Fascicolo 2/2016

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Negli ultimi mesi sono giunti ad approvazione due documenti i cui itinera sono stati seguiti nei precedenti fascicoli di questa Rubrica: il Codice di condotta dei deputati (sul quale v. anche Piero Gambale, Le proposte di modifica dei regolamentari di Camera e Senato: verso l’adozione di un "codice etico" per i parlamentari?, in questa Rivista, n. 2/2015) e la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati

Come si è già avuto modo di dar conto, si tratta di due documenti formalmente autonomi, benché fortemente connessi nelle tematiche affrontate e nella procedura seguita. La discussione è avvenuta in parallelo sin dall’estate del 2015; in entrambi i casi il relatore – che ha giocato un ruolo decisivo nella definizione dei contenuti – è stato il deputato Pino Pisicchio (Misto).

Anche le modalità di approvazione presentano tratti comuni: nonostante questa sia avvenuta con distinte deliberazioni della Giunta per il regolamento, ne risulta identica la forma prescelta, ossia una (nuova) disciplina sperimentale, distinta dunque dalla formale modifica del regolamento parlamentare. Infine, entrambi i documenti sono stati approvati in assenza di voti contrari, ma con l’astensione dei rappresentanti del Gruppo MoVimento 5 stelle. 

Il 12 aprile 2016, nello stesso giorno in cui l’Assemblea approvava in seconda deliberazione l’ampio progetto di revisione costituzionale finalizzato al superamento del bicameralismo paritario e alla revisione del Titolo V (A.S. 1429-A.C. 2613, XVII leg.), la Giunta per il regolamento della Camera dei deputati ha adottato un Codice di condotta per i deputati.

Il testo del Codice di condotta si compone di sette “paragrafi” (in realtà veri e propri articoli, contraddistinti da numeri romani e suddivisi in commi non numerati) che, nelle intenzioni della stessa Giunta, hanno una natura ricognitiva degli obblighi di cui sono già destinatari i deputati ai sensi della legislazione vigente, con limitate innovazioni tese a recepire ulteriori doverosità già presenti in alcune esperienze comparate, con particolare riferimento al Parlamento europeo. Utile per tracciare la natura ricognitiva delle disposizioni del Codice è il testo pubblicato in versione non definitiva in allegato al resoconto della seduta della Giunta per il regolamento del 23 marzo 2016 (p. 12 s.), ove sono indicati, paragrafo per paragrafo, i riferimenti normativi dai quali sono stati desunti i contenuti del Codice o l’eventuale innovatività (magari parziale) della disposizione.

Richiamandosi ai principi di cui agli artt. 54 e 67 Cost. (“disciplina e onore” nello svolgimento delle cariche pubbliche e rappresentanza nazionale), il Codice raccoglie i doveri di trasparenza nella dichiarazione da depositare presso l’Ufficio di Presidenza ai sensi della legge n. 441 del 1982, relativamente alla proprietà di beni mobili e immobili, alla partecipazione o alla titolarità di cariche direttive in società, nonché alle spese e ai finanziamenti ottenuti in campagna elettorale (par. III). Di tutto ciò si dispone anche la pubblicazione sul sito internet della Camera (par. V), in realtà formalizzando quanto già avvenuto per via di prassi, almeno dall’inizio della XVI legislatura, dandone conto nelle pagine individuali dei deputati. In maniera innovativa, riprendendo l’art. 5 dell’omologo regolamento vigente presso il Parlamento europeo, si pone un obbligo di astensione dell’accettare doni o benefici superiori a 250€ (par. IV). Inoltre, particolarmente interessante è la costituzione, in seno all’Ufficio di Presidenza, di un Comitato consultivo sulla condotta dei deputati, composto da un totale di dieci deputati designati dal Presidente della Camera (di cui quattro membri dello stesso Ufficio di Presidenza), in modo da garantire comunque la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni. Tale Comitato può essere attivato sia da un singolo deputato circa l’interpretazione e l’attuazione del Codice medesimo, sia dal Presidente ai fini dell’esame di presunti casi di violazione (par. VI). L’inosservanza delle disposizioni del Codice è annunciata all’Assemblea ed esternata mediante il sito internet della Camera (par. VII), invero senza specificare condizioni per una effettiva visibilità.

Il Codice ha avuto già una sua prima attuazione, mediante la costituzione del Comitato consultivo sulla condotta dei deputati, richiamato al suo par. VI. La Presidenza dell’organo è stata affidata al deputato Pisicchio, già relatore presso la Giunta per il regolamento sia del Codice di condotta che della regolamentazione dell’attività di lobbying.

La Giunta per il regolamento della Camera, il 26 aprile 2016, ha poi approvato la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera dei deputati.

Già il 10 marzo 2016, il relatore, deputato Pisicchio, aveva sottoposto alla Giunta una proposta di codice di condotta e una proposta di disciplina delle attività di lobbying. La proposta è stata rivista e presentata nuovamente per la discussione nella Giunta nella seduta del 23 marzo 2016, per arrivare all’approvazione definitiva nella seduta del 26 aprile 2016 (con il voto favorevole di tutti i componenti, tranne due astensioni)

La “regolamentazione” assume la veste di delibera della Giunta per il regolamento, è articolato in cinque paragrafi e disciplina le attività di “rappresentanza di interessi” svolte nei confronti dei membri della Camera dei deputati nelle sue sedi (la fonte prescelta, infatti, non può avere la forza di regolare le attività svolte al di fuori delle sedi della Camera). L’articolato contiene (par. III, primo periodo) una definizione di «attività di rappresentanza di interessi» come «ogni attività svolta nelle sedi della Camera dei deputati professionalmente dai soggetti di cui al paragrafo III attraverso proposte, richieste, suggerimenti, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri della Camera dei deputati». Il paragrafo III prescrive l’onere per i soggetti di cui al paragrafo II di iscriversi in un apposito registro.  

I soggetti obbligati sono le persone fisiche o le persone giuridiche; in quest’ultimo caso, il regolamento prevede che si debbano chiarire la denominazione e la forma giuridica assunta, nonché le persone che stabilmente e costantemente svolgono attività per conto della persona giuridica e lo specifico rapporto contrattuale instaurato. Merita attenzione anche la previsione che prevede, nel caso in cui l’attività sia svolta per conto di un terzo, che sia indicato tale soggetto terzo, il titolo giuridico che consente l’esercizio dell’attività e il termine finale della collaborazione.

Le funzioni amministrative di tenuta del registro (anche nel senso dell’integrazione della disciplina regolamentare) sono attribuite all’ufficio di presidenza della Camera.  

Gli iscritti al registro sono obbligati a presentare una relazione a cadenza annuale alla Camera che dia conto dei contatti posti in essere, degli obiettivi conseguiti e dei soggetti interessati (par. IV). Anche in questo caso, sono attribuiti all’Ufficio di Presidenza la definizione delle modalità ed il concreto svolgimento di una attività di vigilanza.

Si prevede anche un apparato sanzionatorio (par. V): l’Ufficio di Presidenza stabilisce la modalità di applicazione delle sanzioni, quali la sospensione e la cancellazione dal Registro, graduate a seconda la gravità delle infrazioni.

Merita segnalare, dunque, come il testo costituisca una sorta di regolamentazione-quadro del fenomeno all’interno della Camera dei deputati ma che la stessa dovrà essere ulteriormente integrata ed attuata attraverso deliberazioni successive dell’Ufficio di Presidenza.

L’approvazione da parte della Giunta per il regolamento colloca i due atti all’interno delle sempre più frequenti “discipline sperimentali” che, specie nell’ultimo periodo, sono state percorse a più riprese in sostituzione di formali innovazioni regolamentari. La natura giuridica di tali discipline sperimentali può dunque essere vagamente paragonabile a quella dei pareri della stessa Giunta, benché in assenza di un riferimento diretto all’interpretazione o all’attuazione di una specifica norma regolamentare.