione verificatasi nel caso in esame, avendo il legislatore con l'art. 192, comma 3 ("Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate") attribuito al sindaco, con una disposizione speciale e derogatoria dell'art. 107, comma 2 t.u. enti locali, la competenza ad emettere questi specifici provvedimenti.

Da ciò consegue l’incompetenza nell'emanazione dell'atto da parte del dirigente anziché del sindaco.