Libertà religiosa e diritto di disporre di attrezzature religiose: un caso di uso improprio degli strumenti programmatori (1/2020)

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Sentenza n. 254/2019 – giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale

Deposito del 5/12/2019 – Pubblicazione in G.U. 11/12/2019, n. 50

Motivo della segnalazione

Con la sentenza n. 254/2019 la Corte costituzionale ha parzialmente accolto una questione di costituzionalità avente ad oggetto l’art. 72, commi 1, 2 e 5, secondo periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12/2005 (Legge per il governo del territorio), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 2/2015, recante, fra l’altro, principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi.

La disciplina impugnata stabiliva, in primo luogo, che le aree che accolgono attrezzature religiose o sono destinate a esse sono specificamente individuate nel piano delle attrezzature religiose (PAR), atto separate facente parte del piano dei servizi; in secondo luogo, l’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il PAR, in mancanza del quale non può essere installata nessuna nuova attrezzatura religiosa.
Ad avviso della Corte, l’art. 72, comma 2, della legge reg. Lombardia n. 12/2005 è incostituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3, primo comma, e 19 della Carta. In particolare, la libertà religiosa è tutelata dall’art. 19 alla stregua di un diritto inviolabile: da essa discendono il libero esercizio del culto, anche in forma pubblica e comunitaria, e il diritto di disporre di spazi adeguati per poterlo concretamente praticare. Ne deriva un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche: prevedere e mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose, e astenersi dal frapporre ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati, oltre che dal discriminare le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici. La Corte segnala poi che fin dagli anni Ottanta numerose Regioni si sono dotate di discipline dirette a riservare alle attrezzature religiose un trattamento differenziato rispetto ad altre opere di urbanizzazione secondaria, al fine di agevolarne la realizzazione. In Lombardia la l. reg. n. 12/2005 aveva stabilito che la realizzazione di attrezzature religiose fosse regolata, insieme con le altre attrezzature d’interesse pubblico, dal piano dei servizi: le modificazioni successive hanno però introdotto controlli e limiti sempre più incisivi. Quanto alla novella legislativa del 2015, alcune delle sue disposizioni sono già state dichiarate incostituzionali dal giudice delle leggi (sentenza n. 63/2016).
Poiché subordina l’installazione di qualsiasi nuova attrezzatura religiosa all’esistenza del PAR, senza effettuare distinzioni di alcun genere, l’art. 72, comma 2, della l. reg. Lombardia n. 12/2005 finisce con l’ostacolare l’apertura di nuovi luoghi di culto. Questo regime differenziato, peraltro, colpisce soltanto le attrezzature religiose, e non anche le altre opere di urbanizzazione secondaria: appare chiaro, insomma, che lo scopo perseguito dal legislatore è quello di limitare e controllare l’insediamento di nuovi luoghi di culto. Se è vero che il PAR è riconducibile al modello della pianificazione urbanistica di settore, nondimeno la soluzione accolta dal legislatore lombardo non consente un equilibrato e armonico sviluppo del territorio. Di qui l’incostituzionalità della disposizione impugnata, per violazione degli artt. 2, 3, primo comma, e 19 Cost.
L’art. 72, comma 5, secondo periodo stabiliva invece che una volta decorso il termine di diciotto mesi dall’entrata in vigore della medesima legge regionale, il PAR è approvato unitamente al nuovo piano di governo del territorio (PGT). Ciò si traduceva nell’impossibilità di approvare il PAR separatamente da un nuovo strumento di pianificazione urbanistica. La conseguenza sarebbe stata, ad avviso della Corte che le istanze d’insediamento di attrezzature religiose fossero destinate a essere decise in tempi del tutto in certi e aleatori, in considerazione del fatto che il potere del Comune di procedere alla formazione del PGT, condizione necessaria per l’adozione del PAR, ha per sua natura carattere del tutto assolutamente discrezionale relativamente all’an e al quando. La disposizione impugnata, perciò, pone un ostacolo alla programmazione delle attrezzature religiose da parte dei Comuni – a loro volta condizionati nell’esercizio della loro autonomia amministrativa in materia urbanistica – e finisce col determinare una forte compressione della libertà religiosa, cui non corrisponde alcun reale interesse legato al buon governo del territorio. Anche per essa, dunque, la Corte ravvisa una violazione degli artt. 2, 3 e 19 Cost.