Sentenza n. 260/2015 - (1/2016)

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Interpretazione autentica e limiti all’efficacia retroattiva delle leggi: necessario “appiglio semantico” fra la norma interpretativa e la norma oggetto di interpretazione (in conformità al canone del  “significato proprio delle parole” di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale) 

Sentenza n. 260/2015 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 11/12/2015 – Pubblicazione in G. U. 16/12/2015

 

Motivo della segnalazione

La Corte, nel sindacare la legittimità costituzionale di una norma sedicente di interpretazione autentica, pronuncia alcune affermazioni di portata generale, riguardanti la natura della relazione che deve sussistere fra una norma asseritamente interpretativa e la norma oggetto di interpretazione affinché possa concludersi che la prima svolga effettivamente la funzione dichiarata. Dalle argomentazioni svolte si evince chiaramente che fra le due norme deve esservi un “appiglio semantico”: la norma di interpretazione autentica è tenuta a rispettare il canone ermeneutico generale del “significato proprio delle parole” di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale e pertanto deve “enunciare una pausibile variante di senso” della norma oggetto di interpretazione. Diversamente, “non si può ritenere [...] che la norma interpretativa sia servita al legislatore, per emendare un’imperfezione del testo originario, ripristinando il significato autentico della disposizione interpretata, o che abbia risolto contrasti interpretativi, forieri di incertezze rilevanti”, bensì può concludersi che essa è servita ad introdurre una nuova disciplina a cui il legislatore pretende di attribuire illegittimamente efficacia retroattiva, allo scopo di  impedire, in giudizi in corso e con riferimento a vicende non ancora definite, l’applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati rispettosi del significato proprio delle parole che compongono la norma interpretata (scilicet perché si tratta di orientamenti che ostano al conseguimento del fine perseguito mediante la nuova disciplina sedicente interpretativa). Sicché in simili casi dovrà riconoscersi la lesione, ad un tempo, dell’ “affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica” e delle “attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria”. Questi i principi che la lettura della motivazione permette di estrapolare (cfr., in particolare i  nn. 5 e 6 del considerato in diritto, da cui sono tratte le citazioni), coerenti con quanto affermato nella precedente giurisprudenza costituzionale in materia di interpretazione autentica e di limiti all’efficacia retroattiva delle leggi (cfr., in particolare, sent. n. 209/2010, richiamata al cons. n. 6 della sentenza in commento, nonché le decisioni anteriori richiamate in quella pronuncia).

Nel caso di specie, in esito all’applicazione di tali principi, la Corte perviene a dichiarare “l’illegittimità costituzionale dell’art. 40, comma 1-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui prevede che l’art. 3, comma 6, primo periodo, del decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 29 giugno 2010, n. 100, si interpreta nel senso che alle fondazioni lirico-sinfoniche, fin dalla loro trasformazione in soggetti di diritto privato, non si applicano le disposizioni di legge che prevedono la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza della violazione delle norme in materia di stipulazione di contratti di lavoro subordinato a termine”.