La Corte costituzionale non attiva i “controlimiti” e opera un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (1/2017)

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Ordinanza n. 24/2017 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 26/01/2017; Pubblicazione in G. U. 01/02/2017 n. 5

Motivo della segnalazione
In questa decisione, che si inserisce nel filone delle decisioni con cui la Corte ha superato la lungamente protratta mancanza di rapporti diretti con la Corte di giustizia dell’UE, il giudice delle leggi è chiamato dalla Corte di Cassazione e dalla Corte d’appello di Milano a pronunciarsi sulla compatibilità con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona, espressi dagli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con particolare riguardo al principio di legalità in materia penale, dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco.
Con tale decisione la Corte di giustizia ha affermato che l’art. 325 del TFUE impone al giudice nazionale di non applicare il combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, del codice penale, relativi alla prescrizione del reato, quando l’applicazione di tali previsioni gli impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, ovvero quando frodi che offendono gli interessi finanziari dello Stato membro sono soggette a termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
La Corte rileva che, per i reati fiscali, le norme del codice penale sulla prescrizione possono condurre, nel caso vi siano stati nel corso del processo atti interruttivi della prescrizione, possono comportare un aumento dei termini di prescrizione comunque non superiore a un quarto. Dal succitato articolo del TFUE, come interpretato dalla Corte di giustizia, deriva che «ove questo aumento si riveli in un numero considerevole di casi insufficiente per reprimere le frodi gravi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, che dipendono dalla mancata riscossione dell’IVA sul territorio nazionale, il giudice penale dovrebbe procedere nel giudizio, omettendo di applicare la prescrizione, e nello stesso modo il giudice dovrebbe comportarsi se la legge nazionale prevede per corrispondenti figure di reato in danno dello Stato termini di prescrizione più lunghi di quelli stabiliti per le frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione».
In una situazione quale quella sopra tratteggiata si sono venuti a trovare i due giudici remittenti. In altri termini, applicando le succitate norme del codice penale, dovrebbero dichiarare l’avvenuta prescrizione dei reati (e l’impunità per questo genere di reati – si afferma – ricorrerebbe in un numero considerevole di casi); in caso contrario, applicando l’art. 325 TFUE, come interpretato dalla Corte di giustizia, i giudizi potrebbero concludersi con una sentenza di condanna.
La norma dell’UE, interpretata come fatto dalla Corte di giustizia, se applicata al posto delle norme interne incompatibili, come richiesto dal principio del primato del diritto dell’UE, entrerebbe, secondo i giudici rimettenti, in conflitto con il principio supremo di legalità in materia penale, il quale comporta che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore. La norma desumibile dalla sentenza Taricco sarebbe invece applicabile anche a condotte anteriori rispetto alla medesima e non sarebbe adeguatamente determinata, non è chiarito, né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero così considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen.
La Corte costituzionale, a fronte della prospettazione dei giudici rimettenti, si interroga circa la possibilità di interpretazioni anche in parte differenti, rilevando che «in presenza di un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell’Unione, che è necessario risolvere per decidere la questione di legittimità costituzionale, appare pertanto opportuno sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE sulla base della sentenza resa in causa Taricco».
Secondo il giudice delle leggi, il suddetto dubbio interpretativo sussiste. In particolare, secondo la Corte, «è necessario chiedersi se la Corte di giustizia abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dare applicazione alla regola anche quando essa confligge con un principio cardine dell’ordinamento italiano». Per la Consulta vi sono rilevanti elementi, desumibili dall’art. 4, par. 3, del TFUE, come modificato dal Trattato di Lisbona, per affermare la plausibilità di un’interpretazione dell’art. 325 del TFUE, tale da renderlo compatibile con i principi supremi dell’ordinamento italiano.
Il succitato art. 4 impone alle istituzioni dell’UE, compresa la Corte di giustizia, il rispetto delle identità costituzionali degli Stati membri e impone che i rapporti UE/Stati membri siano improntati al principio di leale collaborazione. Da ciò deriva – afferma la Corte – «in linea di principio, che il diritto dell’Unione, e le sentenze della Corte di giustizia che ne specificano il significato ai fini di un’uniforme applicazione, non possono interpretarsi nel senso di imporre allo Stato membro la rinuncia ai principi supremi del suo ordine costituzionale». Nel caso in cui la valutazione di compatibilità con l’identità costituzionale di uno Stato membro non sia agevole da svolgere per la Corte di giustizia, spetta alle autorità nazionali e, in Italia, alla Corte costituzionale, la verifica ultima circa l’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento nazionale. Compete poi a ciascuno di questi ordinamenti stabilire a chi spetti tale verifica.
Con riferimento specifico al caso in esame, la Corte costituzionale afferma che la stessa Corte di giustizia, nella sentenza Taricco, ha rilevato che, ove il giudice nazionale decidesse di disapplicare le disposizioni nazionali in questione, lo stesso dovrebbe assicurarsi, al contempo, che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Da tali asserzioni il giudice delle leggi ritiene potersi desumere che «la regola tratta dall’art. 325 del TFUE è applicabile solo se è compatibile con l’identità costituzionale dello Stato membro, e che spetta alle competenti autorità di quello Stato farsi carico di una siffatta valutazione».
Il giudice delle leggi sarebbe propenso a interpretare l’art. 325 TFUE in modo tale da preservarne la compatibilità con il principio fondamentale della legalità in materia penale, cosa che lo indurrebbe a rigettare la questione di costituzionalità. Si tratta di un’interpretazione – si rileva – che preserverebbe, per un verso, l’identità costituzionale della Repubblica italiana, e non comprometterebbe, per un altro, le esigenze di uniforme applicazione del diritto dell’Unione, non ponendo in discussione il significato attribuito dalla Corte di giustizia all’art. 325 del TFUE. L’impedimento del giudice nazionale ad applicare direttamente la regola enunciata dalla Corte di giustizia «non deriva da una interpretazione alternativa del diritto dell’Unione, ma esclusivamente dalla circostanza, in sé estranea all’ambito materiale di applicazione di quest’ultimo, che l’ordinamento italiano attribuisce alla normativa sulla prescrizione il carattere di norma del diritto penale sostanziale e la assoggetta al principio di legalità espresso dall’art. 25, secondo comma, Cost.». Conseguentemente, «appare […] proporzionato che l’Unione rispetti il più elevato livello di protezione accordato dalla Costituzione italiana agli imputati, visto che con ciò non viene sacrificato il primato del suo diritto».
La Corte costituzionale rileva inoltre che, mentre la sentenza Taricco ha escluso l’incompatibilità della regola ivi affermata con l’art. 49 della Carta di Nizza, che enuncia il principio di legalità in materia penale, con riguardo al profilo della retroattività, non si è invece espressa in merito alla sua compatibilità con il principio di legalità nel senso della determinatezza. Se si ritenesse quindi che l’art. 325 TFUE demandi ai giudici il compito, proprio del legislatore, di determinare specificamente i presupposti dell’applicabilità della sanzione penale, resterebbe allora da verificarne la coerenza con l’art. 49 della Carta di Nizza, sotto il profilo della carente determinatezza della norma europea, quando interferisce con i diritti degli imputati in un processo penale.
La Corte costituzionale ritiene che sia necessario rivolgersi alla Corte di giustizia, al fine di verificare se quest’ultima Corte concordi o meno con la lettura che dell’art. 325 del TFUE dà il giudice delle leggi, lettura che consentirebbe di superare le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici rimettenti.
Rispetto alla sua precedente giurisprudenza sui rapporti con la Corte di giustizia, la Corte costituzionale perviene così a ritenersi abilitata al rinvio pregiudiziale anche ove venga in rilievo l’interpretazione di norme dell’UE direttamente applicabili, potendo aver favorito un tale orientamento, presumibilmente, la natura del caso, in cui ad essere oggetto di esame è il rapporto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale (capaci di operare come “contro limiti”).