La Corte e il superamento del mancato raggiungimento delle intese fra Stato e Regioni (3/2016)

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Sentenza n. 142/2016 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 16/06/2016; Pubblicazione in G. U. 22/06/2016 n. 25

Motivo della segnalazione
La decisione qui segnalata riguarda la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 552, lettere a) e b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), sollevata con i ricorsi promossi dalle Regioni Campania, Abruzzo, Marche e Puglia; il fatto che i ricorsi regionali vertessero sulle medesime disposizioni ha reso opportuna la riunione dei giudizi ai fini di una decisione congiunta.


La sola Regione Abruzzo deduceva l’illegittimità costituzionale della lettera a) dell’art. 1, comma 552, della legge n. 190 del 2014, che integra l’art. 57, comma 2, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35. La disposizione in parola amplia i casi in cui compete allo Stato, d’intesa con la Regione interessata, rilasciare le autorizzazioni, incluse quelle previste dall’art. 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), per talune opere. Nel testo originario, l’art. 57, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012 limitava la competenza statale alle infrastrutture e agli insediamenti strategici nel settore petrolifero indicati dal precedente comma 1. La norma impugnata estende questo regime alle «opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione». Secondo la Regione Abruzzo tale norma avrebbe disposto una chiamata in sussidiarietà a favore dello Stato, in difetto dei requisiti di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito della materia dell’energia, affidata alla potestà legislativa concorrente. Sarebbero stati perciò violati gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. La Corte costituzionale ha valutato infondata la questione. Una volta giudicato corretto il punto di partenza della Regione Abruzzo, il giudice delle leggi ha rilevato che la legittimità costituzionale della previsione in questione va valutata – come già affermato con la sent. 303/2003 – alla luce della proporzionalità e della non irragionevolezza della valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato, essendo pacificamente osservata l’ulteriore condizione dell’intesa con la Regione. La parte ricorrente deduceva solamente un difetto di proporzionalità nella scelta di uniformare il regime degli stabilimenti, dei depositi e degli impianti a quello di «qualunque opera» che «ricada “al di fuori del perimetro delle concessioni”». Secondo il giudice delle leggi la censura era infondata: “deve infatti riconoscersi che la norma impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, istituisce un rapporto di strumentalità tra le opere che individua e quelle già qualificate come strategiche, rispetto alle quali le prime si pongono in funzione servente, né si può dire che la scelta del legislatore statale sia stata arbitraria, o che la sola circostanza che le opere in questione possono ricadere al di fuori delle aree oggetto di concessione sia determinante per escludere la priorità dell’interesse statale all’accentramento della funzione amministrativa.”
Anzi, lo scopo unitario (il miglioramento dell’efficienza e della competitività nel settore petrolifero) “potrebbe infatti venire compromesso se il frazionamento delle competenze, in base a un interesse localizzato, ostacolasse l’efficacia dei procedimenti amministrativi relativi ad opere “necessarie” e “strumentali” rispetto ad altre di natura strategica nazionale (punto 4 del considerato in diritto).
Tutte le ricorrenti impugnano anche la lettera b) dell’art. 1, comma 552, della l. 190/2014. Si tratta della disposizione che regola i casi in cui l’intesa fra Stato e Regione non venga raggiunta. In tale caso, essa dispone che si debba ricorrere alle “modalità di superamento” ex art. 1, comma 8-bis, della l. 239/2004, e dall’art. 14-quater, comma 3, della l. 241/1990. La Corte rileva, in primo luogo, il coordinamento fra le disposizioni oggetto del rinvio: l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239/2004 è relativo ai casi in cui l’intesa non è stata raggiunta per inerzia delle amministrazioni regionali, mentre l’art. 14-quater, comma 3 della l. 241/1990 fa riferimento ai casi in cui il mancato raggiungimento dell’intesa sia dovuto a un motivato dissenso. Due delle ricorrenti (Abruzzo e Campania) censuravano la norma impugnata solo per il rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della l. 239/2004, mentre altre due (Marche e Puglia) contestavano anche la legittimità costituzionale del rinvio all’art. 14-quater, comma 3, della l. 241/1990. In ogni caso, le modalità individuate per il superamento della mancata intesa ne avrebbero comportato – a detta delle ricorrenti – un degradamento da ‘forte’ a ‘debole’, andando a ledere l’autonomia regionale garantita dagli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e, per le Regioni Abruzzo e Campania, il principio di leale collaborazione. Va rilevato che l’art. art. 1, comma 241, della l. 208/2015, abrogando il rinvio ex art. 1, comma 8-bis, della l. 239/2004, avrebbe soddisfatto immediatamente la pretesa delle ricorrenti. Marche e Puglia, al contrario dell’Abruzzo, chiedevano però alla Corte di appurare anche le conseguenze di un’eventuale applicazione medio tempore della norma impugnata, sì da evitare la dichiarazione dell’avvenuta cessazione della materia del contendere. Anche questa richiesta è stata giudicata infondata: del resto – rileva la Corte – “Marche e Puglia, al fine di ottenere una pronuncia sul merito della questione (che sembrano preferire), ben avrebbero potuto indicare a questa Corte, se fossero esistiti, i casi nei quali la norma aveva trovato applicazione. Il non averlo fatto, in presenza di una condizione negativa, quale è la mancata applicazione della norma impugnata (limitatamente al rinvio all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004), e in difetto di elementi probatori in senso contrario, non può non implicare una pronuncia di cessazione della materia del contendere” (punto del considerato in diritto; corsivo aggiunto). Le Regioni Marche e Puglia avevano impugnato anche la lett. b) dell’art. 1, comma 552, della l. 190/2014 anche nella parte in cui essa rinvia all’art. 14-quater, comma 3, della l. 241/1990. Anche tale questione è stata dichiarata infondata. La consulta ha innanzitutto ripercorso le vicende che hanno condotto alla riformulazione dell’art. 14-quater, comma 3, della l. 241/1990, già oggetto di una dichiarazione di illegittimità costituzionale (sent. 179/2012). Il meccanismo messo a punto dall’attuale formulazione della disposizione impugnata è – a parere della Corte – rispondente alle esigenze di individuare “idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze”, secondo una linea più volte indicata dalla Corte stessa (sentt.179/2012, 33/2011, 121/2010, 24/2007 e 339/2005). Se si è seguito il percorso indicato, anche quando prevalga la decisione di uno soltanto dei soggetti, potrà dirsi che “tale evenienza non comporta una drastica “decisione unilaterale” di una delle parti (sentenza n. 383 del 2005), posto che la leale collaborazione, spiegatasi lungo un apprezzabile arco di tempo, contribuisce in linea di principio ad intestare all’altra almeno un segmento della fattispecie, pur quando persiste il dissenso sull’atto finale” (punto 7 del considerato in diritto). In conclusione, quindi, considerati anche gli strumenti di reazione a disposizione delle Regioni, “le forme di gestione delle trattative finalizzate all’intesa, disciplinate dall’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990 con riguardo alla conferenza di servizi, si rivelano perciò soddisfacenti anche per le ipotesi in cui la Costituzione impone il raggiungimento di un’intesa “forte” tra Stato e Regioni” e “la norma impugnata, richiamando modalità di superamento del dissenso non difformi dai parametri costituzionali indicati, si sottrae a propria volta a censura” (ibidem).