Quando una legge di interpretazione autentica non interpreta, ma innova (e viola anche il principio del concorso per l’accesso agli impieghi pubblici) (3/2020)

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Sentenza n. 133 del 2020 – Giudizio di legittimità costituzionale in via principale
Deposito del 06/07/2020 – Pubblicazione in G.U. 08/07/2020, n. 28

Motivo della segnalazione

Oggetto della sentenza segnalata sono questioni di costituzionalità in via principale sollevate dal Governo in ordine a una disposizione contenuta da una legge della Regione Calabria in  materia di “stabilizzazione” del personale assunto a tempo determinato come addetto stampa, per il quale tanto la legislazione statale (del 2000) quanto quella regionale, derogatoriamente rispetto a quanto previsto con riguardo ad altri settori, stabiliscono che si possa ricorrere a personale esterno all’amministrazione anche ove non sussista impossibilità oggettiva di ricorrere a personale interno.

In particolare, nel 1996, il legislatore calabrese, nell’istituire presso il Consiglio regionale una struttura definita «Ufficio Stampa», inclusiva delle testate giornalistiche edite dal Consiglio Regionale. La disposizione precisava, nella formulazione originaria, che «[i]n detta struttura, fatti salvi i rapporti di lavoro in corso, possono essere chiamati a contratto giornalisti professionisti iscritti negli albi professionali. Con deliberazione dell’Ufficio di Presidenza è definito il contingente di personale. L’incarico è conferito per la durata della legislatura e può essere rinnovato».

Nel quadro di sistema posto dalla legge statale n. 150 del 2000 è nuovamente intervenuto il legislatore regionale con l’art. 10 della legge reg. Calabria n. 8 del 2005, che ha modificato il richiamato art. 11, comma 1, della legge reg. Calabria n. 8 del 1996, eliminando interamente il suo ultimo periodo, ossia la frase «[l]’incarico è conferito per la durata della legislatura e può essere rinnovato», eliminandosi, quindi, la durata fissa e predeterminata, pari a quella della legislatura, e la possibilità di rinnovo dell’incarico a contratto.

La Corte ricorda poi che su tale norma è infine intervenuta la disposizione impugnata che, auto-qualificandosi in termini di norma di interpretazione autentica, stabilisce che «[i]l comma 1 dell’art. 10 della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8 (Collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2005), di soppressione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 11 della legge regionale 13 maggio 1996, n. 8 (Norme sulla dirigenza e sull’ordinamento degli Uffici del Consiglio regionale), deve intendersi come confermativo, senza soluzione di continuità, dei rapporti di lavoro in essere alla data della sua entrata in vigore».

La Corte afferma che le questioni di legittimità costituzionale sono fondate con riferimento a entrambi gli evocati parametri (art. 3, sulla ragionevolezza e art. 97, comma 4, sul necessario ricorso al concorso pubblico).

Quanto al denunciato contrasto con l’art. 3 Cost., la disposizione impugnata – afferma il giudice delle leggi – si palesa priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica e ha invece la portata di una norma innovativa con efficacia retroattiva. La Corte argomenta nello specifico, soffermandosi sugli effetti prodotti dalla norma impugnata, di natura concretamente innovativa rispetto alla disciplina asseritamente interpretata, tra i cui possibili significati non rientrava quello della disposizione che il legislatore calabrese ha qualificato come di interpretazione autentica.

La Corte si sofferma poi sulla questione sollevata in ordine all’art. 97, comma 4, giungendo a dichiarare l’incompatibilità della norma impugnata, oltre che, come sopra si è visto, con il principio di ragionevolezza, anche con il principio dell’obbligo di ricorso al pubblico concorso di cui all’art. 97, comma 4, Cost. A tal proposito, la Corte afferma che «è vero che il legislatore ordinario può contemplare deroghe rispetto alla regola generale del pubblico concorso. Tuttavia ciò deve avvenire entro i limiti derivanti dalla stessa esigenza di garantire il buon andamento dell’amministrazione (sentenza n. 477 del 1995), fermo il necessario vaglio di ragionevolezza (sentenza n. 34 del 2004) e la rigorosa delimitazione dell’area delle eccezioni al concorso (sentenza n. 7 del 2015)». Il giudice delle leggi aggiunge inoltre che «tali deroghe, però, non possono trovare fondamento nella sola esigenza di stabilizzare il personale precario dell’amministrazione, in quanto non può assumere a tal fine rilevanza la sola tutela del (pur legittimo) affidamento dei lavoratori sulla continuità del rapporto (sentenze n. 205 e n. 81 del 2006); finalità questa che non è di per sé sola funzionale al buon andamento della pubblica amministrazione e non sottende straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificare le deroghe in questione (sentenza n. 110 del 2017)». E si tratta – afferma infine la Corte a proposito di tali principi – di principi applicabili anche con riferimento all’accesso ai pubblici impieghi presso le Regioni, dal momento che «sebbene le modalità di instaurazione del rapporto di lavoro rientrino nella materia dell’organizzazione amministrativa, di competenza regionale residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 251 e n. 202 del 2016), nell’esercizio di tale competenza le Regioni devono rispettare la regola espressa dall’art. 97, quarto comma, Cost., che prevede l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso (sentenza n. 110 del 2017)».