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L’operatività delle c.d. clausole di salvaguardia quale limite alla diretta applicabilità delle disposizioni di legge statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, lesive delle prerogative statutarie delle autonomie speciali (3/2017)

Sentenza n. 191/2017– giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 14 luglio 2017 – Pubblicazione in G.U. del 19/07/2017, n. 29

Motivo della segnalazione

Nella sentenza n. 191 del 2017 la Corte ha esaminato, tra le altre, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle province autonome di Trento e di Bolzano avverso una serie di disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, per violazione degli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 79, 80, 81, 99, 100 e 104 dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige, nonché degli articoli 116, 117, 119 e 120 della Costituzione. Al di là del merito delle censure proposte, la pronuncia in esame si segnala, in particolare, per il ruolo assunto, nell’ambito dello scrutinio di costituzionalità qui svolto dalla Corte, dalla c.d. clausola di salvaguardia prevista, a presidio delle prerogative statutarie di regioni a statuto speciale e province autonome, dall’articolo 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015.

Tale clausola dispone, infatti, che: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Inserite per lo più in leggi finanziarie o, comunque, in materia di contenimento della spesa pubblica, le clausole di salvaguardia sono state introdotte al precipuo scopo di garantire l’inapplicabilità di disposizioni statali in contrasto con gli statuti di autonomia regionale e con le relative norme di attuazione. Ciò nondimeno, l’operatività di tali clausole è stata oggetto di un tardivo riconoscimento anche ad opera della stessa giurisprudenza costituzionale, che ne ha in un primo momento negato la portata precettiva e l’idoneità a fungere da limite all’applicabilità di disposizioni statali, in ragione della loro genericità e della «eccessiva vaghezza della loro formulazione» (sentenze nn. 88, 118 e 134 del 2006, n. 105 del 2007). Più di recente, anche a seguito della maggiore pervasività assunta dalla legislazione statale di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica, la giurisprudenza costituzionale, pur avendo in molteplici occasioni ribadito – come nella pronuncia in esame – che «le autonomie speciali, nonostante siano titolari di autonomia finanziaria, devono comunque assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, al fine di garantire la sostenibilità del sistema nel quale esse stesse sono incluse», ha progressivamente riconosciuto l’operatività delle clausole di salvaguardia, che, lungi dal dover essere considerate «una mera formula di stile, priva di significato normativo», rivestono la funzione di limite generale all’applicazione delle disposizioni della legge statale in cui la clausola è contenuta, in caso di contrasto con gli statuti e con le relative norme di attuazione (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2012, n. 219 del 2013, n. 23 e 39 del 2014, n. 40 del 2016). Non solo. In presenza di una clausola di salvaguardia – osserva la Corte – la questione di legittimità costituzionale deve comunque essere dichiarata non fondata perché «nel caso in cui il contrasto non sussista, non c’è, ovviamente, alcuna violazione della normativa statutaria, mentre nel caso in cui il contrasto sussista, la clausola di salvaguardia impedisce l’applicabilità alle ricorrenti della normativa censurata» (sentenza n. 241 del 2012). Nella successiva giurisprudenza, tuttavia, la Corte non sempre ha proceduto alla verifica circa la sussistenza del contrasto con le prerogative statutarie, di modo da stabilire se le disposizioni statali oggetto di censure fossero o meno applicabili alle province autonome, limitandosi in talune ipotesi a rilevare la sussistenza e l’operatività della clausola di salvaguardia al fine di dichiarare non fondata la questione sollevata.
Nella pronuncia qui segnalata, i giudici costituzionali hanno invece ritenuto necessario scrutinare, per ogni singola disposizione oggetto di censura, la sussistenza di un contrasto con lo statuto regionale d’autonomia o con le relative disposizioni di attuazione, allo scopo di escludere o meno l’applicabilità delle disposizioni statali alle province ricorrenti. Circostanza che ha consentito alla Corte di ribadire, ancora una volta, che, ancorché debba essere esclusa nel caso di specie l’immediata applicazione delle disposizioni statali in forza della clausola di salvaguardia, sussiste un obbligo di adeguamento delle province ricorrenti ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ivi enunciati, che devono essere resi operativi secondo le modalità tracciate dalla normativa statutaria e attuativa dello statuto. Nella materia in questione, «le disposizioni statali, nei casi in cui non sono direttamente applicabili, si rivolgono alle province autonome “mediamente”e si pongono come fonte di un “vincolo comportamentale”», in conformità a quanto previsto dallo statuto regionale sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello procedurale.

Osservatorio sulle fonti

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