L’immunità giurisdizionale in materia di attività di classificazione e certificazione delle navi, svolte da persone giuridiche di diritto privato su delega di uno Stato (terzo), all’esame della Corte di Giustizia (2/2020)

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Sentenza della Corte di giustizia (Prima Sezione) del 7 maggio 2020, Rina, Causa C‑641/18, ECLI:EU:C:2020:349

La Corte ha affermato che il ricorso proposto nei confronti di una persona giuridica di diritto privato che ha svolto operazioni di classificazione e certificazione di una nave su delega di uno Stato terzo rientra nella nozione di “materia civile e commerciale” di cui al regolamento 44/2001 (c.d. regolamento Bruxelles I) e, dunque, nell’ambito di applicazione di quest’ultimo, qualora la suddetta attività non risulti esercitata attraverso prerogative proprie dei poteri pubblici, valutazione questa che spetta al giudice nazionale. In tale ipotesi, la circostanza che le attività siano state poste in essere su delega di uno Stato, non osta alla competenza del giudice nazionale adito conformemente alle norme del regolamento. La Corte ha altresì precisato che, qualora il giudice nazionale ritenga che, ai sensi del diritto internazionale, le attività di classificazione e certificazione non siano state realizzate attraverso prerogative proprie dei pubblici poteri, la norma di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale non osta alla competenza del giudice nazionale, ai sensi del regolamento. Allo stesso tempo, la Corte ha precisato che il giudice nazionale, quando dà applicazione al regolamento 44/2001, deve assicurarsi che l’accoglimento dell’eccezione di immunità giurisdizionale non comporti una lesione del diritto di avere accesso al giudice, in quanto elemento del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Nella sentenza Rina del 7 maggio 2020, la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi in seguito a un rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Genova nell’ambito di un’azione di risarcimento, proposta dagli eredi di alcune vittime di un naufragio, nei confronti delle società Rina che avevano svolto le attività di certificazione e classificazione della nave e che, ad avviso degli attori, sarebbero state all’origine del naufragio. Nell’ambito del procedimento principale, le società convenute sollevavano un’eccezione di incompetenza, asserendo che le operazioni di certificazione e classificazione erano state compiute su delega della Repubblica di Panama, di cui la nave batteva bandiera; tali attività costituivano, pertanto, manifestazione di una prerogativa sovrana dello Stato delegante e, in quanto tali, dovevano ritenersi coperte dall’immunità giurisdizionale degli Stati. Richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale italiana[1], secondo cui l’eccezione dell’immunità deve essere esclusa solo in relazione agli atti di Stati esteri che configurino crimini di guerra e crimini contro l’umanità o qualora il riconoscimento dell’immunità leda il principio della tutela giurisdizionale effettiva, il giudice del rinvio si interrogava circa la sussistenza della competenza dei giudici italiani in forza del regolamento 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale[2]. In particolare, esso si chiedeva se gli artt. 1, par. 1[3], e 2, par. 1[4], del regolamento, relativi, rispettivamente all’ambito di applicazione dello stesso e al criterio di competenza sulla base del domicilio del convenuto, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e del considerando 16 della direttiva 2009/15[5], fossero da interpretarsi nel senso di escludere la giurisdizione del giudice di uno Stato membro e il riconoscimento dell’immunità in relazione alle attività di classificazione e certificazione poste in essere, per conto di uno Stato terzo da persone giuridiche private, domiciliate nel territorio del suddetto Stato membro.  

La Corte ha, innanzitutto, affermato la ricevibilità della questione respingendo le eccezioni sollevate al riguardo dalle società Rina.

Esse eccepivano, in primo luogo, che l’interpretazione delle disposizioni del regolamento non fosse pertinente ai fini dell’eccezione di immunità, poiché la decisione al riguardo avrebbe, invece, dovuto precedere la proposizione della questione pregiudiziale. A questo proposito, la Corte ha ribadito la presunzione di rilevanza delle questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate da un giudice nazionale “nel contesto di fatto e di diritto che esso individua sotto la propria responsabilità” (par. 22). Peraltro, ad avviso della Corte, nel caso di specie sussisteva un “nesso reale e diretto” (par. 23) tra la questione pregiudiziale di interpretazione e il procedimento principale, stante il fatto che l’interpretazione dell’art. 1, par. 1, del regolamento risultava necessaria al fine di valutare la sussistenza della competenza del giudice adito a conoscere la controversia oggetto del procedimento principale.

In secondo luogo, le società Rina eccepivano l’inapplicabilità ratione materiae del regolamento al procedimento principale, stante il fatto che la domanda risarcitoria, oggetto del procedimento, traeva origine dall’esercizio di poteri pubblici. Al riguardo, la Corte ha ricordato che ai fini dell’applicabilità del regolamento non è necessario che la controversia riguardi più Stati membri, essendo rilevante anche il coinvolgimento di un solo Stato membro e, in forza di un elemento di estraneità, di uno Stato terzo. Più in generale, la Corte ha ritenuto che tale eccezione non riguardasse la ricevibilità della domanda, bensì il merito della questione.

Per rispondere, dunque, nel merito alla questione sollevata, la Corte ha, in primo luogo, valutato se le operazioni di classificazione e certificazione rientrino nella nozione di «materia civile e commerciale» e, dunque, nell’ambito di applicazione del regolamento 44/2001, determinando così la competenza del giudice nazionale. In secondo luogo, essa ha esaminato il rapporto tra la competenza del suddetto giudice e il riconoscimento, in forza delle norme di diritto internazionale, dell’eccezione dell’immunità giurisdizionale.

In relazione al primo aspetto della questione la Corte, richiamando una giurisprudenza consolidata, ha affermato che la nozione di “materia civile e commerciale” di cui all’art. 1, par. 1, del regolamento non include le controversie in cui una delle parti sia un’autorità pubblica che abbia agito nell’esercizio di poteri pubblici e che, ai fini di tale determinazione, è necessario accertare “il fondamento e le modalità di esercizio dell’azione intentata” (par. 35) . Quanto alle modalità di esercizio, l’azione esperita nel procedimento principale si fonda sulle norme civilistiche in materia di responsabilità extracontrattuale e responsabilità contrattuale. Per quanto concerne, invece, il fondamento dell’azione, è necessario determinare se le operazioni di classificazione e certificazione delle navi, realizzate da Rina su delega e per conto della Repubblica di Panama, siano riconducibili alla manifestazione di prerogative proprie dei pubblici poteri. Conformemente alla procedura del rinvio pregiudiziale, la Corte ha rimesso tale valutazione al giudice del rinvio, ma non ha mancato di individuare una serie di elementi volti a fornirgli una risposta utile. In tale ottica, la Corte ha evidenziato che la circostanza che talune attività siano state compiute in seguito alla delega di uno Stato, per conto di detto Stato, nel suo interesse o che abbiano una finalità pubblica, non è sufficiente a qualificare tale attività come espressione dell’esercizio di prerogative proprie dei pubblici poteri. Il criterio rilevante ai fini di tale valutazione concerne, invece, l’utilizzo di poteri che “esorbitano dalla sfera delle norme applicabili ai rapporti tra privati” (par. 42).

Dando applicazione a tale criterio con riferimento alle operazioni di certificazione e classificazione delle navi, la Corte ha evidenziato che tali attività erano state compiute da Rina nell’ambito di un contratto di diritto privato, stipulato direttamente con l’armatore della nave. In forza di tale contratto, a fronte del pagamento di un corrispettivo, le società Rina hanno provveduto a verificare la sussistenza di determinati requisiti tecnici, la cui definizione era riservata allo Stato panamense e, in caso di esito positivo dell’accertamento, al rilascio dei certificati. Tale assetto risulta conforme a quanto previsto, al riguardo, dalle norme della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che, secondo una giurisprudenza consolidata, la Corte è competente a interpretare[6]. In forza degli artt. 91 e 94, parr. 3 e 5, di tale Convenzione, spetta agli Stati la definizione delle condizioni in presenza delle quali una nave può batterne la bandiera e l’adozione delle misure volte ad assicurare la sicurezza marittima. A fronte di tali poteri e obblighi dello Stato di bandiera, l’attività dell’ente certificatore risulta meramente finalizzata a verificare che la nave soddisfi i requisiti richiesti. Il mancato rilascio o la revoca del certificato non costituisce, pertanto, l’esplicazione di un “potere decisionale” dell’ente poiché si muovono nell’ambito di un “contesto normativo previamente definito” (par. 47). Al termine di tale analisi, la Corte è giunta quindi a concludere che, ai sensi del diritto dell’Unione, le operazioni di classificazione e certificazione delle navi “non possono essere considerate compiute nell’esercizio di prerogative dei pubblici poteri” e, pertanto, ricadono nell’ambito di applicazione del regolamento 44/2001 (par. 49).

Tale conclusione risulta peraltro coerente con la giurisprudenza della Corte relativa all’eccezione, prevista dall’art. 51 TFUE, che esclude dall’ambito di applicazione della libertà stabilimento le attività che partecipino, anche occasionalmente, all’esercizio di poteri pubblici. Al riguardo, la Corte ha escluso dall’ambito dell’eccezione le società aventi la qualità di organismi di attestazione, trattandosi di imprese aventi scopo di lucro, che operano in condizioni di concorrenza e non dispongono di alcun potere decisionale proprio dell’esercizio delle prerogative dei poteri pubblici.

Venendo, invece, alla questione relativa al rapporto tra il principio di diritto internazionale consuetudinario sull’immunità giurisdizionale e la competenza del giudice nazionale, la Corte ha, innanzitutto, ribadito che le norme di diritto internazionale consuetudinario sono vincolanti per l’Unione e fanno parte del suo ordinamento giuridico[7]; “tuttavia”, l’applicazione del regolamento n. 44/2001 costituisce attuazione del diritto dell’Unione e, dunque, deve rispettare i diritti fondamentali previsti dalla Carta, tra cui in particolare, l’art. 47. Ne consegue che “il giudice del rinvio dovrà assicurarsi che, qualora accogliesse l’eccezione di immunità giurisdizionale, LG e a. [gli attori del procedimento principale] non sarebbero privati del loro diritto di adire un giudice, che costituisce uno degli elementi del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva di cui all’articolo 47 della Carta” (par. 55).

Conformemente alla nozione di immunità relativa, da riconoscersi esclusivamente agli acta iure imperium, la Corte ha affermato che, qualora le attività di classificazione e certificazione non siano state compiute nell’esercizio di poteri sovrani, ai sensi del diritto internazionale, l’immunità giurisdizionale non è generalmente riconosciuta alle persone giuridiche di diritto privato che abbiano svolto tali attività. Alla luce di tali considerazioni, la Corte è pertanto giunta a concludere che il principio di diritto internazionale relativo all’immunità giurisdizionale non osta all’applicazione del regolamento 44/2001 nell’ambito di una controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalle attività di classificazione e certificazione commesse da un ente di diritto privato su delega e per conto di uno Stato terzo qualora, ai sensi del diritto internazionale, non risulti che tale ente si sia avvalso di prerogative proprie dei poteri sovrani, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio valutare.

Da ultimo la Corte si è pronunciata circa la rilevanza del considerando 16 della direttiva 2009/15, in forza del quale “quando un organismo riconosciuto, i suoi ispettori o il suo personale tecnico provvedono al rilascio dei certificati obbligatori per conto dell'amministrazione, gli Stati membri dovrebbero considerare la possibilità di permettere loro, per quanto concerne tali attività delegate, di essere soggetti a garanzie giuridiche commisurate e ad una protezione giurisdizionale, incluso l'esercizio di adeguate azioni di difesa, eccezion fatta per l'immunità, prerogativa che può essere invocata dai soli Stati membri, quale inseparabile diritto di sovranità che come tale non può essere delegato”. Pur affermando che la direttiva non può trovare applicazione nel caso di specie, la Corte non ha mancato di rilevare che tale considerando esprime la volontà del legislatore dell’Unione di interpretare restrittivamente le norme di diritto internazionale consuetudinario relative all’immunità giurisdizionale in materia di attività di classificazione e certificazione. 

 

[1] Il giudice a quo ha, in particolare, richiamato la sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n. 15812 del 29/7/2016 in cui la Corte ha dato attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 22/10/2014.

[2] Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, GU L 12 del 16.1.2001, pagg. 1-23.

[3] Ibi, art. 1, par. 1: “Il presente regolamento si applica in materia civile e commerciale, indipendentemente dalla natura dell'organo giurisdizionale. Esso non concerne, in particolare, la materia fiscale, doganale ed amministrativa”.

[4] Ibi, art. 2, par. 1: “Salve le disposizioni del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro”.

[5] Direttiva 2009/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alle disposizioni ed alle norme comuni per gli organismi che effettuano le ispezioni e le visite di controllo delle navi e per le pertinenti attività delle amministrazioni marittime, GU L 131 del 28.5.2009, pagg. 47–56, considerando 16: “Quando un organismo riconosciuto, i suoi ispettori o il suo personale tecnico provvedono al rilascio dei certificati obbligatori per conto dell'amministrazione, gli Stati membri dovrebbero considerare la possibilità di permettere loro, per quanto concerne tali attività delegate, di essere soggetti a garanzie giuridiche commisurate e ad una protezione giurisdizionale, incluso l'esercizio di adeguate azioni di difesa, eccezion fatta per l'immunità, prerogativa che può essere invocata dai soli Stati membri, quale inseparabile diritto di sovranità che come tale non può essere delegato”.

[6] Corte di Giustizia, sentenza del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer, Causa C‑188/07, ECLI:EU:C:2008:359, par. 85; sentenza dell’11 luglio 2018, Bosphorus Queen Shipping, C‑15/17, ECLI: EU:C:2018:557, par. 44.

[7] Corte di Giustizia, sentenza del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, ECLI:EU:C:1998:293, par.  46; sentenza del 25 febbraio 2010, Brita, C‑386/08, ECLI:EU:C:2010:91, par. 42; sentenza del 23 gennaio 2014, Manzi e Compagnia Naviera Orchestra, C‑537/11, ECLI:EU:C:2014:19, par. 39.