Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente - ARERA 2 (1/2018)

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Il "seguito" dell'incostituzionalità differita della c.d. "Robin Tax": il caso delle sanzioni dell'ARERA (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, sentenza 9 maggio 2017, n. 1047)

Con la sentenza n. 1047 del 9 maggio 2017, Il TAR Lombardia, Milano, Sez. II, ha respinto il ricorso di una società operante nel settore dell'energia, diretto all'annullamento di una sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (ora divenuta Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente - ARERA) per violazione degli obblighi informativi in materia di vigilanza sul divieto di traslazione della maggiorazione IRES sui prezzi al consumo. Per comprendere la fattispecie decisa dal TAR lombardo, è necessario ricordare che tale divieto era riferito all'onere economico derivante dall'"addizionale" sull'aliquota dell'imposta sui redditi delle società, la c.d. "Robin Tax". Questa maggiorazione dell'aliquota IRES era stata istituita con l'art. 81, comma 16, del decreto-legge n. 112/2008 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 133/2008), a carico delle imprese operanti nel settore energetico e degli idrocarburi, che avessero conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi ed un reddito imponibile superiore ad una certa soglia. Il successivo comma 18 aveva poi imposto agli operatori economici interessati il divieto di traslare tale onere sui prezzi al consumo, attribuendo all'ARERA il compito di vigilare affinché il divieto stesso fosse effettivamente rispettato e di presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sugli effetti del tributo.


Va ricordato che la Robin Tax era stata introdotta con l'obiettivo di sottrarre a produttori e venditori di energia da fonti fossili i margini di profitto extra (cosiddetti "guadagni di congiuntura"), che si assumevano iniquamente introitati grazie a condotte di mercato opportunistiche e speculative, in particolare approfittando delle oscillazioni al rialzo del prezzo del petrolio per aumentare i prezzi dei prodotti derivati, salvo poi non diminuirli in proporzione nei momenti di ribasso della materia prima.
Senonché le norme sopra citate sono state dichiarate incostituzionali con sentenza della Corte costituzionale n. 10 dell'11 febbraio 2015, per ritenuto contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. (tra i numerosissimi commenti di cui la sentenza n. 10/2015 è stata oggetto, si segnalano quelli di R. DICKMANN, La Corte costituzionale torna a derogare al principio di retroattività delle proprie pronunce di accoglimento per evitare "effetti ancor più incompatibili con la Costituzione", in Federalismi.it, n. 4/2015; A. ANZON DEMMIG, La Corte costituzionale "esce allo scoperto" e limita l'efficacia retroattiva delle proprie pronunzie di accoglimento, in Giur. cost., 2015, pp. 67 ss.; E. GROSSO, Il governo degli effetti temporali nella sentenza n. 10/2015. Nuova dottrina o ennesimo episodio di un'interminabile rapsodia?, ibidem, pp. 79 ss.; R. PINARDI, La modulazione degli effetti temporali delle sentenze d'incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività, in Consulta online, n. 1/2015; F. GABRIELE - A.M. NICO, Osservazioni "a prima lettura" sulla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2015: dalla illegittimità del "togliere ai ricchi per dare ai poveri" alla legittimità del "chi ha avuto, ha avuto, ha avuto… scordiamoci il passato", in Rivista AIC, n. 2/2015; M. RUOTOLO - M. CAREDDA, Virtualità e limiti del potere di regolazione degli effetti temporali delle decisioni d'incostituzionalità. A proposito della pronuncia sulla c.d. Robin tax, ibidem).
Più in particolare, la Consulta, pur considerando legittimo lo scopo perseguito dal legislatore di colpire i "sovra-profitti" congiunturali, anche di origine speculativa, del settore energetico e petrolifero, ha ritenuto che la maggiorazione dell'IRES applicabile a tali settori, così come configurata dalle disposizioni del citato art. 81, violasse gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, per incongruità dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo.
Schematicamente, secondo la Corte, il vizio di irragionevolezza era integrato dai seguenti elementi:
- dalla configurazione del tributo in questione come maggiorazione di aliquota che si applica all'intero reddito di impresa, anziché ai soli "sovra-profitti";
- dall'assenza di una delimitazione del suo ambito di applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il perdurare della congiuntura economica che ne giustifica l'applicazione;
- dall'impossibilità di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire che gli oneri derivanti dall'incremento di imposta non si traducano in aumenti del prezzo al consumo.
La declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte con la sentenza n. 10 del 2015 era posta a base della principale censura mossa dalla società ricorrente nei confronti del provvedimento sanzionatorio dell'Autorità. A dire della ricorrente, infatti, poiché il potere sanzionatorio previsto in generale dall'art. 2, comma 20, lett. c), della legge n. 481 del 1995 (istitutiva delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità), sarebbe stato in questo caso correlato in uno stretto rapporto di "pregiudizialità-dipendenza" con il potere di vigilanza attribuito all'Autorità dall'art. 81, comma 18, del decreto-legge n. 112/2008, una volta venuto meno tale potere a seguito della dichiarazione d incostituzionalità della norma che lo prevedeva, sarebbe, in concreto, venuto meno anche il potere sanzionatorio conferito all'Autorità.
In merito il TAR di Milano ha ritenuto di non poter condividere la tesi della parte ricorrente, in ragione del fatto che la dichiarazione di incostituzionalità, per stessa statuizione della sentenza della Corte costituzionale, dovesse eccezionalmente decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta della decisione (pubblicazione avvenuta in data 11 febbraio 2015). Ciò in deroga cioè al principio della c.d. "retroattività" delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, secondo il quale gli effetti delle sentenze stesse, alla stregua dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata. Come noto, peraltro, tale principio - cui la costante giurisprudenza costituzionale riconnette carattere generale (cfr. Corte cost., sentt. n. 127/1966, n. 58/1967 e n. 49/1970) - vale soltanto per i rapporti "pendenti", con conseguente esclusione di quelli "esauriti" (intendendosi per tali i rapporti derivanti da un giudicato, da un atto amministrativo non più impugnabile ovvero da una prescrizione o da una decadenza), i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida (cfr., tra le tante e di recente, Corte cost., sent. n. 1/2014). Oltre al limite dei "rapporti esauriti" - che ha origine nell'esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto -, ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale. In questi casi, l'individuazione dei limiti al principio generale della retroattività è ascrivibile all'attività di bilanciamento tra valori di rango costituzionale, che è di (esclusiva) del giudice delle leggi, il quale, quindi, per esigenze di ragionevole bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti nella normativa sottoposta al proprio esame, può limitare gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale (anche) sul piano del tempo.
Nella fattispecie esaminata dalla sentenza n. 10 del 2015, la Corte ha rilevato che l'applicazione retroattiva della declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme istitutive della Robin Tax avrebbe determinato la lesione di altri valori costituzionalmente garantiti, quali l'interesse all'equilibrio del bilancio dello Stato, presidiato dall'art. 81 Cost., nonché l'obbligo di solidarietà sociale ed il diritto di uguaglianza di cui, rispettivamente, agli artt. 2 e 3 Cost., posto che la restituzione della maggiorazione d'imposta alle imprese del settore energetico e degli idrocarburi avrebbe costretto il Governo ad una manovra finanziaria aggiuntiva della quale avrebbero maggiormente risentito i soggetti appartenenti alle fasce più deboli della popolazione.
Ad avviso della Corte, pertanto, la cessazione delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno di pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale risultava "costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco" (punto 8 cons. in dir., sent. n. 10/2015).
Dalla "incostituzionalità differita" della normativa istitutiva della Robin Tax, il TAR di Milano, nel caso deciso con la sentenza n. 1047/2017, ha fatto discendere che, per quel che concerne i periodi d'imposta 2007, 2008 e 2009, "il potere di vigilanza attribuito all'[ARERA] non può ritenersi essere venuto meno; così come non può ritenersi essere venuto meno il potere sanzionatorio - funzionale al corretto espletamento dell'attività di vigilanza - correlato all'inosservanza degli obblighi posti sui soggetti vigilati".
La rilevanza della sentenza risiede nel fatto che il TAR ha affermato che, in ragione della incostituzionalità non retroattiva della norma attributiva del potere di vigilanza all'ARERA, tale potere è rimasto integro per il periodo antecedente a quello della pronuncia della Corte costituzionale.
Meritevole di rilievo è, altresì, il passaggio della sentenza dove il TAR lombardo ha confermato la propria giurisprudenza che assegna natura normativa agli atti di regolazione dell'ARERA (in tal senso, cfr., tra le altre e di recente, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, sent. n. 2553/2014; nella giurisprudenza di secondo grado, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, sentt. n. 5622/2008, n. 702/2009 e n. 2521/2012), con la conseguenza che la loro abrogazione produce (normalmente) effetto ex nunc (al pari dell'intervenuta dichiarazione d'incostituzionalità della norma attributiva del potere di vigilanza, avente anch'essa - sia pure eccezionalmente - efficacia ex nunc); ciò che, nel caso di specie, ha permesso al giudice amministrativo di respingere la censura secondo cui la carenza in concreto del potere sanzionatorio dell'ARERA sarebbe discesa anche dal fatto che, con il provvedimento impugnato, l'Autorità stessa aveva sanzionato la violazione di obblighi informativi imposti con due atti di regolazione (delibere VIS 109/08 e 133/09) successivamente abrogati (con delibera 394/2012/E/rht).