La Corte conferma la sua giurisprudenza sulle “norme intruse” introdotte in sede di conversione del decreto-legge, valorizzando una raccomandazione del Comitato per la legislazione (1/2020)

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Sentenza n. 247/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via principale

Deposito del 4/12/2019 – Pubblicazione in G.U. dell’11/12/2019, n. 50

Motivo della segnalazione

In questa sentenza la Corte costituzionale è chiamata da un ricorso della Regione Molise a pronunciarsi in merito ad una disposizione, l’art. 25-septies, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), che, introdotta in sede di conversione del decreto-legge (la legge 17 dicembre 2018, n. 136), dispone la incompatibilità del conferimento e del mantenimento dell’incarico di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario delle Regioni con l’espletamento di incarichi istituzionali presso la Regione soggetta a commissariamento, a cominciare evidentemente da quello di Presidente della Regione, norma applicabile anche agli incarichi commissariali in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Se i parametri costituzionali invocati dal ricorrente sono vari e risultano, per altro verso, interessanti anche le argomentazioni spese dal giudice delle leggi per rigettare le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, a motivare la segnalazione di questa decisione sono gli argomenti adoperati dalla Corte al fine di accogliere, con conseguente assorbimento di tutte le altre, la questione la questione relativa alla prospettata violazione dell’art. 77 Cost., dedotta sul presupposto che la norma impugnata, inserita in sede di conversione del decreto-legge, sarebbe del tutto estranea rispetto alla materia disciplinata dalle disposizioni originarie del decreto.
Il giudice delle leggi respinge in primo luogo la tesi dell’Avvocatura generale secondo cui, vertendosi in materia di disciplina del potere sostitutivo ex art. 120 Cost. (di competenza esclusiva statale), la questione risulterebbe inammissibile, mancando il presupposto della lesione di attribuzioni regionali (e dunque la “ridondanza” sulle attribuzioni regionali del parametro non relativo alle competenze). La Corte rileva infatti che la norma introdotta, pur relativa all’esercizio di una competenza statale, determina, incidendo sulla posizione della persona che ricopra l’incarico di Presidente della Regione, «una significativa interferenza nella sfera regionale, anche sul versante del relativo assetto ordinamentale, riferito, per di più, alla gestione di ambiti di competenza (sanità e coordinamento della finanza pubblica) concorrenti, anche se incisi dall’intervento sostitutivo dello Stato» (punto 5.1. del Considerato in diritto).
Nel merito, il giudice delle leggi risolve la questione collocandosi nel solco della sua ormai consolidata giurisprudenza (si ricordino almeno le sentt. nn. 22/2012 e 32/2014) che censura l’uso improprio da parte del Parlamento di una «fonte funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge» e «caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello ordinario», la quale «non può quindi aprirsi a qualsiasi contenuto», dovendo il contenuto delle sue disposizioni risultare connesso al contenuto del decreto-legge o, più precisamente, come affermato dalla Corte in una pluralità di decisioni, non deve risultarne totalmente estraneo o addirittura «intruso» (punto 5.2. del Considerato in diritto).
Alla luce di ciò, la Corte afferma la totale estraneità della norma impugnata all’oggetto del decreto-legge, i cui presupposti di necessità e urgenza erano raccordati a «misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili». L’estraneità a tali profili – rileva la Corte – della norma impugnata era stata già notata dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati, che aveva espressamente richiamato il legislatore ad attenersi alle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza costituzionale.
La parte finale delle argomentazioni della Corte è dedicata a respingere l’affermazione dell’Avvocatura generale secondo cui, in quanto incidente su due leggi finanziarie e in un ambito pacificamente attinente alla materia della finanza pubblica (quale la disciplina dei piani di rientro), la norma impugnata concernerebbe la “materia finanziaria”, in parte oggetto dell’originario decreto, cosa che, secondo questo punto di vista, la salverebbe da una censura di incostituzionalità. Il giudice delle leggi risponde a tali rilievi affermando che la “materia finanziaria” «si riempie dei contenuti definitori più vari, in ragione degli oggetti specifici cui essa risulta in concreto riferita; mentre, non è certo la sedes in cui la norma risulti inserita (legge finanziaria) quella dalla quale cogliere quei tratti di univocità di ratio che la difesa della resistente pretenderebbe desumere» (punto 5.3. del Considerato in diritto). Proprio la natura concettualmente “anodìna” della materia finanziaria, dato che ogni intervento normativo può produrre effetti che interagiscono anche con profili finanziari fa affermare al giudice delle leggi che il rilievo dell’Avvocatura non può essere accolto, dovendosi altrimenti giungere alla conclusione inaccettabile che «le possibilità di “innesto” in sede di conversione dei decreti-legge di norme “intruse” rispetto al contenuto ed alla ratio complessiva del provvedimento di urgenza risulterebbero, nei fatti, private di criteri e quindi anche di scrutinabilità costituzionale» (punto 5.3 del Considerato in diritto).