Il "Codice di condotta delle ONG" italiano e la normativa internazionale (1/2023)

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Il decreto-legge n. 1/2023 del 2 gennaio 2023 recante disposizioni urgenti in materia di transito e sosta nelle acque territoriali delle navi non governative impegnate nelle operazioni di soccorso in mare, rinominato informalmente “codice di condotta delle ONG”, è stato convertito con legge del 24 febbraio 2023, n. 15, in vigore dal 3 marzo 2023.

 

La nuova disciplina ha introdotto alcune modifiche all’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 130/2020, che conferisce facoltà al Ministero dell’Interno – con provvedimento da adottare di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e informato il Presidente del Consiglio – di adottare misure di interdizione all’ingresso, al transito o alla sosta di navi nelle acque territoriali per motivi di ordine e sicurezza pubblica o quando si concretizzino le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare di Montego Bay limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti.[1]

Tale divieto di transito e di sosta, in ogni caso non si applica nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare; considerato che l’Italia è vincolata all’obbligo internazionale di soccorso in mare, tra gli altri sancito nella Convenzione ONU sul diritto del mare, la Convenzione per la Salvaguardia della vita in mare (United Nations Convention for the Safety of life at sea, “SOLAS”), e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso (International Convention on Maritime Search and Rescue, “SAR”).

È proprio rispetto a questa disposizione che il d.l. n. 1/2023 introduce la novità legislativa. Il decreto-legge definisce le condizioni che consentono all’eccezione di operare, ovvero quelle condizioni in presenza delle quali le attività svolte dalle navi impegnate in operazioni di ricerca e soccorso in mare possano essere ritenute conformi alla normativa internazionale con la conseguenza che, nei confronti di tali navi, non possono essere adottati provvedimenti di divieto o limitazione al transito o alla sosta delle navi nel mare territoriale. Il comma 2-bis aggiunto all’art. 1 del decreto n. 130/2020 dal decreto n. 1/2023 così come modificato dalla legge di conversione 24 febbraio 2023, n. 15, stabilisce che debbano ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni:

  1. la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare opera in conformità alle certificazioni e ai documenti rilasciati dalle competenti autorità dello Stato di bandiera ed è mantenuta conforme agli stessi ai fini della sicurezza della navigazione, della prevenzione dell’inquinamento, della certificazione e dell’addestramento del personale marittimo nonché delle condizioni di vita e di lavoro a bordo;
  2. sono state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità;
  3. è stata richiesta, nell’immediatezza dell’evento, l’assegnazione del porto di sbarco;
  4. il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità è raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso;
  5. sono fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell’operazione di soccorso posta in essere;
  6. le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non hanno concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.

Una novità normativa introdotta (lett. b) riguarda la possibilità di consentire alle persone salvate in mare di presentare domanda di protezione internazionale direttamente a bordo delle navi. Ciò comporta che la responsabilità per l’accoglimento o il respingimento della domanda di protezione internazionale dovrebbe spettare agli Stati di bandiera delle navi stesse. Ciò significa che una volta fatti sbarcare i naufraghi che abbiano già presentato domanda di asilo a bordo di una nave, il Governo italiano sarebbe poi legittimato ad attivare i meccanismi di trasferimento disciplinati dal Regolamento Dublino III, sulla base del criterio dello Stato di primo ingresso sancito all’art. 13 (sul punto v. C. Favilli, La stagione dei porti semichiusi: ammissione selettiva, respingimenti collettivi e responsabilità dello Stato di bandiera, in Questione Giustizia, 8 novembre 2022).

Per quanto riguarda il diritto internazionale, le maggiori criticità sembrano emergere dall’obbligo imposto alle navi di raggiungere “senza ritardo” il porto sicuro assegnato dalle autorità. È stato sottolineato, infatti, che suddetto obbligo, letto in combinato disposto con la previsione per cui le operazioni di salvataggio non debbano impedire il raggiungimento tempestivo del porto assegnato dalle autorità (lett. f) potrebbe sottendere l’intento del legislatore di “escludere che una nave che abbia già soccorso delle persone in mare possa soccorrerne altre, ovvero possa procedere al trasbordo delle persone soccorse su un’altra nave umanitaria” (v. E. Colombo, Il codice di condotta delle ONG italiano alla prova del diritto dell’Unione Europea e del diritto internazionale, in BlogDUE, 2023), ponendosi in contrasto con l’obbligo di salvataggio in mare sopra richiamato.

Sul punto si è espressa anche la Relatrice Speciale per le Nazioni Unite sulla situazione dei difensori sui diritti umani, che ha definito, in una dichiarazione presentata il 9 febbraio, la nuova legislazione italiana come “incompatible with Italy’s obligations under international law and must be repealed”. Sempre nel contesto della stessa dichiarazione, la Relatrice si dice allarmata dei procedimenti penali avviati in Italia, con particolare riferimento a quello di fronte al tribunale di Trapani (ancora nella fase preliminare) avviato a maggio 2022 nei confronti della nave umanitaria Iuventa e altri difensori dei diritti umani appartenenti ad altre imbarcazioni, per presunta collaborazione con i trafficanti di esseri umani e per aver favorito l’immigrazione irregolare. La Relatrice ricorda che il 19 gennaio 2023 la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno hanno chiesto al Tribunale di costituirsi parte civile e questa decisione – osserva Mary Lawlor – contrasta con il principio in base al quale gli Stati che tutelano i diritti umani “promote the work of human rights defenders”.[2]

Nel contesto del Consiglio d’Europa, la Commissaria per i diritti umani ha inviato, il 26 gennaio, una lettera al Ministro dell’Interno nel quale aveva chiesto la modifica o il ritiro del d.l. del 2 gennaio – sollecito che non è stato accolto vista la conversione in legge del 24 febbraio − poiché esso impone lo sbarco di persone salvate in mare in porti lontani, allungando i tempi di navigazione e così aumentando i rischi insiti nella navigazione.[3]

Il 30 gennaio, sempre il Consiglio d’Europa, attraverso il gruppo di esperti sulle ONG ha presentato un parere sulla compatibilità rispetto agli standard europei del decreto legge n. 1 del 2 gennaio 2023 sulla gestione dei flussi migratori (CONF/EXP(2023)1). Il gruppo di esperti sottolinea che la normativa italiana si pone in contrasto con gli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare gli artt. 8 e 11, poiché mancante dei principi di legalità, legittimità e proporzionalità. Il gruppo di esperti si dice anche preoccupato di un possibile “chilling effect on the work of civil society on account of the unlawfulness of some of the provisions, and the concomitant increased risks that NGOs face as a result of continuing with search and rescue work”.

 

[1] Art. 19, par. 2 della Convenzione ONU sul diritto del mare, 1982: “Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se, nel mare territoriale, la nave è impegnata in una qualsiasi delle seguenti attività: [..] (g) il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero”.

[2] V. OHCHR, https://www.ohchr.org/en/press-releases/2023/02/italy-criminalisation-human-rights-defenders-engaged-sea-rescue-missions.

[3] V. CoE, https://rm.coe.int/commhr-2023-3-letter-to-italy-minister-of-the-interior-en/1680a9f455.