Senato 2.0? La presentazione degli emendamenti in Assemblea (anche) in via telematica (2/2017)

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La Conferenza dei Presidenti dei gruppi parlamentari del Senato, nella seduta del 17 gennaio 2017, ha introdotto alcune interessanti novità in relazione alle modalità di presentazione in Assemblea di proposte emendative, ordini del giorno e ulteriori richieste procedurali quali richieste di stralcio, questioni pregiudiziali e sospensive, nonché richieste di non passaggio agli articoli e proposte di coordinamento, stabilendo che la presentazione in cartaceo debba essere accompagnata da una parallela trasmissione in via telematica. Nella stessa sede sono state individuate linee guida finalizzate alla standardizzazione della struttura dei documenti medesimi, corredate da allegati con esempi, modelli e indicazioni operative per la loro redazione.


È interessante notare come la “formalizzazione” di queste linee guida (se così può essere definita una decisione della Capigruppo, trasmessa per le vie brevi dal Servizio Assemblea del Senato ai singoli senatori e non pubblicata sul sito internet del Senato) non delinei una possibile alternativa tra la “tradizionale” presentazione cartacea dei documenti menzionati e la loro trasmissione in via telematica, ma richieda che entrambe (cartacea e telematica) siano percorse al fine della “esistenza” del documento presentato (si legge infatti: “considerandosi conclusa la procedura di presentazione solo ove avvenuta in entrambe le modalità”). Dunque, si tratta di una innovazione che rispetto al passato, e in maniera piuttosto inedita, non riduce ma aumenta gli oneri in capo ai singoli senatori, con una ratio evidentemente tesa a disincentivare il ricorso strumentale a tecniche ostruzionistiche mediante la moltiplicazione delle iniziative (anzitutto) emendative. In ogni caso, l’innovazione in commento si riferisce esclusivamente al Senato e alla fase di esame in Assemblea, non comportando alcuna modifica del regime e delle forme di presentazione dei medesimi documenti presso le Commissioni permanenti, né, ovviamente, presso la Camera dei deputati. Diverso è invece quanto avviene, all’interno dello stesso Senato, in relazione agli atti di indirizzo e di sindacato ispettivo, per i quali è stata da tempo creata una apposita piattaforma all’interno del sito intranet del Senato, mediante la quale è possibile presentare mozioni, risoluzioni, interrogazioni e interpellanze per via telematica, in alternativa all’invio cartaceo, ricorrendo all’utilizzo della firma digitale.
Dal punto di vista della struttura degli atti, sono individuati gli elementi essenziali, (e la loro successione) ai fini dell’invio per via telematica: il tipo di atto (proposta emendativa, ordine del giorno etc.); l’articolo cui l’atto è riferito; l’elenco dei firmatari, che si richiede debba essere posto di seguito e senza rinvii a capo, separando i singoli nominativi per mezzo di virgole); infine, il testo della proposta di modifica.
Inoltre – facendo emergere una ulteriore finalità, ossia quella di evidenziare meglio il rapporto tra dibattito in Commissione e dibattito in Assemblea – per le proposte emendative già presentate in Commissione si richiede altresì l’indicazione della numerazione che era stata attribuita al testo identico nell’ambito del dibattito in sede referente.
Si tratta, com’è evidente, di una decisione dalle ricadute essenzialmente pratiche (e finanche meramente operative, indicando addirittura quali accorgimenti redazionali utilizzare all’interno dei software di videoscrittura come Microsoft Word) e che andrà testata alla luce dell’evoluzione della prassi, finora ancora non assestata. In ogni caso, la decisione in commento stimola alcune considerazioni riferite al contesto più generale in cui essa si inserisce.
Anzitutto, non appare casuale che una decisione simile sia stata assunta proprio al Senato, presso il quale nel corso di questa legislatura erano emerse diverse vicende problematiche in relazione alla presentazione di emendamenti. Ci si riferisce, in particolare, a quanto accaduto durante la discussione del testo di revisione costituzionale (A.S. 1429, XVII leg.), in occasione della quale il sen. Calderoli presentò – su supporto digitale – un numero abnorme di proposte emendative (mai esattamente quantificate, ma nell’ordine di diverse decine di milioni, generate mediante un algoritmo di elaborazione testuale). Com’è noto, le proposte presentate per quella via non furono mai esaminate dal Senato, né si svolse su di esse un puntuale esame di ammissibilità sul piano contenutistico. In un lungo discorso del 29 settembre 2015, il Presidente Grasso – sulla base delle norme regolamentari e della prassi vigenti – chiarì come l’avvenuta presentazione su supporto digitale (anche alla luce della prassi in quel senso formatasi presso la 1a Commissione) e la carenza di una sottoscrizione autografa da parte del presentatore (in relazione alla quale vige una sorta presunzione semplice di autenticità, per cui la prova contraria può essere recata dal solo sottoscrittore medesimo, chiedendo il disconoscimento della firma) non costituissero causa di inammissibilità. Diversamente, il Presidente ne oppose una “irricevibilità” derivante da una valutazione sostanzialmente in termini di gestibilità amministrativa: il loro abnorme numero avrebbe reso impossibile il rispetto dei tempi previsti dal calendario dei lavori del Senato, approvato ai sensi dell’art. 55 del regolamento. Il compito del Presidente del Senato di far rispettare il regolamento e di assicurare il buon andamento dei lavori (di cui alla clausola generale di cui all’art. 8) conduceva quindi – secondo la ricostruzione offerta dallo stesso Presidente del Senato – a dover impedire l’esame di quelle proposte emendative, al fine di rimanere entro i tempi stabiliti in sede di programmazione. Con ogni probabilità, anche queste vicende – e magari, la volontà di non dover ripetere pronunce presidenziali analoghe, che forse non appaiono impeccabili – hanno contribuito a stimolare una sistematizzazione e un qualche irrigidimento di una fase cruciale del processo di decisione parlamentare, che si presta facilmente a derive strumentali di tipo ostruzionistico.
La seconda considerazione che si può accennare a partire dalla decisione in commento è invece relativa alla sede nella quale essa è stata assunta, ossia nell’ambito della Conferenza dei Capigruppo. Non si è dunque trattato di una innovazione determinata – come sarebbe forse risultato più coerente con l’assetto reciproco dei ruoli degli organi del Senato – dal Presidente di Assemblea, magari a seguito di una discussione presso la Giunta per il regolamento, né – al limite, viste le sue ricadute di natura più immediatamente organizzativa – nell’ambito del Consiglio di Presidenza. La centralità che anche in questo ambito è venuta ad assumere la Conferenza dei Capigruppo testimonia uno sviluppo della “gestione” delle procedure presso il Senato sempre più concertativo e tendente a sovrapporre la decisione procedurale a quella di calendario (solo quest’ultima propria della Conferenza dei Capigruppo), come la citata vicenda della irricevibilità degli emendamenti del sen. Calderoli conferma. Non è un caso che anche la decisione di non procedere al voto degli emendamenti premissivi di principio assunta in relazione al cd. emendamento Marcucci, in occasione della discussione del disegno di legge sulle unioni civili – ipotizzandone un ricorso soltanto in non meglio individuati casi “eccezionali” – sia stata assunta nella stessa sede e informalmente comunicata a margine di questa. Per altro, questa evoluzione segna un tratto di continuità con quanto avvenuto nelle legislature immediatamente precedenti e risulta perfettamente coerente con un’altra tendenza orma radicata nell’evoluzione del diritto parlamentare contemporaneo: quella tendente alla più ampia decodificazione delle regole e alla costante “fuga” dalla innovazione per via regolamentare.