Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (1/2019)

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Il TAR Lombardia estende ai procedimenti sanzionatori dell’ARERA il principio secondo cui, nei settori regolati da Autorità indipendenti, la caduta della “legalità sostanziale” va compensata con il rafforzamento della “legalità procedurale” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, sentenze 31 ottobre 2018, nn. 2455, 2456 e 2458)

Con tre pronunce, pubblicate lo stesso giorno e di contenuto sostanzialmente identico, il TAR Lombardia, Milano, Sez. II, ha annullato altrettante sanzioni amministrative pecuniarie che l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) aveva irrogato nei confronti di diverse società di distribuzione di energia elettrica e di gas naturale “per violazioni in materia di obblighi di separazione funzionale e contabile (unbundling) e in materia tariffaria”.

 

Si tratta delle sentenze nn. 2455, 2456 e 2458 del 31 ottobre 2018, le quali si segnalano, anzitutto, per l’integrazione, che in esse si opera, dei parametri “interni” di legittimità del provvedimento amministrativo con i principi desumibili dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretati dalla Corte EDU, e segnatamente con il principio del “giusto procedimento” di cui all’art. 6 della CEDU. Ciò che – come si vedrà – ha consentito al TAR lombardo di discostarsi dall’orientamento seguito dalla prevalente giustizia amministrativa, che, attribuendo carattere meramente ordinatorio, e non perentorio, ai termini di conclusione dei procedimenti – a maggior ragione nel caso di procedimenti “complessi” –, esclude che il mancato rispetto dei termini stessi possa determinare effetti invalidanti degli atti finali adottati (cfr., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 30 dicembre 2014, n. 6430, e Id., sent. 1 dicembre 2015, n. 5432); tale convincimento si fonda sul rilievo che “la perentorietà di un termine procedimentale, incidendo direttamente sulle situazioni degli interessati, può inferirsi soltanto da un’esplicita previsione legislativa, che espressamente correli al superamento di un dato termine un effetto decadenziale” (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 8 luglio 2015, n. 3401, e Id., sent. 13 febbraio 2018, n. 911). Nella specie, per quanto riguarda i procedimenti sanzionatori dell’ARERA, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta del prevalente orientamento sopra riferito (avallato anche dalla Corte costituzionale: cfr. sentt. 18 luglio 1997, n. 262, e 17 luglio 2002, n. 355) e proprio per la natura complessa di tali procedimenti, si è attestata nel senso di escludere che l’eccessiva durata del procedimento possa essere una ragione di invalidità dello stesso, soprattutto con riguardo a procedimenti complessi, preceduti da una articolata fase istruttoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, sent. 8 febbraio 2013, n. 702; in terminis, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, sent. 15 dicembre 2014, n. 3037). Proprio in materia di sanzioni dell’ARERA, è stato anche affermato che “in assenza di una specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine stesso deve intendersi come meramente sollecitatorio o ordinatorio ed il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto, ma una semplice irregolarità non viziante” (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 27 febbraio 2012, n. 1084).

Per “sganciarsi” da tale giurisprudenza, che, invero, risulta costante, il TAR di Milano sviluppa il proprio ragionamento da una prospettiva sostanzialmente opposta rispetto a quella da cui muove la giurisprudenza stessa: il TAR Lombardo, infatti, assume che, proprio in considerazione della natura di “procedimento complesso”, nello specifico settore delle sanzioni dell’ARERA, non possa ritenersi necessariamente sussistente una “presunzione generale di legittimità”, poiché “l’arco temporale in cui le attività sono svolte misura la qualità dell’azione amministrativa, in relazione allo specifico profilo dell’efficienza della stessa azione amministrativa e del principio di certezza della sanzione”.

A sostegno di tale assunto, il TAR di Milano pone una serie di argomentazioni, sia di carattere sistematico-ordinamentale, sia espressione di principi aventi peculiare valenza nel settore delle sanzioni irrogate dalle Autorità amministrative indipendenti.

Tra tali argomentazioni, riveste rilievo essenziale quella che il TAR di Milano svolge in ordine alla valenza che il concreto termine di durata del procedimento sanzionatorio assume ai fini della verifica del rispetto dei principi del “giusto procedimento”, in particolare alla luce dei parametri dettati dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Su questo aspetto, il TAR lombardo evidenzia che, seppure la giurisprudenza della Corte EDU non imponga la necessaria coincidenza tra le garanzie previste nella fase giurisdizionale e le garanzie del precedente procedimento amministrativo, debba comunque verificarsi se la durata del procedimento costituisca un aspetto di necessaria applicazione nel caso di procedimenti sanzionatori come quello scrutinato.

Ad avviso del giudice amministrativo lombardo, tale interrogativo deve ricevere risposta positiva, considerata, in primo luogo, la peculiare nozione di “pena” o “sanzione penale” accolta nell’ordinamento CEDU, che, attribuendo rilievo prevalente a criteri qualificatori di carattere sostanziale e funzionale, è significativamente più ampia di quella conosciuta nell’ordinamento nazionale (che, viceversa, utilizza un criterio di qualificazione prevalentemente giuridico-formale). Come noto, infatti, la Corte EDU ha sviluppato una nozione di “accusa penale” ai sensi dell’art. 6, par. 1, CEDU – avente portata autonoma dalle classificazioni utilizzate negli ordinamenti statali –, che, per giurisprudenza consolidata (a partire dalla sent. 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi), richiede di tener conto, in via alternativa e non cumulativa, oltre che del criterio della qualificazione giuridico-formale dell’infrazione nel diritto interno, del criterio della natura dell’infrazione nonché di quello della natura o del grado di severità della sanzione.

Quanto a quest’ultimo criterio, con specifico riguardo alle sanzioni pecuniarie, la severità è legata alla significatività del sacrificio economico, valutato però avendo riguardo alle condizioni soggettive del destinatario: in quest’ottica, anche una sanzione di non elevata entità oggettiva è considerata di natura penale sull’assunto che il suo ammontare sia comunque significativo rispetto al reddito del destinatario (cfr. Corte EDU, sent. 1 febbraio 2005, Ziliberberg c. Moldova, § 3).

Peraltro, all’interno della più ampia categoria di accusa penale così ricostruita, la giurisprudenza della Corte EDU distingue tra un diritto penale in senso stretto (“hard core of criminal law”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale.

Al di fuori del c.d. hard core, le garanzie offerte dal profilo penale non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore, in particolare qualora l’accusa all’origine del procedimento amministrativo non comporti un significativo grado di stigma nei confronti dell’accusato.

La pragmaticità dell’approccio della Corte EDU ha dunque portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le prescrizioni di cui all’art. 6, par. 1, CEDU debbano essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel “nocciolo duro” della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (cfr. Corte EDU, sent. 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, Jussila c. Finlandia).

Purtuttavia, come rilevato dal TAR di Milano, se è vero che non tutte le garanzie devono sussistere in fase procedimentale, “neppure è asseribile il mancato riconoscimento – in detta fase – delle garanzie di maggior valenza per i diritti della persona interessata”. Si tratta di una notazione che assume particolare rilievo in relazione al tema della durata del procedimento amministrativo: infatti, il principio che impone la giusta durata di un procedimento amministrativo non è surrogabile dalla presenza di una successiva fase giurisdizionale soggetta alle regole dell’art. 6 della CEDU. Osserva al riguardo il TAR lombardo: “[i]n tal modo, la giustezza del procedimento amministrativo non sarebbe neppure predicabile atteso che la misura di tale aspetto sarebbe, in sostanza, affermata o negata in ragione della durata del diverso procedimento giurisdizionale con conseguente annichilirsi della portata squisitamente garantistica del principio in esame”.

Da questo punto di vista, la giusta durata del procedimento assume, quindi, un valore ex se, che non può essere surrogato in altro modo, al pari di quanto accade per altri profili di garanzia del procedimento sanzionatorio delle Autorità amministrative indipendenti (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, sent. 26 marzo 2015, n. 1596).

Ché anzi, come ulteriormente evidenziato dal TAR di Milano, “[l]a specifica valenza della ragionevole durata del procedimento di irrogazione delle sanzioni assume maggior importanza nel caso di procedimenti sanzionatori di competenze delle c.d. Autorità amministrative indipendenti”; in questo caso, infatti, il rafforzamento delle tradizionali garanzie del giusto procedimento si rende necessario in ragione della “particolare configurazione strutturale-organizzativa delle stesse” Autorità, che, proprio perché indipendenti, sono sottratte al circuito politico dei rapporti Governo-Parlamento e, quindi, non sottoposte alla funzione di indirizzo politico dell’Esecutivo (se non nei casi puntualmente stabiliti dalla legge: cfr. art. 1, comma 1, legge 14 novembre 1995, n. 481). Sotto questo profilo, le sentenze in esame risultano di particolare interesse in quanto estendono ai procedimenti sanzionatori dell’ARERA, di carattere – evidentemente – individuale, un principio giurisprudenziale sin qui ripetutamente affermato per i procedimenti generali di regolazione, volti all’adozione di atti aventi natura regolamentare o di contenuto generale. Si tratta del noto principio secondo cui l’esercizio di poteri regolatori da parte di Autorità, poste al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’art. 95 Cost., è giustificato anche in base all’esistenza di un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative: “nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio” (così, tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, sent. 20 aprile 2006, n. 2218; Id., sent. 27 dicembre 2006, n. 7972; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, sent. 11 ottobre 2010, n. 6913).

Orbene, con le sentenze in rassegna il TAR milanese fa applicazione del principio giurisprudenziale sopra richiamato, sviluppato con riguardo ai procedimenti di regolazione generale (in cui lo strumento partecipativo essenziale è costituito, come noto, dalla consultazione preventiva dei soggetti interessati sul “progetto” di atto regolatorio), “anche nello specifico settore dei procedimenti sanzionatori”, dove, sempre la peculiare configurazione delle Autorità indipendenti impone “una più accentuata necessità di verifica del rispetto dei profili che connotano la legalità procedurale”.

Nel caso di specie, in cui l’ARERA aveva agito oltre un termine dalla stessa indicato come ragionevole, adottando, quindi, l’atto sanzionatorio all’esito di un procedimento non “giusto”, l’evidenziata necessità di uno strict scrutiny sul rispetto delle regole di legalità procedurale ha condotto il giudice lombardo ad annullare tale atto proprio per violazione di una di tali regole.