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La sentenza della Grande Camera CEDU nel caso “Paradiso e Campanelli c. Italia” sulla tutela della vita privata e familiare in un caso di maternità surrogata (1/2017)

Sentenza 24 gennaio 2017, ricorso n. 25358

La sentenza resa dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso “Paradiso e Campanelli c. Italia” ha tratto origine dal ricorso proposto nel 2013 dai coniugi Paradiso e Campanelli per lamentare la violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 8 della Convenzione europea che tutela la vita privata e familiare. I ricorrenti avevano stipulato un contratto di gestazione per conto di terzi presso una clinica in Russia dalla quale, in seguito alla nascita del bambino, avevano ottenuto un certificato attestante il rapporto di filiazione. Il certificato non indicava che la nascita era derivata da un contratto di surroga di maternità1 . Al rientro dei coniugi in Italia, le autorità italiane, informate dal consolato italiano di Mosca delle particolari circostanze della nascita, avevano rifiutato la trascrizione del certificato per esigenze di tutela dell’ordine pubblico e contestualmente avviato indagini per i reati di falsa attestazione e per la violazione della legge sulle adozioni.
Le indagini avevano poi evidenziato l’assenza del legame biologico tra il neonato e il sig. Campanelli che pure aveva fornito il proprio seme alla clinica russa. A questo punto il piccolo, di appena 3 mesi, era stato sottratto ai coniugi per essere poi affidato a una coppia di genitori adottivi. I coniugi Paradiso e Campanelli si sono dunque rivolti alla Corte europea lamentando la violazione dell’art. 8 CEDU per la sottrazione del minore da parte delle autorità italiane e per la mancata trascrizione del certificato di nascita.


La prima sentenza della Corte europea sul caso è stata adottata dalla seconda sezione il 27 gennaio 2015. Essa ha parzialmente accolto il ricorso, riconoscendo l’avvenuta violazione dell’art. 8 della Convenzione europea. Secondo questa pronuncia, infatti, i 6 mesi trascorsi dalla coppia insieme con il neonato avrebbero integrato un lasso di tempo sufficiente all’instaurazione di un legame familiare de facto meritevole di protezione. Pertanto, la sottrazione del minore da parte delle autorità italiane, per quanto finalizzata a porre termine ad una situazione realizzata dalla coppia in modo illecito, avrebbe costituito una misura estrema contraria, nel caso di specie, al best interest of the child, il quale assurge a principio cardine in qualsiasi giudizio riguardante i minori2. Secondo la Corte, in particolare, l’interesse al mantenimento dei rapporti affettivi già instaurati andrebbe garantito a prescindere dalla natura e dal modo di costituzione del legame parentale.
La sentenza non ha invece affrontato nel merito l’altro profilo in cui si sarebbe sostanziata la violazione dell’art. 8 CEDU, relativo al mancato riconoscimento del rapporto di filiazione regolarmente instaurato in base alla legge russa, avendo la Corte affermato l’irricevibilità della doglianza per mancato esaurimento dei rimedi interni.
L’Italia ha successivamente proposto richiesta di riesame avverso la sentenza dinanzi alla Grande Camera della CEDU che, con la sentenza del 24 gennaio 2017, ha capovolto l’esito del giudizio, accogliendo la posizione dell’Italia. La Grande Camera ha infatti escluso che il legame instaurato tra la coppia dei ricorrenti e il bambino nato da maternità surrogata rilevasse quale “vita familiare” de facto ai fini dell’applicazione dell’art. 8 CEDU. Ciò sia per la mancanza del legame biologico tra i coniugi e il minore, sia per la brevità del rapporto intercorso e per l’incertezza della relazione giuridica che si era in quel frangente instaurata tra di loro.
La Grande Camera ha invece ritenuto che fosse applicabile l’art. 8 CEDU nella prospettiva della tutela della “vita privata” dei ricorrenti, che sarebbe stata integrata, nel caso di specie, in virtù del preciso progetto genitoriale perseguito dai coniugi e riconosciuto come legittima aspettativa per lo sviluppo della personalità dei ricorrenti. Sotto questo profilo, la Grande Camera ha considerato che le misure di allontanamento del minore adottate dall’Italia avessero costituito una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti. Ha ritenuto tuttavia tale ingerenza giustificata in quanto prevista dalla legge e necessaria alla tutela di un interesse superiore, individuato nell’esigenza prioritaria di protezione del minore. Pertanto, in considerazione di tutti gli elementi a disposizione delle autorità italiane e delle particolari circostanze della situazione in questione, le misure in questione sono state ritenute proporzionate alla tutela del prioritario interesse del fanciullo e indispensabili per evitare di riconoscere come legittima una situazione creata in violazione di regole importanti per l’ordinamento nazionale.
La soluzione adottata dalla Grande Camera costituisce il frutto della valorizzazione delle peculiari circostanze del caso, quali la particolare brevità del legame di cura instaurato tra i ricorrenti e il minore nato dal contratto di maternità surrogata e l’assenza del legame biologico tra il minore e alcuno dei componenti della coppia. Essa dunque non chiarisce quali principi di interpretazione e applicazione della protezione della vita familiare valgano in situazioni diverse quali, ad esempio, relazioni di lunga durata o oppure relazioni brevi come quelle del caso in esame ma caratterizzate dal legame biologico con uno dei componenti della coppia. La statuizione sul mancato esaurimento dei ricorsi interni impedisce inoltre di comprendere come l’assenza del legame biologico possa incidere sul riconoscimento del rapporto di filiazione da parte dello Stato di origine degli aspiranti genitori3.
La sentenza, che tenta di stabilire il punto di equilibrio nella tutela di diritti e interessi contrapposti coinvolge tematiche di estrema delicatezza e attualità, è stata adottata a maggioranza ed è corredata dalla joint dissenting opinion dei giudici Lazarova Trajkovska, Bianku, Laffranque, Lemmens e Grozev. L’opinione dissidente ribadisce il carattere puramente fattuale del legame familiare, la cui meritevolezza di protezione, soprattutto nella prospettiva della tutela del best interest of the child, sarebbe da ricollegare al legame di cura e alla coabitazione persistenti dal momento della nascita del bambino a quello del suo allontanamento in vista dell’affidamento ad altri. Secondo i giudici dissidenti, la valorizzazione, nella motivazione della sentenza, di argomenti concernenti l’incertezza giuridica del legame e l’esigenza di disconoscere una situazione creata in violazione della legge, determina il rischio che riemergano le antiche discriminazioni tra le famiglie legittime e quelle di fatto. Inoltre, l’osservanza del best interest of the child dovrebbe sempre indurre le autorità pubbliche a preservare i legami affettivi esistenti, con l’unica eccezione di situazioni in cui i genitori abbiano dimostrato grave incapacità di offrire cura morale e materiale del minore.
Nel caso di specie, secondo questi giudici, esistevano elementi a sostegno delle capacità affettive dei coniugi Campanelli, che la Grande Camera non ha valorizzato. In particolare, i coniugi avevano ottenuto, nel 2006, dalle autorità italiane l’autorizzazione all’adozione. Inoltre, una consulenza redatta da un gruppo di assistenti sociali incaricati dal giudice aveva riconosciuto che essi fossero in grado di prendersi cura del piccolo. Come evidenziato dalla dissenting opinion, la Grande Camera ha trascurato questi aspetti, così come non ha adeguatamente considerato le possibili ripercussioni psicologiche di un allontanamento del neonato dal nucleo originario.
Le argomentazioni sollevate dalla joint opinion evidenziano alcune innegabili debolezze del percorso argomentativo della sentenza in commento, denunciando l’esistenza di un quadro ancora incerto e insufficiente a sussumere le varie aspirazioni di tutela della vita privata e familiare provenienti dalla società europea contemporanea entro categorie giuridiche e canoni interpretativi certi e coerenti.

Osservatorio sulle fonti

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