Le pronunce della Corte costituzionale che hanno riguardato la Regione Siciliana per i mesi novembre– dicembre 2016 (1/2017)

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Negli ultimi mesi del 2016, la Consulta ha emesso tre pronunce riguardanti la Regione Siciliana: l'ordinanza n. 264 e le sentenze nn. 277 e 280. Due di queste sono state adottate per giudizi di legittimità costituzionale in via principale, una per questioni sollevate in via incidentale.

 

 

Con l'ordinanza n. 264 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato estinto il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, e della Tabella 2 ad esso allegata, promosso dalla Regione Siciliana con ricorso notificato il 13 ottobre 2015, depositato in cancelleria il 22 ottobre 2015 ed iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2015.
La Regione Siciliana aveva impugnato la norma in riferimento agli artt. 14, lettera o), 15, 20 e 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto regionale), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria) e agli artt. 81, sesto comma, 97, primo comma, 119, primo, quarto e sesto comma, e 120 della Costituzione. Procedeva, però, alla rinuncia del ricorso, che veniva accettata dal Presidente del Consiglio.
Con sentenza n. 277 del 2016, la Corte costituzionale ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 13, 15, 16, 17, 20, 27 e 33 della legge della Regione siciliana 4 agosto 2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi consorzi comunali e città metropolitane), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 5, 51, 117, commi secondo, lettere e), p) ed s), e terzo, 118, secondo comma, della Costituzione ed agli artt. 14, 15 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 20, 24, 25, 51 e seguenti (in particolare, 55, 63 e 84), della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni); all’art. 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; ed agli artt. 142 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Deduceva il ricorrente che, là dove le anzidette disposizioni «prevedono strutture istituzionali maggiori e diverse, e con funzioni differenti da quelle previste dalla legge statale» (segnatamente, la Giunta e l’Adunanza Elettorale, quanto ai liberi Consorzi comunali; la Conferenza metropolitana, la Giunta e l’Adunanza elettorale, nonché le modalità di elezione del Sindaco metropolitano, quanto alle Città metropolitane), esse avrebbero rotto «una omogeneità politica, economica e sociale che deve essere assicurata su tutto il territorio della Repubblica, contravvenendo ai principi fondamentali di riforma contenuti nella legge statale e ledendo anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato».
Ha rilevato la Corte costituzionale lo ius superveniens era intervenuto con modifiche e abrogazioni che risultavano essere satisfattive delle ragioni di censura formulate con il ricorso. Segnatamente il riferimento è alle leggi regionali n. 28 del 2015 e nn. 5 e 8 del 2016, che hanno abrogato o modificato le norme sottoposte a giudizio della Consulta.
Con sentenza n. 280 del 2016, la Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 11 e 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, sollevate, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed al principio di leale collaborazione, nonché in relazione all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite; non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 – esclusi i commi 11 e 17 – del d.l. n. 201 del 2011, sollevata, in riferimento all’art. 43 dello statuto reg. Sicilia ed al principio di leale collaborazione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana; inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011, sollevata, in riferimento all’art. 43 dello statuto reg. Sicilia ed al principio di leale collaborazione, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, sezioni riunite.
L’art. 13 veniva censurato nella sua interezza, in quanto la disciplina dell'IMU, unilateralmente dettata dal legislatore statale, non risponderebbe al modello di regionalismo cooperativo quale disegnato dall’art. 43 dello statuto reg. Sicilia – che affida ad una Commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione statutaria – e dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), disposizioni riconducibili al principio di leale collaborazione in cui sarebbe declinata la permanente interlocuzione nei rapporti tra Stato e Regione.
Il Consiglio di giustizia amministrativa richiamava al riguardo la sentenza n. 155 del 2015 di questa Corte, la quale, pur dichiarando inammissibili analoghe questioni per l’impossibilità di adottare una pronuncia a rime obbligate, avrebbe comunque ravvisato la violazione del metodo pattizio e formulato un forte monito al legislatore statale perché vi ponesse rimedio, monito che sarebbe rimasto tuttora inascoltato. Per le stesse ragioni ed in riferimento ai medesimi parametri, il rimettente censura il successivo art. 48, comma 1-bis, in quanto consentirebbe l’immediata applicazione del regime dell’IMU alle autonomie speciali senza prevedere un termine stringente e certo per l’adozione delle norme di attuazione statutaria e quindi per il ripristino del metodo pattizio.
Il rimettente sollevava altresì specifica questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 11 e 17, del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento all’art. 36 dello statuto reg. Sicilia ed in relazione all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto le due disposizioni avrebbero riservato allo Stato il maggior gettito di un tributo erariale, sottraendolo alla Sicilia senza le condizioni di novità dell’entrata e di specifica destinazione della stessa che tanto legittimino.
La Consulta ha rilevato: "nel caso in esame risulta evidente che il rimettente effettua un ragionamento implausibile nell’ipotizzare, quale esito della rimessione, l’eventuale cancellazione delle norme impugnate, necessaria per l’accoglimento del ricorso straordinario. Per quel che si dirà più analiticamente in prosieguo, infatti, le questioni poste risultano puramente astratte: ancorché strumentalmente riproposto in via incidentale, il contenzioso sul riparto della nuova imposta tra Stato e Regioni non può sfociare in una declaratoria d’incostituzionalità del tributo stesso. [...] È evidente che la pretesa cancellazione del tributo per detto triennio – sulla base di ragioni che esulano dal suo presupposto, dalla sua struttura e dalla individuazione dei soggetti passivi – provocherebbe uno squilibrio postumo nei relativi bilanci dello Stato, senza peraltro rimediare alla lesione eventualmente provocata in detto arco temporale ai bilanci delle Regioni a statuto speciale: «[s]e, come di seguito meglio precisato, questa violazione del canone procedimentale non può sottrarre in modo definitivo alle autonomie speciali risorse eventualmente necessarie per assicurare l’equilibrio tra entrate fiscali e funzioni esercitate, nondimeno il rimedio a tale violazione non può consistere nel diretto accoglimento […] poiché, tra l’altro, esso investirebbe risorse già impiegate dallo Stato per la copertura di spese afferenti ai decorsi esercizi» (sentenza n. 155 del 2015). Sotto tale profilo, l’unico rimedio per supplire all’accertata violazione del metodo pattizio può risultare l’applicazione del principio dell’equilibrio dinamico, il quale consente di «garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» (sentenza n. 155 del 2015), anche attraverso appropriate rimodulazioni dei rapporti fra Stato ed autonomie speciali nei futuri esercizi. [...] Le modalità di risoluzione del contenzioso sul riparto delle risorse fiscali tra Stato ed enti territoriali hanno quale indefettibile presupposto l’invarianza del gettito fiscale, in relazione al quale possono semmai ipotizzarsi rimodulazioni diacroniche del riparto stesso rispetto al momento dell’effettiva riscossione". Per tali ragioni ha dichiarato la questione inammissibile.
Infondata, invece, è stata considerata la questione relativa all'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011. Sul punto, la Corte costituzionale ha sostenuto: "occorre al riguardo evidenziare che l’IMU, in quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, è un tributo erariale (sentenza n. 123 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 40 del 2016, n. 121 del 2013 e n. 97 del 2013), seppur «derivato» in ragione della devoluzione del gettito (sentenza n. 121 del 2013). La sua disciplina ricade dunque «nella materia “ordinamento tributario dello Stato”, che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. riserva alla competenza legislativa statale» (sentenza n. 121 del 2013; nello stesso senso sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013). Questa Corte ha ripetutamente e costantemente escluso che le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni «trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per cui non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sentenze n. 121 e n. 8 del 2013, n. 207 del 2011); e che l’esclusione della rilevanza di tali procedure, che è formulata in riferimento al procedimento legislativo ordinario, “vale a maggior ragione per una fonte come il decreto-legge, la cui adozione è subordinata, in forza del secondo comma dell'art. 77 Cost., alla mera occorrenza di ‘casi straordinari di necessità e d’urgenza’” (sentenze n. 79 del 2011 e n. 298 del 2009)» (sentenze n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013)".
Infine, è dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 1-bis, del d.l. n. 201 del 2011. La disposizione prevede che «Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonché quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalità di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano». La Consulta ha rilevato che detta clausola di salvaguardia è priva di autonoma capacità lesiva, mentre le uniche norme suscettibili di impugnazione allo scopo di rimuovere la pretesa violazione sono quelle di cui all’art. 13, direttamente ed autonomamente applicabili.

 

Tabella riepilogativa

Provvedimento

Giudizio

Oggetto

Norma/e impugnata/e

Parametri invocati

Decisione

Ordinanza n. 264 del 2016

Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Disposizioni in materia di enti territoriali

art. 1, comma 10, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78

Artt. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, 81, sesto comma, 97, primo comma, 119, primo, quarto e sesto comma, e 120 della Costituzione

Estinzione per rinuncia

Sentenza n. 277 del 2016

Giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Disposizioni in materia di liberi consorzi comunali e città metropolitane

Artt. 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 13, 15, 16, 17, 20, 27 e 33 della legge della Regione siciliana 4 agosto 2015, n. 15

Tra gli altri, artt. 14, 15 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455

Cessazione della materia del contendere

Sentenza n. 280 del 2016

Questione di legittimità costituzionale in via incidentale

Modalità di applicazione dell'IMU

artt. 13 e 48, comma 1-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201

artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455

Questioni in parte inammissibili, in parte non fondate

Precedenti decisioni richiamate:

-     In merito alla inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale quando giudice a quo prospetta una soluzione incongrua rispetto all’obiettivo perseguito dalla norma impugnata (sentenza n. 301 del 2012);

-     Sulla impossibilità per la Consulta di entrare nel merito delle modalità con cui avrebbero dovuto essere bilanciati i dialettici interessi della neutralità finanziaria, della sostituzione, della perequazione e del dimensionamento delle entrate fiscali di competenza delle autonomie speciali (sentenza n. 155 del 2015);

-     Sulla necessità di qualificare l'Imu come un tributo statale seppur derivato in ragione della   devoluzione del gettito (sentenza n. 123 del 2010; nello stesso senso, sentenze n. 40 del 2016, n. 121 del 2013 e n. 97 del 2013);

-     In merito alla esclusione della possibilità che le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per cui non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sentenze n. 121 e n. 8 del 2013, n. 207 del 2011).