Regolamento comunale e libero esercizio dell’attività economica privata (1/2020)

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CONS. STATO, sez. V, 8 gennaio 2020, n. 139

Il Consiglio di Stato decide sull’appello proposto contro la sentenza del TAR Lazio n. 7621 del 2019, che ha accolto solo in parte il ricorso di primo grado, annullando parzialmente il Regolamento sul commercio di Roma Capitale con riferimento all'art. 8, nella parte in cui prevedeva tre anni di anzianità all'albo artigiani o alla Camera di Commercio per esercitare le attività tutelate, ed in parte all'art. 12, comma 4, nella parte in cui limitava la cessione e l’affitto di attività non tutelata, confermandone, invece, la legittimità con riferimento a quella vietata.

Per il resto la sentenza ha confermato il Regolamento, che vieta l'apertura di laboratori ed esercizi di vicinato per un triennio, e che è ritenuto dall’appellante in contrasto con l’interesse ad aprirne di nuovi, e che impone, altresì, sempre a parere dell’appellante, illogiche ed illegittime restrizioni al libero esercizio dell'attività economica privata.
Secondo il giudicante, il Regolamento comunale in materia di commercio è stato legittimamente adottato sulla base della normativa regionale esistente, e che trae il proprio fondamento, oltre che negli artt. 117 e 118 della Costituzione, negli artt. 3, 4, comma 3, e 5 del d.lgs. n. 267 del 2000 e nell’art. 5 della legge della regione Lazio n. 14 del 1999, come costantemente statuito dalla giurisprudenza amministrativa, la regolamentazione sul commercio urbano - settore in cui il Comune è anche titolare di competenze proprie ex art. 10, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 114 del 1998, 31 del d.l. n. 201 del 2011, 64 del d.l. n. 138 del 2011 - è pienamente compatibile con il quadro normativo nazionale e comunitario, anche con riferimento al riparto di competenze tra Regioni e Comuni, in forza dei particolari requisiti e caratteristiche locali di natura storica, artistica, culturale ed urbanistica di Roma.
Le limitazioni sono, invero, imposte sulla base di elementi oggettivi e non discriminatori, che consentano di apprezzare la congruità della restrizione massima con la tutela delle suddette esigenze e dunque nel rispetto dei principi comunitari di ragionevolezza e proporzionalità, sulla cui base deve sempre essere effettuato il bilanciamento tra le esigenze di liberalizzazione in funzione di promozione della concorrenza e la salvaguardia di urgenze di ordine imperativo a tutela di interessi generali.
Inoltre, la predetta disciplina regolamentare “non contrasta con la normazione statale in materia di liberalizzazione del commercio (nella misura in cui questa contempla l’esclusione della apponibilità di limitazioni quantitative e qualitative di vendita delle merci per gli esercizi autorizzati), né con il principio costituzionale di libertà nell’iniziativa economica privata, la quale deve comunque essere coordinata e indirizzata alle utilità e alle finalità sociali, non potendo svolgersi in contrasto con esse” (Cons. Stato, 30 luglio 2018, n. 4663).
Deve, inoltre, richiamarsi un precedente della sezione (Cons. Stato, sez. V, 14 gennaio 2019, n. 298), che ha affermato importanti principi in tema di legislazione nel settore del commercio e di rapporto tra la stessa e la normativa in materia di liberalizzazione.