Il rapporto tra la delibera di indizione del referendum e la legge regionale nel procedimento di modifica delle circoscrizioni comunali ai sensi dell’articolo 133, secondo comma, della Costituzione (1/2020)

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Ordinanza n. 261/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 6 dicembre 2019 – Pubblicazione in G.U. dell’11/12/2019, n. 50 

Motivo della segnalazione

Con l’ordinanza n. 261 del 2019 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Calabria 7 novembre 2017, n. 39, recante “Modifica dei confini territoriali dei Comuni di Petronà e Belcastro della provincia di Catanzaro”, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria in relazione all’articolo 133, secondo comma, della Costituzione.

Nel procedimento vertente dinanzi al TAR Calabria, promosso dal Comune di Belcastro avverso la Regione Calabria e il Comune di Petronà per l’annullamento di tutti gli atti presupposti, prodromici e conseguenziali alla citata legge della Regione Calabria n. 39 del 2017, il tribunale rimettente ha ritenuto di censurare la legge regionale rilevando la violazione dell’articolo 133, secondo comma, Cost. così come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale. In particolare, il procedimento di modifica delle circoscrizioni comunali non avrebbe rispettato il principio secondo cui «le condizioni sulla base delle quali sono individuate le popolazioni interessate alla variazione territoriale devono essere verificate in concreto dall’organo regionale che delibera di far luogo al referendum, con decisione motivata suscettibile di essere controllata in sede giurisdizionale» (Corte cost., sentenza n. 47 del 2013), essendosi il referendum consultivo svolto, nel caso di specie, coinvolgendo i soli cittadini della contrada di Acquavona, e non anche le popolazioni dei due Comuni interessati dalla variazione territoriale.
La Corte, tuttavia, non ha ritenuto condivisibile la ricostruzione operata dal giudice a quo nell’ordinanza di rimessione circa il rapporto intercorrente tra gli atti preparatori e la legge regionale di modifica delle circoscrizioni comunali, incentrato sull’assunto secondo cui la lesività degli atti interni al procedimento di variazione territoriale, pur potendosi manifestare sin dalla delibera di indizione del referendum, si consoliderebbe soltanto al momento della pubblicazione dell’atto legislativo.
Diversamente, ad avviso dei giudici costituzionali la legge regionale di modifica delle circoscrizioni comunali costituisce una legge-provvedimento, caratterizzata da un procedimento rinforzato previsto dall’articolo 133, secondo comma, Cost., che la contraddistingue da una mera legge di approvazione di un atto amministrativo poiché non ratifica l’esito del referendum consultivo, ma esprime una scelta politica del Consiglio regionale.
Il procedimento referendario non costituisce, quindi, l’oggetto e il contenuto della legge regionale di variazione delle circoscrizioni comunali, bensì un suo presupposto procedimentale (ex plurimis, sentenza n. 2 del 2018, sentenza n. 36 del 2011, sentenza n. 47 del 2003, sentenza n. 94 del 2000). Da ciò consegue – secondo i giudici costituzionali – che nel procedimento di modifica delle circoscrizioni comunali, il Consiglio regionale è sì tenuto a dare conto della volontà espressa dalle popolazioni locali interessate, ma «componendo nella propria esclusiva valutazione discrezionale gli interessi sottesi alle valutazioni, eventualmente contrastanti, emersi nella consultazione» (sentenza n. 94 del 2000).
In tale contesto, il rapporto tra la delibera di indizione del referendum e la legge regionale di variazione delle circoscrizioni comunali si configura in chiave derogatoria rispetto alla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 226 del 1999), nonché a quella amministrativa (Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 27 settembre 1993, n. 1301), che – in generale – escludono la sindacabilità nel processo amministrativo degli atti interni al procedimento legislativo. Si è così ammesso che il giudice amministrativo possa essere investito del giudizio su un atto – la delibera di indizione del referendum – che integra una fase interna al procedimento che conduce alla legge di variazione circoscrizionale.
Nell’ordinanza in esame la Corte, nel dichiarare la questione manifestamente inammissibile, ha quindi ribadito che l’atto di indizione del referendum consultivo, in quanto «immediatamente lesivo degli interessi legittimi dei Comuni interessati e di quanti ritengono di avere titolo per partecipare alla consultazione referendaria [...], è sindacabile in quanto tale dal giudice amministrativo sino a quando la legge di variazione circoscrizionale non sia in vigore», essendo tale soluzione «frutto del necessario bilanciamento tra due principi: da una parte, l’effettività e immediatezza della tutela giurisdizionale, da assicurare, ai sensi dell’art. 113 Cost., a coloro che ricorrono avverso una delibera di indizione del referendum ritenuta illegittima; dall’altra, la discrezionalità politica del legislatore regionale in tema di variazioni circoscrizionali, ai sensi degli artt. 117 e 133 Cost.».