Le leggi regionali siciliane (agosto – dicembre 2019) (1/2020)

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L’attività legislativa della Regione Siciliana del periodo agosto - dicembre 2019 è consistita nella approvazione di quindici leggi, un terzo delle quali sono state oggetto di impugnativa da parte dello Stato ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, e verranno analizzate in questa sede.

1. La prima legge oggetto di impugnazione governativa è la legge 6 agosto 2019, n. 14 Collegato alla legge di stabilità regionale per l’anno 2019 in materia di pubblica amministrazione e personale. Interventi in favore dell’aeroporto di Trapani Birgi. (6-8-2019).

 

Secondo il Governo, l’art. 3, comma 2, che al fine di garantire adeguate risorse umane e finanziarie all’Autorità Garante della persona con disabilità di cui alla legge regionale n. 47 del 2012, autorizza per l’esercizio finanziario 2019 la spesa di 45 mila euro per il funzionamento dello stesso e per ogni altra iniziativa promossa dall’Autorità stessa nell’ambito delle proprie funzioni, «pur essendo suscettibile di avere impatto pluriennale non quantifica l’ammontare degli oneri finanziari per gli anni successivi al 2019, né specifica i relativi mezzi di copertura», violerebbe l’obbligo di copertura finanziaria delle leggi di spesa prescritto dall’articolo 81, terzo comma, della Costituzione. 

Parimenti in contrasto con il terzo comma dell’art. 81 Cost.
sarebbe l’articolo 7 contenente Disposizioni in materia di trattamento pensionistico dei dipendenti regionali, che estende ai dipendenti della Regione Sicilia l’applicazione delle disposizioni sul trattamento anticipato di pensione (c.d. “quota 100”) e di indennità di fine servizio di cui al decreto legge n. 4 del 2019, articoli 14 e 23, comma 1. In assenza di tale previsione, i dipendenti della Regione Sicilia, la cui gestione previdenziale è affidata al Fondo pensioni Sicilia, sarebbero esclusi dal campo di applicazione delle disposizioni del suddetto decreto. Orbene, secondo il Governo, tale aggravamento degli oneri previdenziali per la finanza pubblica in termini di maggiore spesa pensionistica e per trattamenti di fine servizio, sarebbe «totalmente asistematica e suscettibile di determinare richieste emulative comportanti ulteriori e rilevanti oneri per la finanza pubblica». 
Vero è che il comma 3 dell’art. 7 impugnato riporta la clausola di invarianza finanziaria secondo la quale «Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio della Regione», ma non risulta corredata della Relazione tecnica che indichi nel dettaglio le ragioni dell’invarianza degli effetti legislativi sui saldi della finanza regionale.

Tale carenza contrasterebbe con il comma 6-bis dell’articolo 17 della legge n. 196 del 2009, a norma del quale «Per le disposizioni corredate di clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica riporta la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l’ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l’indicazione dell’entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione», determinando dunque una lesione dell’art. 81 Cost.

Infine, è impugnato l’articolo 11 Modifiche all’articolo 7 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 in materia di bilanci regionali degli enti regionali che prevede per gli organismi ed enti strumentali della Regione di cui all’articolo 6, comma 3, della legge regionale n. 16 del 2017 un ulteriore differimento, dal 31 dicembre 2018 al 31 dicembre 2020, dell’applicazione delle disposizioni dell’articolo 11 della legge regionale n. 3 del 2015. Quest’ultimo, in attuazione dell’impegno assunto dalla Regione con l’Accordo sottoscritto con il Governo in data 9 giugno 2014 e trasfuso nella legge regionale n. 21 del 2014, disciplinava il recepimento nell’ordinamento contabile della Regione e dei suoi enti ed organismi strumentali delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 118 del 2011 in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, a partire dall’inizio del 2015. L’ulteriore rinvio del termine di adozione dei principi contabili recati dal decreto legislativo n. 118 del 2011 da parte degli organismi e degli enti strumentali della Regione, secondo il ricorrente «si configura quale surrettizia elusione degli stessi principi e, pertanto, la norma in esame presenta profili di incostituzionalità, intervenendo in materia di competenza esclusiva statale», in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che riserva allo Stato la materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici. 

2. La seconda legge impugnata è la legge 6 agosto 2019, n. 15 recante Collegato alla legge di stabilità regionale per l’anno 2019 in materia di autonomie locali che si porrebbe in contrasto con l’art. 117, terzo comma in materia di coordinamento della finanza pubblica. In particolare l’articolo 3, comma 3 sostituisce il comma 3 dell’art. 22 della legge regionale 22 febbraio 2019, n. 1, stabilendo che il reclutamento con le procedure di cui alla legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85, alla legge regionale 14 aprile 2016, n. 16, alla legge regionale 29 dicembre 2003, n. 21, alla legge regionale 31 dicembre 2007, n. 27 e all’articolo 12 della legge regionale 29 dicembre 2009, n. 13, per i lavoratori individuati dall’art. 34 della legge regionale 18 maggio 1996, n. 33, è requisito utile ai fini dell’applicazione dell’art. 20, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75. 

Quest’ultima disposizione  prevede che le Amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’art. 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che sia «stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione».

Dunque, la legge della Regione Sicilia estende il requisito appena richiamato al reclutamento previsto con le procedure disposte da leggi regionali nell’arco temporale 1995/2009 e che attengono, in larga misura, alle procedure di inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità sociale, all’utilizzazione di lavoratori di aziende in crisi in progetti di pubblica utilità. Così facendo, si amplia quindi la sfera dei destinatari in violazione della normativa statale sopra richiamata e, come la Corte costituzionale, con sentenza n. 37 del 2016, ha precisato al riguardo, in una analoga vicenda relativa a una legge regionale della Puglia, la disciplina statale di principio si riferisce all’apparato amministrativo delle Regioni ed al relativo personale. 

Da qui l’illegittimità della scelta normativa regionale siciliana che non tiene conto degli effetti di natura finanziaria di tale ampliamento.

3. Anche diverse disposizioni della legge 18 ottobre 2019, n. 17 recante Collegato alla legge di stabilità regionale per l’anno 2019 in materia di attività produttive, lavoro, territorio e ambiente, istruzione e formazione professionale, attività culturali, sanità. Disposizioni varie sono state oggetto di impugnazione governativa.

3.1. Innanzitutto l’articolo 2, commi 7 e 8 che disciplina un processo di rimodulazione in riduzione della dotazione organica dell’Istituto Incremento ippico per la Sicilia e la conseguente gestione delle eccedenze secondo le previsioni dell’articolo 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001, normativa direttamente applicabile al personale della regione e degli enti da essa vigilati in base all’articolo 23 della legge regionale n. 10 del 2000.

In realtà, secondo il Governo, «la legge regionale – laddove prevede uno strumento di gestione dell’eccedenza di personale, i cui oneri sono posti a carico dell’amministrazione che presenta situazioni di eccedenza – pare dettare disposizioni ulteriori rispetto alla legge statale, che non trovano riscontro nell’articolo 33 del decreto legislativo 165 del 2001 che (...) costituisce norma riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione».

3.2. Il Governo ritiene inoltre in contrasto con l’art. 117, c. 2, lettera l), della Costituzione e con il principio del pubblico concorso di cui all’articolo 97, quarto comma, della Costituzione – quale canale di accesso ordinario agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni – alcune previsioni contenute nell’art. 13 della legge. Esse prevedono, infatti, la possibilità di estendere il regime delle stabilizzazioni di cui all’articolo 30 della legge regionale n. 5 del 2014, che recepisce la normativa statale, ex decreto-legge n. 101 del 2013, anche agli LSU/LPU che abbiano già beneficiato di assunzione presso soggetti privati e che siano già destinatari dei benefici previsti dalla normativa vigente per la stabilizzazione dei lavoratori destinatari del regime transitorio dei lavori socialmente utili in caso di crisi aziendali (art. 2, comma 5, della L.R. n. 4 del 2006, richiamato nel testo dell’art. 20 della LR n. 8 del 2017). 

Tale estensione appare di dubbia legittimità anche alla luce dei chiarimenti interpretativi forniti dal Dipartimento della Funzione pubblica con circolare n. 5 del 2013, secondo cui non sarebbero riconducibili nell’ambito soggettivo di applicazione del regime delle stabilizzazioni previsto dal decreto-legge n. 101 del 2013, di cui la legge regionale n. 5 del 2014 costituisce applicazione, i lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità già stabilizzati presso soggetti privati.

3.3. Rilievi analoghi, ma limitati alla presunta violazione della competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile, sono mossi nei riguardi dell’art. 15, commi 3 e 4 (Provvedimenti a favore dei lavoratori utilizzati in attività socialmente utili).

3.4. Anche l’articolo 22, che sostituisce i commi 2, 3 e 4, dell’articolo 75 della legge regionale n. 8 del 2018 riguardanti procedure di stabilizzazione di personale impiegato nella sanità penitenziaria dell’ambito territoriale regionale, prevedendo che l’assessore regionale per la salute adotti linee guida per la disciplina dei rapporti di lavoro instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 con il personale sanitario operante presso gli istituti penitenziari, si porrebbe in contrasto con il medesimo parametro di costituzionalità, intervenendo, diversamente da quanto previsto a livello nazionale, su rapporti privatistici e segnatamente sulla disciplina dei rapporti di lavoro.

Inoltre, la disposizione di cui all’articolo 22 violerebbe anche gli articoli 81 e  117, comma 3 della Costituzione, atteso che le vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale degli enti del SSN si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché determina una proroga dei contratti già oggetto di impugnativa (l.r.n. 8/2018, in ordine al quale il Consiglio dei Ministri del 6 luglio 2018 ha disposto l’impugnativa), comportando oneri non compatibili con la cornice economico-finanziaria programmata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario cui la Regione Siciliana è sottoposta.

3.5. L’articolo 8 modifica il comma 1 dell’articolo 79 della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, sostituendo le parole «31 dicembre 2018» con le parole “31 dicembre 2019”.

Tale proroga di un anno del termine di applicabilità di una norma che consente l’utilizzo da parte degli Istituti autonomi case popolari della Sicilia «a titolo esclusivo di anticipazione di liquidità», delle somme derivanti «dalle economie di finanziamenti e cessione di cui alla legge 24 dicembre 1993, n. 560», ancorché non vincolate da programmazione e a condizione che tali debiti maturati risultino iscritti in bilancio, nonché con obbligo di reintegro, ai fini del ripianamento delle situazioni debitorie degli stessi Istituti, secondo il Governo  «non risulta in linea con le norme introdotte dall’art. 3, comma 1, del decreto legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, recante Misure per l’alienazione del patrimonio residenziale pubblico». Esso infatti ha previsto che «Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente». 

Il Governo rammenta a tal proposito la sentenza n. 273 del 2016 della Corte costituzionale, nella quale si osservava come l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, nell’imporre la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, esprimesse una scelta di politica nazionale di non depauperamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, diretta a fronteggiare l’emergenza abitativa e, al tempo stesso, la crisi del mercato delle costruzioni. Il vincolo di destinazione esclusiva stabilito dalla norma statale va pertanto considerato come l’espressione di un principio fondamentale nella materia «coordinamento della finanza pubblica», con il quale il Legislatore statale ha inteso fissare una regola generale di uso uniforme delle risorse disponibili provenienti dalle alienazioni immobiliari, sicché una norma regionale «che consente agli enti di gestione di destinare parte dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a un diverso fine contrasta con il principio dettato dalla norma di riferimento e invade, in questo modo, la competenza concorrente dello Stato nella materia coordinamento della finanza pubblica, violando l’art. 117, terzo comma Cost. 

Secondo il Governo, alla luce della giurisprudenza costituzionale richiamata, «la norma di cui all’articolo 8 della legge regionale n. 17 del 2019, contrastando con il parametro interposto rappresentato dall’articolo 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, eccede le competenze attribuite alla Regione dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e viola un principio fondamentale nella materia, di legislazione concorrente, del coordinamento della finanza pubblica, di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione», al cui rispetto sono tenuti anche gli enti ad autonomia differenziata (Corte cost., sentt. n. 77 del 2015, n. 139 del 2012, n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011).

3.6. Infine – con riferimento agli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni di cui alla legge in esame, gli articoli 2, 5, 12, 22, 25 e 27 riportano clausole di invarianza finanziaria volte a specificare che dall’attuazione delle disposizioni ivi recate non derivano nuovi oneri a carico della finanza pubblica e che tutte le strutture regionali interessate provvedono ai relativi adempimenti nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il Governo muove, a tal riguardo, rilievi analoghi a quelli mossi nei confronti dell’art. 3 della legge regionale n. 14 del 2019 sopracitata: «la legge in esame non risulta corredata della relazione tecnica prevista dall’articolo 17 della legge n. 196 del 2009 che indichi nel dettaglio le ragioni dell’invarianza degli effetti legislativi sui saldi della finanza regionale. Si richiama, in particolare, il comma 6-bis che impone – anche al Legislatore regionale – di corredare dette clausole di una relazione tecnica che riporti la valutazione degli effetti, i dati e gli elementi idonei a suffragare l’ipotesi di invarianza, l’indicazione dell’entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione. La relazione tecnica assume, pertanto, non solo un rilievo illustrativo, bensì dimostrativo del rispetto, da parte del nuovo provvedimento legislativo, del parametro costituzionale sulla copertura finanziaria degli oneri. Ne consegue che la declaratoria di assenza di onere non vale di per sé a rendere dimostrato il rispetto dell’obbligo di copertura». 

Per tali ragioni, in assenza di elementi idonei a suffragare le suddette clausole di invarianza finanziaria, le disposizioni richiamate sono ritenute in contrasto con l’articolo 81, terzo comma, Cost..

4. La quarta legge della Regione Siciliana impugnata nel periodo in esame è la legge 28 novembre 2019, n. 19 recante Disposizioni per la rideterminazione degli assegni vitalizi, che affronta il noto tema del c.d. “taglio dei vitalizi”.

Essa prevede che gli assegni vitalizi diretti e di reversibilità in corso di erogazione e quelli non ancora erogati dall’Assemblea regionale siciliana, il cui ammontare è definito alla data del 31 dicembre 2011 sulla base delle previgenti norme dei regolamenti interni all’Assemblea, siano ridotti, a decorrere dal 1° dicembre 2019, considerando il loro importo lordo, secondo le disposizioni di cui all’articolo 1 della legge in esame. 

Orbene, la legge regionale contiene delle previsioni, in particolare i commi 12  e 13 del citato articolo, che eccedono dalle competenze legislative attribuite alla Regione dagli articoli 14 e 17 dello Statuto speciale per la Sicilia prevedendo rispettivamente una riduzione individuale degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità secondo le modalità di calcolo contributivo previste dall’articolo 1, limitatamente a un periodo di cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge regionale n.19 del 2019, e stabilendo che il periodo di cinque anni sia valevole anche nel caso di applicabilità della riduzione individuale aggiuntiva degli assegni del 5 per cento per la parte eccedente l’importo di 37.000 euro lordi annui nonché dell’ulteriore quota aggiuntiva del 5 per cento per la parte eccedente l’importo di 62.000 euro lordi annui. 

Entrambi i commi dell’articolo 1, secondo il Governo, «non rispettano le disposizioni contenute nell’articolo 1, commi 965 e 966, della legge di bilancio n. 145 del 2018 ai sensi delle quali, ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del contenimento della spesa pubblica, a decorrere dall’anno 2019, le regioni anche ad autonomia speciale, sono tenute a rideterminare la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere in favore di coloro che abbiano ricoperto la carica di presidente della regione, di consigliere regionale o di assessore regionale; obbligo il cui inadempimento è peraltro sanzionato dal medesimo comma 965. (...) Tale rideterminazione deve avvenire, ai sensi del successivo comma 966, secondo i criteri ed i parametri deliberati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, al fine di favorire l’armonizzazione delle rispettive normative». 

Le norme della legge regionale sopra richiamate risulterebbero invece difformi dalle previsioni statali, nonché dai criteri definita nell’Intesa deliberata dalla Conferenza Stato-regioni il 3 aprile 2019 e nell’allegata nota metodologica per il ricalcolo degli assegni vitalizi sulla base del metodo contributivo, dato che la disciplina contenuta nella legge regionale è limitata nella sua applicazione ad un periodo di tempo determinato (cinque anni) e non costituisce, pertanto, una norma a regime, mutando così la natura dell’intervento previsto dalla normativa statale in una misura temporalmente contingente.  

Anche in questo caso il Governo richiama ampiamente la giurisprudenza costituzionale (cfr. da ultimo sentenza n. 103 del 2018), secondo la quale i principi fondamentali stabiliti dallo Stato nell’esercizio della competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche alle autonomie speciali in quanto funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche, nonché a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

Inoltre, i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio dell’accordo, inteso come vincolo di metodo (e non già di risultato) e la difformità delle disposizioni regionali dalla citata Intesa Stato-Regioni deliberata il 3 aprile 2019 violerebbe il principio di leale collaborazione, costituzionalmente garantito.

Per le considerazioni sopra esposte, conclude il Governo, «le previsioni di cui ai commi 12 e 13 dell’articolo 1 della legge regionale contrastano con le disposizioni legislative statali di cui ai commi 965, 966 e 967 dell’articolo 1 della legge n. 145/2018 e della citata Intesa, prevista dalla normativa statale, deliberata in Conferenza Stato-Regioni, in violazione del principio di coordinamento di finanza pubblica di cui all’articolo 117, comma 3 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione che deve presiedere ai rapporti tra lo Stato e le Regioni e del principio di uguaglianza e ragionevolezza, di cui all’articolo 3 della Costituzione, in quanto la norma censurata darebbe luogo, per la Regione Siciliana, ad una disciplina diversa da quella adottata in materia dalle altre Regioni». 

5. L’ultima legge regionale impugnata dal Governo è la legge 28 novembre 2019, n. 21 recante Riordino del settore dell’assistenza nelle aree pediatriche.

Essa prevede il riordino del settore dell’assistenza nelle aree pediatriche delle aziende ospedaliere, delle aziende ospedaliere universitarie e dei presidi ospedalieri della Regione, attraverso l’impiego della figura del collaboratore professionale sanitario infermiere pediatrico, di cui al Decreto del Ministro della sanità 17 gennaio 1997, n. 70. A tal fine l’art. 2 della legge stabilisce che le dotazioni organiche relative alle predette aree pediatriche devono prevedere prioritariamente l’impiego di infermieri pediatrici, senza nuovi o maggiori oneri a carico dei medesimi enti, e l’art 3 dispone che le procedure concorsuali per le figure professionali degli infermieri devono prevedere una quota di infermieri pediatrici proporzionale al rapporto tra i ricoveri di soggetti in età pediatrica e i ricoveri complessivi, calcolato sulla media dei due anni precedenti al bando. 

Secondo il Governo, i menzionati artt. 2 e 3 «contrastano con i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto introducono sic et simpliciter un criterio di determinazione del fabbisogno degli infermieri pediatrici nell’ambito delle strutture sanitarie del Servizio Sanitario Regionale svincolato dal rispetto dei vincoli di spesa per il personale dettati dalle norme statali, nonché dalla prescritta coerenza con le previsioni di cui ai piani triennali dei fabbisogni di personale (stabiliti dall’articolo 11, comma 1, d.l. n. 35 del 2019 e all’articolo 6-ter, d.lgs. n. 165 del 2001) e dal piano di rientro dal disavanzo sanitario al quale è soggetta la Regione.

A sostegno della lamentata illegittimità il Governo richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, laddove afferma che «l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa»; limiti che si inseriscono in un «quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni dell’assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario». Sicché il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (sentt. n. 89 del 2019, 52 del 2010, 193 del 2007).