La Corte (non) si pronuncia nuovamente sulla legittimità costituzionale di una legge elettorale (3/2015)

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Sentenza n. 110/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 15/07/2015; pubblicazione in G. U. 17/06/2015, n. 24

Motivo della segnalazione

La decisione qui segnalata verte sulla legittimità costituzionale dell'art. 21, I comma, numeri 1-bis) e 2), della legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante "Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia". La sentenza fa seguito alla questione sollevata dal Tribunale di Venezia nel procedimento vertente tra B.F. ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, con ordinanza del 9 maggio 2014, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2014.

La sentenza in parola sembra meritevole di segnalazione perché ha offerto alla Corte l'occasione di chiarire alcuni profili relativi all'ammissibilità di questioni di legittimità costituzionale relative a leggi elettorali, già affrontati nella sentenza 1/2014, ampiamente analizzata e commentata in dottrina; anzi, si può rammentare come in passato la L. 18/1979 sia già stata oggetto, in alcune sue parti, di una questione di legittimità costituzionale, che la Corte aveva dichiarato inammissibile (sent. 271/2010). E, stando alle notizie apparse sui quotidiani in questi giorni, si tratta di argomenti di stringente attualità, dato il tentativo di giungere, per la stessa via percorsa in occasione della sent. 1/2014, a una dichiarazione di incostituzionalità della L. 52/2015 (c.d. Italicum).

Nel caso di specie, come vedremo, il giudice delle leggi ha utilizzato argomenti di carattere processuale per dichiarare l'inammissibilità della questione; e fra i commentatori 'a prima lettura' v'è stato chi ha rilevato come la sentenza qui segnalata sembri voler chiudere lo spiraglio che la Consulta stessa aveva dischiuso proprio con la sent. 1/2014.

Il giudice a quo era stato chiamato a pronunciarsi in merito a un procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c: dei cittadini iscritti alle liste elettorali di alcuni Comuni della circoscrizione Nord-est chiedevano l'accertamento, nei confronti dello Stato, del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministero dell'interno, del loro diritto di esprimere il voto libero, eguale, personale e diretto nelle consultazioni elettorali, così come garantito dalla Costituzione, dal Trattato sull'Unione europea («TUE») e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea («TFUE»). A dire degli attori, le disposizioni della l. 18/1979, menzionate in apertura, avrebbero costituito una violazione di tale diritto. Alla base dello loro convincimento era la constatazione che il meccanismo messo a punto dalla disciplina elettorale attribuisce dei voti alle sole liste che hanno conseguito sul piano nazionale almeno il 4% dei voti validi espressi: ciò avrebbe quindi avuto l'effetto di privare di rappresentanza, all'interno del Parlamento europeo, una considerevole parte dell'elettorato italiano. Il giudice veneziano si è quindi trovato a dubitare della conformità a Costituzione delle già menzionata disciplina elettorale, in riferimento agli artt. 1, II comma, 3 e 48 della Costituzione. Preliminarmente il giudice delle leggi ha affrontato il nodo relativo all'interpretazione del diritto dell'Unione europea, che gli intervenienti ritenevano pregiudiziale (ex art. 267 TFUE) rispetto alla questione di legittimità costituzionale. Circa questo aspetto della vicenda la Consulta ha valutato "assorbente la considerazione che l'art. 3 dell'Atto relativo all'elezione dei rappresentanti del Parlamento europeo a suffragio universale [...] non impone affatto l'introduzione della soglia di sbarramento, ma semplicemente ne consente l'adozione ai singoli Stati membri nella misura massima del cinque per cento" (punto 2 del considerato in diritto; corsivo nostro). Non vi era quindi alcuna questione pregiudiziale sulla quale dovessero pronunciarsi i giudici del Lussemburgo: e ciò sia perché era solare la corretta interpretazione del diritto dell'Unione, sia perché esso non andava a integrare il parametro di costituzionalità invocato (a tal proposito la Corte costituzionale ha richiamato due sue ordinanze – la n. 207 del 2013 e la n. 103 del 2008 – in ordine alla sussistenza del dedotto nesso di pregiudizialità; si veda il punto 2 del considerato in diritto).

Di seguito la Corte ha affrontato il tema dell'ammissibilità della questione: in primo luogo, è stato richiamato il costante orientamento secondo cui il controllo della sua rilevanza «va limitato all'adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai quali il giudizio a quo possa dirsi concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire un petitum, separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il giudice remittente sia chiamato a decidere» (sent. 263/1994); l'interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti sono valutati dal giudice rimettente e non vengono riesaminati dalla Consulta, a meno che non siano implausibilmente motivati (punto 3 del considerato in diritto; vengono richiamate ex plurimis le sentt. 1/2014, 91/2013, 280, 279 e 61/2012, 270/2010). Di seguito, il giudice delle leggi ha ripercorso l'iter argomentativo che l'ha condotto, nella già menzionata sent. 1/2014, a ritenere ammissibile una questione di legittimità relativa alla legge elettorale per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica (il c.d. Porcellum).

La questione dalla quale era scaturita la sent. 1/2014 aveva offerto una «motivazione ampia, articolata ed approfondita» circa pregiudizialità e rilevanza; inoltre, l'ordinanza di rimessione aveva superato con successo due test dei pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, attinenti alla diversità di oggetto del giudizio a quo rispetto al giudizio di costituzionalità e alla sopravvivenza di un margine di autonoma decisione del giudice a quo dopo l'eventuale sentenza di accoglimento. La Corte ha sottolineato con una certa forza il fatto che nella sent. 1/2014 riguardava una materia peculiare come il diritto di voto e che in quel caso era stata determinante l'esigenza (emergente, ex plurimis, anche dalle sentt. 226/1976 e 384/1991) di far sì «che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato», giacché «[d]iversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l'assetto democratico; [...] perciò stesso si determinerebbe un vulnus intollerabile per l'ordinamento costituzionale complessivamente considerato» (così proprio la sent. 1/2014).

Ma, date queste premesse, nel caso in parola la Corte costituzionale giunge a conclusioni opposte in ordine all'ammissibilità della questione di costituzionalità sollevata dal giudice veneziano; il caso di specie si differenzia dalla questione alla radice della sent. 1/2014 proprio con riguardo "al diverso regime del controllo giurisdizionale sulla relativa vicenda elettorale" (cfr. punto 3.1 del considerato in diritto).

Di seguito, va rilevato che secondo la Consulta il giudice rimettente non aveva offerto una "adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto ammissibile tale azione, sulla quale è chiamato a pronunciarsi nel giudizio principale. Il mero riferimento all'interesse «all'accertamento della pienezza del diritto di voto» con riguardo «alle future consultazioni per l'elezione del Parlamento Europeo», senza alcun'altra indicazione, nemmeno sintetica o per relationem, non può essere considerato motivazione sufficiente e non implausibile dell'esistenza dell'interesse ad agire, idonea, in quanto tale, a escludere un riesame ad opera di questa Corte dell'apprezzamento compiuto dal giudice a quo ai fini dell'ammissibilità dell'azione (sentenze n. 200 del 2014, n. 50 del 2007, n. 173 del 1994, n. 124 del 1968, n. 17 del 1960)» (punto 3.2 del considerato in diritto).

Poco più avanti la Corte ha rilevare inoltre come, «nella valutazione dei due profili, dell'interesse all'accertamento della «pienezza» del diritto di voto e della necessaria applicazione della normativa che lo disciplina ai fini della definizione del giudizio a quo – costituenti requisiti di ammissibilità della questione, quanto alla sua pregiudizialità rispetto alla definizione del processo principale –, vada tenuta in particolare considerazione la circostanza che la normativa stessa, della cui legittimità costituzionale si dubiti, possa o meno pervenire incidentalmente al vaglio di questa Corte"; ovvero, perché la questione sia ammissibile occorre non solo che non ci sia coincidenza fra l'oggetto del giudizio principale e quello del giudizio costituzionale, ma anche l'incertezza sulla portata del diritto di voto, cagionata dalla normativa incostituzionale, sia destinata a permanere in assenza di un giudizio della Consulta, stante l'impossibilità di giungere a un vaglio di costituzionalità per mezzo di un giudizio in via incidentale scaturente da un controversia avente a oggetto la vicenda elettorale (così il 3.3 del considerato in diritto). E ciò è quanto avviene con la sottrazione al giudice comune del controllo sui risultati elettorali del Parlamento nazionale, visto che l'art. 66 della Costituzione stabilisce che "Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità".

Subito dopo la Corte ha sottolineato nuovamente come, nella prospettiva dell'ammissibilità, acquisisca particolare rilevanza l'esigenza "di evitare che sussistano zone sottratte al controllo di costituzionalità o di garantire la controllabilità anche di leggi che non potrebbero venire sottoposte per le vie ordinarie al sindacato [di costituzionalità]"; e l'attribuzione di un tale rilievo alla controllabilità costituzionale di una data normativa, in funzione della verifica del requisito d'ammissibilità, si colloca peraltro in una linea di continuità con la pregressa giurisprudenza della Corte medesima (venivano quindi richiamate le sentt. n. 384/1991 e n. 226/1976 con riferimento alla legittimazione e la sent. 38/1957 con riferimento alla pregiudizialità; cfr. il 3.4 del considerato in diritto). Si andava quindi a rimarcare che la verifica della pregiudizialità, che implica un petitum separato e distinto rispetto alla questione di costituzionalità, "va compiuta [...] tenendo nel dovuto conto l'imprescindibile esigenza di evitare il rischio di immunità della legge di cui si tratti dal sindacato di costituzionalità". E sempre richiamando quale pietra di paragone la sent. 1/2014, il giudice delle leggi ha affermato che, partendo da tale presupposto, in quell'altro caso, la residua verifica da parte del giudice a quo «delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto» fosse idonea ad integrare il requisito della pregiudizialità. Solo in questo modo infatti, l'incertezza sulla portata del diritto di voto per l'elezione dei componenti di Camera e Senato poteva essere risolta anche con riferimento al profilo della legittimità costituzionale della normativa disciplinante l'esercizio del diritto medesimo (in chiusa del punto 3.4 del considerato in diritto). Au contraire, il giudice rimettente ha prospettato, con riferimento alla disciplina italiana per l'elezione del Parlamento europeo, un'incertezza (costituzionalmente) superabile: di detta disciplina non può affermarsi che ricada in una "zona franca" del giudizio di costituzionalità. Quella dell'azione di cui nel giudizio a quo non è quindi l'unica via percorribile, visto che sulle vicende elettorali del caso di specie è possibile investire un giudice, che potrà ben sollevare una questione di legittimità in via incidentale (come avvenuto, ad esempio, nei giudizi che hanno originato la sent. 271/2010 o, ancora, le sentt..

Sulla scorta di tali valutazioni, rilevando che "al di fuori di una determinata vicenda elettorale nella quale sia dedotta la violazione di uno specifico diritto di voto, non può essere ritenuta ammissibile un'azione con la quale venga richiesto l'accertamento in astratto del contenuto di tale diritto, come regolato dall'art. 21, primo comma, numeri 1-bis) e 2), della legge n. 18 del 1979, sull'asserito presupposto dell'illegittimità costituzionale di queste disposizioni", la Corte costituzionale ha quindi dichiarato inammissibile la questione.