Regolamenti comunali e installazione di impianti di telefonia mobile (2/2018)

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CONS. STATO, sez. V, 23 marzo 2018, n. 1875
Il giudice di primo grado aveva ritenuto che il Comune di Anguillara Sabazia non avesse "introdotto un divieto generalizzato all'installazione di impianti di telefonia mobile bensì si [fosse] limitato a dettare prescrizioni regolamentari atte ad individuare siti sensibili” in stretta aderenza alla facoltà attribuita dall’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001 n. 36".

L'appellante contesta tale assunto, rilevando che i più recenti orientamenti della giurisprudenza hanno affermato la potestà dell'ente comunale di imporre legittime preclusioni, ma a condizione che esse si fondino su criteri di localizzazione "concreti, omogenei e specifici" e che comunque sia sempre garantita, anche attraverso la sempre possibile deroga a detti criteri, la copertura radioelettrica e non determinino "l'impossibilità della localizzazione".
Secondo la società appellante, nel caso in esame, la preclusione imposta dal Comune di Anguillara Sabazia sarebbe del tutto generica e non dettagliata, assoggettando alla disciplina dei divieti, ad esempio, anche gli edifici "a destinazione sanitaria - residenziale", con ciò lasciando intendere l'assoluta irrazionalità di un divieto che come tale sarebbe esteso a tutti gli edifici abitati del comune.
Il motivo risulta fondato.
Al riguardo, è utile ricordare che la diposizione regolamentare contestata impone il divieto "di installazioni in prossimità (raggio di 300 mt.) e sopra edifici scolatici, a destinazione sanitaria - residenziale, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, asili nido parchi gioco, impianti sportivi adiacenti alle scuole, strutture che accolgono minori nonché edifici vincolati ai sensi della normativa vigente classificati di interesse storico architettonico e monumentale, di pregio storico e di valore testimoniale ....".
È altresì utile ricordare il pertinente quadro legislativo nel quale si colloca la materia in questione, onde valutare la legittimità della disposizione innanzi richiamata. A questo proposito, si osserva che, ex art. 4 co. 1 lett. a), l. n. 36/2001: "Lo Stato esercita le funzioni relative: a) alla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d), numero 2), in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 12".
L'art. 8, co. 1 lett. a) della cit. legge n. 36 dispone che: "Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità nonché dei criteri e delle modalità fissati dallo Stato, fatte salve le competenze dello Stato e delle autorità indipendenti: a) l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, ai sensi della legge 31 luglio 1997, n. 249, e nel rispetto del decreto di cui all'articolo 4, comma 2, lettera a), e dei principi stabiliti dal regolamento di cui all'articolo 5".
Giova, altresì, richiamare quanto sancito dall'art. 8, co. 6, l. 36/2001, alla cui stregua: "I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".
Le ricordate disposizioni sono già state oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza. In particolare, lo stesso Consiglio di Stato (Sez. III, sent. del 30 settembre 2015, n. 4577), in ordine ad una fattispecie analoga, ha così argomentato: "La disciplina generale della localizzazione degli impianti di telefonia mobile (id est: la introduzione di prescrizioni generali relative alle distanze minime da rispettare nel caso di installazione di impianti di tal fatta, nonché la fissazione dei limiti di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici), è riservata allo Stato. E ciò sia in quanto espressione del generale e pervasivo potere al medesimo attribuito di introdurre nell'Ordinamento "principi fondamentali" atti a vincolare l'attività legislativa regionale e l'attività normativa locale (ai sensi dell'art. 117, ultimo comma, della Costituzione), sia in quanto intrinsecamente connessa alla c.d. determinazione dei 'livelli essenziali delle prestazioni' che l'Amministrazione è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale, nell'erogazione dei servizi pubblici relativi (anche) alla tutela della salute (in forza dell'art. 117, comma 2°, lett. 'm', della Costituzione), sia - ancora - in quanto concernente la salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema (ai sensi dell'art. 117, comma 2°, lett. 's', della Costituzione), sia - infine - in quanto attività connessa alla fornitura di reti di comunicazione elettronica; 'materie' - tutte - di preminente interesse generale, siccome coinvolgenti l'interesse nazionale (Corte Cost. n. 307/2003). In aderenza a tale principio, in precedenti analoghi è stato già affermato: - che "alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell'ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile … quali, ad esempio, il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura etc.), mentre non è consentito introdurre limitazioni alla localizzazione consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizioni di distanze minime da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni e/o a luoghi di lavoro, di ospedali, di case di cura ...)" (C.S., VI^, n. 3452/2006; Id., n. 2371/2010; Id. n. 44/2013); - e che "va dichiarata la illegittimità dei regolamenti che prevedono una zonizzazione indipendente dalle esigenze dei gestori del servizio di telefonia mobile e che, cioè, circoscrivono gli impianti a specifiche aree, appositamente individuate, senza subordinare le relative scelte alla previa e puntuale verifica della coerenza della disciplina pianificatoria con la necessità che venga in concreto assicurata sull'intero territorio comunale l'intera copertura del servizio" (C.S., IV, n. 1431/2007). E poiché nella fattispecie il Comune ha spinto le proprie competenze ben oltre i limiti imposti dalla Costituzione e dalla menzionata legislazione statale d'interesse nazionale, esercitando - mediante il suo potere regolamentare - attribuzioni riservate allo Stato (nella specie: ha introdotto una prescrizione generale avente ad oggetto l'indicazione della distanza minima degli impianti da realizzare rispetto ad alcuni 'tipi' o 'categorie' di immobili, senza - però - individuarli specificamente), correttamente il Giudice di primo grado ne ha stigmatizzato negativamente la condotta, statuendo l'annullamento dei provvedimenti impugnati innanzi ad esso e la disapplicazione della norma regolamentare confliggente con il corretto riparto delle funzioni".
In linea con quanto appena rammentato, sempre il Consiglio di Stato (Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 44) ha ribadito che: "alle Regioni ed ai Comuni è consentito - nell'ambito delle proprie e rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi). Ne deriva che la scelta di individuare, come nel caso di specie, un'area ove collocare gli impianti in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito). A ciò deve aggiungersi che la potestà attribuita all'amministrazione comunale di individuare aree dove collocare gli impianti è condizionata dal fatto che l'esercizio di tale facoltà deve essere rivolto alla realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni, tale da non pregiudicare, come ritenuto dalla giurisprudenza, l'interesse nazionale alla copertura del territorio e all'efficiente distribuzione del servizio" (cfr. Cons. St., Sez. VI, 5 dicembre 2005, n. 6961).
E sempre sulla illegittimità di una scelta amministrativa preclusiva condizionata dalla mera distanza da un sito si è pronunciata la stessa Corte costituzionale (Corte cost., 7 novembre 2003, n. 331), la quale, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 3 comma 12 lett. a), l. reg. Lombardia 6 marzo 2002 n. 4, ha ritenuto che: "tale disposizione, stabilendo un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze, costituisce non già un criterio di localizzazione, la cui individuazione è rimessa dall'art. 3 lett. d) n. 1, l. 22 febbraio 2001 n. 36 alla legislazione regionale, ma un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, e quindi in una limitazione alla localizzazione, non consentita dalla legge quadro, in considerazione dell'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi. Né la disposizione regionale può trovare giustificazione nel generale principio di derogabilità in melius (rispetto alla tutela dei valori ambientali), da parte delle regioni, degli standard posti dallo Stato, in quanto in presenza di una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni, interventi regionali di tipo aggiuntivo devono ritenersi, a differenza che in passato, incostituzionali, perché l'aggiunta si traduce in una alterazione e quindi in una violazione, dell'equilibrio tracciato dalla legge statale di principio (cfr. C. cost. n. 382 del 1999, 307 del 2003)".
Alla luce di tale coordinate ermeneutiche innanzi delineate, la sentenza di primo grado non viene confermata.