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La Grande Camera della CEDU si pronuncia sul caso G.I.E.M. S.R.L. and Others v. Italy: l’ultima tappa della saga sulla confisca in assenza di condanna? (3/2018)

Il 28 giugno 2018, la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani (d’ora innanzi CEDU) ha adottato l’attesa sentenza nel caso G.I.E.M. S.R.L. and Others v. Italy nella quale ha confermato la condanna stabilita dalla Camera nei confronti dell’Italia per violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione europea e 1 del suo Protocollo n. 1. Il caso è particolarmente rilevante perché tratta la questione della compatibilità della applicazione della misura della confisca dei terreni abusivamente lottizzati, prevista dall’art. 44, comma 2, del Testo Unico in materia di edilizia, con i principi della legalità e del giusto processo in materia penale e con il diritto alla tutela della proprietà privata. I profili di incompatibilità si prospettano, in particolare, quando la confisca è comminata indipendentemente dalla emanazione di una sentenza penale di condanna per il reato di lottizzazione abusiva. Come è noto, si tratta di una materia che ha già visto confrontarsi la CEDU (sent. Sud Fondi srl c Italia e Varvara c. Italia) e la Corte Costituzionale (sent. 49 del 2015) con posizioni discordanti.

 

La sentenza che si segnala ha confermato in gran parte l’orientamento della CEDU, ad esempio per ciò che concerne la ritenuta natura penale della sanzione della confisca, dedotta dal suo carattere gravemente afflittivo e dall’autonomia del giudice penale (par. 222 e seguenti). Essa ha tuttavia anche apportato precisazioni concernenti l’interpretazione dell’art. 7 della Convenzione europea, allorché ha distinto la posizione dei diversi ricorrenti, quella del sig. Gironda, da un lato, e quella delle società ricorrenti, dall’altro.

Per quanto riguarda la posizione del sig. Gironda, nei confronti del quale la sanzione della confisca era stata comminata in seguito all’adozione di sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione del reato, la CEDU ha precisato un punto importante del suo precedente orientamento, qui cogliendo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale. Ha infatti considerato come la sentenza di assoluzione emessa nei confronti del sig. Gironda avesse in sostanza già accertato la responsabilità dell’imputato per aver consapevolmente commesso il reato di lottizzazione abusiva. Infatti, il processo non si era concluso con una sentenza di condanna solo a causa del decorso del termine di prescrizione. La CEDU ha quindi considerato che il presupposto della previa adozione di una sentenza di condanna, richiesto dalla sentenza Varvara c. Italia, fosse da interpretare in senso sostanziale e da ritenere integrato ogniqualvolta, a prescindere dalla forma del pronunciamento finale del giudice, il processo avesse già condotto all’accertamento di entrambi gli elementi, oggettivo e soggettivo, del reato e, pertanto, ad una piena verifica della sua colpevolezza (par. 252). Così ragionando, la CEDU è pervenuta a escludere la violazione dell’art. 7 della Convenzione europea nei confronti del ricorrente. Essa ha tuttavia ritenuto che quest’ultimo avesse subito una violazione del principio di innocenza tutelato dall’art. 6, par. 2, della Convenzione europea (par. 317). In proposito, la CEDU ha infatti considerato come, nel caso di specie, il ricorrente, dopo essere stato condannato in primo grado, era stato assolto in appello per non aver commesso il fatto. Successivamente la Cassazione aveva cassato senza rinvio la sentenza di appello e, nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, aveva nondimeno disposto la confisca. Secondo la CEDU “il verdetto di colpevolezza susseguente ad un’assoluzione con formula piena, in un contesto in cui il reato è estinto e, dunque, non può esservi istruzione probatoria, costituisce una violazione del diritto di difesa dell’imputato ed è, pertanto, incompatibile con l’art. 6 § 2 della Convenzione” (par. 250).

Con riguardo, invece alla ravvisata violazione dell’art. 1 Prot. n. 1, la CEDU, confermando quanto già affermato nelle sentenze Sud Fondi c. Italia e Varvara c. Italia, ha ribadito assai incisivamente la necessità che i provvedimenti della pubblica autorità che interferiscano con il pacifico godimento della proprietà privata siano, oltre che previsti dalla legge, proporzionati rispetto allo scopo perseguito. Proporzionalità che la CEDU ha messo in discussione con riguardo alla confisca urbanistica, in considerazione del suo carattere rigido e obbligatorio che non consente al giudice di calibrare la misura a seconda della gravità della condotta e che viene applicato senza rispettare i principi del contraddittorio, come in effetti è avvenuto per le società ricorrenti (par. 103). 

La CEDU ha poi differenziato la posizione del sig. Gironda da quella delle società ricorrenti rispetto alle quali ha constatato, in aggiunta alle violazioni degli articoli 6 della Convenzione europea e 1 del primo Protocollo, anche la violazione dell’art. 7, perché queste non avevano potuto partecipare al processo penale (par. 275). Essa ha in particolare osservato: “la Corte osserva che nel diritto italiano, come in vigore all'epoca dei fatti, ai sensi del principio societas delinquere non potest («le persone giuridiche non possono commettere reati»), le società a responsabilità limitata non possono, in quanto tali, essere parti in un procedimento penale, nonostante la loro personalità giuridica distinta. Di conseguenza, non potevano essere legalmente rappresentate nei procedimenti penali in questione, mentre invece le azioni (e la responsabilità che ne derivava) dei loro rispettivi rappresentanti legali sono state loro direttamente attribuite. Le società erano pertanto terze parti in questi procedimenti, come confermato dalle sentenze dei giudici nazionali” (par. 266). Essa ha quindi concluso che la applicazione della confisca alle società ricorrenti che non erano parti in causa fosse contraria al principio di legalità.

Vi è infine un ultimo punto che merita attenzione e concerne il valore da attribuire alle sentenze CEDU nei giudizi interni. Al riguarda, in un significativo obiter dictum, la CEDU ha reagito all’interpretazione resa dalla Corte Costituzionale nella sentenza 49 del 2015 che aveva limitato il valore vincolante della giurisprudenza CEDU alle sole sentenze che fossero espressive di orientamenti consolidati, individuando tra i criteri utili (ancorché presumibilmente non decisivi) al fine di guidare il giudice nel compito di selezionare la giurisprudenza rilevante la creatività del principio di diritto rispetto alla giurisprudenza pregressa, la presenza e il numero di opinioni dissenzienti, il pronunciamento della sentenza da parte della Grande Camera. Nel passaggio chiave la Corte Costituzionale ha in particolare affermato: “è (…) solo un ‘diritto consolidato’, generato dalla giurisprudenza europea, che il giudice interno è tenuto a porre a fondamento del proprio processo interpretativo, mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo” (C. Cost. 26 marzo 2015, n. 49, punto 4 del “considerando in diritto”, sentenza commentata in questa rivista da D. Russo, Ancora sul rapporto tra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo: brevi note sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 2015, fasc. 2/2015). Nella sentenza che si segnala la CEDU, nel confermare il principio di diritto enunciato nella sentenza Varvara c. Italia concernente l’art. 7 della Convenzione europea, non ha mancato di rispondere alla Corte Costituzionale nei seguenti termini: “la Corte sottolinea che le sue sentenze hanno tutte lo stesso valore giuridico. Il loro carattere vincolante e le loro autorità interpretativa non possono pertanto dipendere dal collegio giudicante che le ha pronunciate” (par. 252). Il passaggio è breve ma chiaro nell’escludere la possibilità di individuare criteri distintivi circa l’autorità interpretativa che promana dalle sentenze CEDU e che si impone al giudice nazionale nell’interpretare i diritti protetti dalla Convenzione europea.

Osservatorio sulle fonti

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