Regolamenti comunali e giurisdizione del giudice amministrativo (1/2018)

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CONS. STATO, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1221; CONS. STATO, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1222; CONS. STATO, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1223; CONS. STATO, sez. V, 28 febbraio 2018, n. 1224

L’oggetto della domanda è l'annullamento della delibera modificativa del regolamento del Comune di San Massimo, nonché di quest'ultimo in parte qua, atti aventi contenuto normativo e recanti previsioni generali e astratte, e non già di atti applicativi del regolamento, privi di valore provvedimentale. Pertanto, venendo in rilievo situazioni giuridiche soggettive (quelle degli utenti del servizio idrico pubblico) aventi la consistenza di interessi legittimi al corretto uso dei poteri autoritativi da parte dell'amministrazione che agisce quale autorità, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.


Né può assumere rilievo, per pervenire a differente conclusione in punto di giurisdizione, la circostanza che il regolamento o le modifiche dello stesso (inerenti canoni, corrispettivi, indennità o tariffe) incidano, a valle, su eventuali rapporti di utenza di tipo paritetico, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario sugli atti applicativi del regolamento impugnato: ciò anche tenuto conto dell'ulteriore argomento in base al quale un simile assunto porterebbe all'inaccettabile risultato di escludere l'azione di annullamento di un regolamento o della sua delibera modificativa, con una soluzione che, oltre ad essere irragionevole, presenterebbe profili di contrasto con i principi costituzionali in materia di effettività della tutela giurisdizionale avverso gli atti della Pubblica Amministrazione, che non può essere esclusa né limitata "per determinate categorie di atti", come statuito dall'art. 113, comma 2, Cost.
Tale opzione ermeneutica è stata, invero, condivisa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza 18623 del 10.9.2004), secondo cui "per costante giurisprudenza, la giurisdizione si determina sulla base dell'oggetto della domanda (art. 386 c.p.c.) e, in particolare, in base al cosiddetto petitum sostanziale il quale s'identifica non soltanto avuto riguardo alla concreta statuizione chiesta al giudice ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dei fatti allegati a fondamento della pretesa fatta valere con l'atto introduttivo del giudizio (ex multis e tra le più recenti: Cass.,Sezioni Unite, 27 giugno 2003, n. 10243; 15 maggio 2003, n. 7507; 7 marzo 2003, n. 3508).... La controversia introdotta da un utente del servizio pubblico di acquedotto, il quale non deduca in giudizio il suo rapporto di utenza con il Comune ma contesti l'organizzazione del servizio sotto vari profili, sostenga che il servizio "non si presenta pienamente fruibile per il consumatore" e censuri l'aumento tariffario stabilito nella delibera comunale, definendolo "ingiustificato ed illegittimo", e chieda che l'aumento tariffario sia dichiarato inefficace, con riduzione del canone dell'acqua, va riservata al giudice amministrativo. Infatti, una tale domanda non censura "incidenter tantum" il provvedimento amministrativo, chiedendone la disapplicazione ai fini della tutela del diritto soggettivo al pagamento di un canone contrattualmente stabilito ma investe in via principale le scelte discrezionali dell'ente, in ordine alla determinazione del canone, e contesta l'organizzazione del servizio, facendo valere una situazione giuridica qualificabile come interesse legittimo correlato ad un atto adottato dall'ente territoriale come autorità nell'esercizio di una potestà amministrativa, al di fuori di un rapporto negoziale di tipo paritetico".